Il ruolo delle religioni ellenistiche nella decadenza dell'Impero romano

Il culto della grande madre, col suo strano mescolio di grossolana barbarie e di aspirazioni spirituali, non era altro che uno di quei numerosi culti orientali dello stesso genere che, verso la fine del paganesimo, si diffusero in tutto l'Impero romano e che, saturando i popoli europei di idee straniere, minarono a poco a poco l'intero edificio della civiltà antica. La società in Grecia e a Roma si fondava sulla concezione dell'individuo subordinato alla comunità, il cittadino allo Stato; essa postulava la salvezza della repubblica come scopo dominante della condotta, al di sopra della salvezza dell'individuo, sia in questo mondo che in un mondo avvenire. I cittadini, allevati sin dall'infanzia in questo altruistico ideale, consacravano la loro vita al servizio dello Stato ed erano pronti a sacrificarla per il bene comune; se indietreggiavano davanti al sacrificio supremo, sapevano di agire bassamente preferendo la loro esistenza personale agli interessi del loro paese.

Tutto ciò venne capovolto dalla diffusione delle religioni orientali che inculcavano l'idea della comunione dell'anima con Dio e della sua salvezza eterna come soli scopi per cui valesse la pena di vivere, scopi al cui paragone la prosperità e persino l'esistenza dello Stato divenivano insignificanti. Il risultato inevitabile di questa dottrina egoista e immorale fu di allontanare sempre più il fedele dal servizio pubblico, di concentrare i suoi pensieri sulle sue emozioni spirituali e d'aumentare in lui il disprezzo per la vita presente, che egli considerava semplicemente come vita di preparazione per un'altra vita migliore e eterna. Il santo e l'eremita, dispregiatori della terra e rapiti in estatica contemplazione del cielo, divennero nell'opinione popolare l'ideale più alto della umanità e si sostituirono all'antico ideale del patriota e dell'eroe che, dimentico di sé, vive ed è pronto a morire per il bene del paese. La città terrestre sembrava povera e spregevole agli occhi degli uomini che contemplavano la città di Dio, che si avvicinava tra le nuvole del cielo. Il centro di gravità, per così dire, si spostava dalla vita presente a quella futura, e se l'altro mondo vi ha molto guadagnato è certo che questo ha assai perduto nel cambio. Si diffuse allora una disintegrazione generale del corpo politico; si allentarono i legami dello Stato e della famiglia; la struttura della società tendeva a risolversi nei suoi elementi individuali e a cadere perciò nella barbarie; la civiltà è infatti possibile soltanto per la cooperazione attiva dei cittadini e la loro volontà di subordinare i loro interessi privati al bene comune. Gli uomini rifiutarono di difendere la patria e anche di continuare la loro specie. Nella loro preoccupazione di salvare l'anima e l'anima del prossimo, erano contenti di lasciar perire il mondo materiale che essi identificavano con il principio del male. Questa ossessione durò un migliaio di anni. La rinascita del diritto romano, della filosofìa di Aristotele, dell'arte e della letteratura antica, che ebbe luogo alla fine del Medioevo, segnò il ritorno dell'Europa a ideali indigeni di vita e di condotta, a una concezione più sana e più virile del mondo. La lunga sosta nella marcia della civiltà era finita. La marea dell'invasione orientale era finalmente in riflusso. E cala tuttora.


James FrazerIl ramo d'oro, Bollati Boringhieri, 2013, pp. 429-430.

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