La confusione tra l'umano, il bestiale, il mostruoso

Che ci fossero, da queste parti, dei draghi, nei secoli medioevali (i contadini e la Giulia, che me ne parlavano, dicevano: – In tempi lontani, piú di cent’anni fa, molto prima del tempo dei briganti –) non fa meraviglia: né farebbe meraviglia se ricomparissero ancora, anche oggi, davanti all’occhio atterrito del contadino. Tutto è realmente possibile, quaggiú, dove gli antichi iddii dei pastori, il caprone e l’agnello rituale, ripercorrono, ogni giorno, le note strade, e non vi è alcun limite sicuro a quello che è umano verso il mondo misterioso degli animali e dei mostri. Ci sono a Gagliano molti esseri strani, che partecipano di una doppia natura. Una donna, una contadina di mezza età, maritata e con figli, e che non mostrava, a vederla, nulla di particolare, era figlia di una vacca. Cosí diceva tutto il paese, e lei stessa lo confermava. Tutti i vecchi ricordavano la sua madre vacca, che la seguiva dappertutto quando era bambina, e la chiamava muggendo, e la leccava con la sua lingua ruvida. Questo non impediva che fosse esistita anche una madre donna, che ora era morta, come da molti anni era morta anche la madre vacca. Nessuno trovava, in questa doppia natura e in questa doppia nascita, nessuna contraddizione: e la contadina, che anch’io conoscevo, viveva, placida e tranquilla come le sue madri, con la sua eredità animalesca. 

Alcuni assumono questa mescolanza di umano e di bestiale soltanto in particolari occasioni. I sonnambuli diventano lupi, licantropi, dove non si distingue piú l’uomo dalla belva. Ce n’era qualcuno anche a Gagliano, e uscivano nelle notti d’inverno, per trovarsi con i loro fratelli, i lupi veri. – Escono la notte, – mi raccontava la Giulia, – e sono ancora uomini, ma poi diventano lupi e si radunano tutti insieme, con i veri lupi, attorno alla fontana. Bisogna star molto attenti quando ritornano a casa. Quando battono all’uscio la prima volta, la loro moglie non deve aprire. Se aprisse vedrebbe il marito ancora tutto lupo, e quello la divorerebbe, e fuggirebbe per sempre nel bosco. Quando battono per la seconda volta, ancora la donna non deve aprire: lo vedrebbe con il corpo fatto già di uomo, ma con la testa di lupo. Soltanto quando battono all’uscio per la terza volta, si aprirà: perché allora si sono del tutto trasformati, ed è scomparso il lupo e riapparso l’uomo di prima. Non bisogna mai aprire la porta prima che abbiano battuto tre volte. Bisogna aspettare che si siano mutati, che abbiano perso anche lo sguardo feroce del lupo, e anche la memoria di essere stati bestie. Poi, quelli non si ricordano piú di nulla.

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Tutto, per i contadini, ha un doppio senso. La donna-vacca, l’uomo-lupo, il Barone-leone, la capra-diavolo non sono che immagini particolarmente fissate e rilevanti: ma ogni persona, ogni albero, ogni animale, ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità. La ragione soltanto ha un senso univoco, e, come lei, la religione e la storia. Ma il senso dell’esistenza, come quello dell’arte e del linguaggio e dell’amore, è molteplice, all’infinito. Nel mondo dei contadini non c’è posto per la ragione, per la religione e per la storia. Non c’è posto per la religione, appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magía naturale. Anche le cerimonie della chiesa diventano dei riti pagani, celebratori della indifferenziata esistenza delle cose, degli infiniti terrestri dèi del villaggio.


Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1948, pp. 104-108.

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