La magia curativa

La magía popolare cura un po’ tutte le malattie; e, quasi sempre, per la sola virtú di formule e di incantesimi. Ve ne sono di particolari, specifiche per un male determinato, e di generiche. Alcune sono, a quel che credo, di origine locale; altre appartengono al corpus classico dei formulari magici, capitate quaggiú chissà quando e chissà per che vie. Di questi amuleti classici, il piú comune era l’abracadabra. Visitando i malati, mi accadeva molto spesso di vedere, in generale appeso al collo con una cordicella, un fogliolino di carta, o una piccola piastrina di metallo, con su scritta, o incisa, la formula triangolare:

A
A  B
A  B  R
A  B  R  A
A  B  R  A  C
A  B  R  A  C  A
A  B  R  A  C  A  D
A  B  R  A  C  A  D  A
A  B  R  A  C  A  D  A  B
A  B  R  A  C  A  D  A  B  R
A  B  R  A  C  A  D  A  B  R  A

I contadini, dapprincipio, cercavano di nascondere questo amuleto, e quasi si scusavano con me di portarlo: perché sapevano che i medici hanno l’abitudine di disprezzare queste superstizioni, e di tuonare contro di esse, in nome della ragione e della scienza. E fanno benissimo, là dove la ragione e la scienza possono assumere lo stesso carattere magico della volgare magía: ma qui, esse non sono ancora, e forse non saranno mai, divinità ascoltate e adorate.

Perciò io rispettavo gli abracadabra, ne onoravo l’antichità e l’oscura, misteriosa semplicità, preferivo essere loro alleato che loro nemico, e i contadini me ne erano grati, e forse ne traevano davvero vantaggio. Del resto, le pratiche magiche di quaggiú sono tutte innocue: e i contadini non ci vedono nessuna contraddizione con la medicina ufficiale. L’abitudine di dare a ogni malato, per ogni malattia, anche quando non è necessario, una ricetta, è una abitudine magica: tanto piú se la ricetta era scritta, come un tempo, in latino, o almeno con calligrafia incomprensibile. La maggior parte delle ricette basterebbe a guarite i malati, se, senza essere spedite, fossero appese al collo con una cordicella, come un abracadabra.


Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1948, pp. 214-215.

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