L'uso della divinità come capro espiatorio

Se ci domandiamo perché si debba scegliere un dio che muoia, per fargli prendere sopra di sé e redimere i peccati e le sofferenze del popolo, si può rispondere che, nella pratica di usar la divinità come capro espiatorio, abbiamo la combinazione di due costumi che erano una volta distinti e indipendenti. Da una parte abbiamo visto che è stato comune l'uccidere un dio umano o animale per mettere al sicuro la sua vita divina dalla corruzione e dai pericoli della vecchiaia, d'altra parte abbiamo visto che è stato un uso comune di avere ogni anno un'espulsione generale dei peccati e dei mali. Ora se venne al popolo l'idea di combinare questi due usi ne risultò l'impiego d'un dio che doveva morire come capro espiatorio. Egli veniva originariamente ucciso non per portar via i peccati ma per salvare la sua divina vita dalla degenerazione della vecchiaia; tuttavia, poiché doveva essere ucciso in ogni caso la gente può aver pensato che si poteva benissimo approfittare  dell'occasione per caricarlo del peso di tutte le sofferenze e di tutti i peccati affinché egli se li portasse dietro nell'ignoto mondo di là dalla tomba.

L'uso della divinità come capro espiatorio dissipa tutte le ambiguità che, come abbiamo visto, sembrano circondare l'usanza popolare europea dell' « espulsione della Morte ». Abbiamo mostrato ragioni per credere che in questa cerimonia la cosidetta Morte fosse all'origine lo spirito della vegetazione che veniva ucciso ogni anno a primavera, perché potesse tornar di nuovo in vita con tutto il fresco vigore della giovinezza. Ma, come dissi allora, vi son certi caratteri della cerimonia che non si possono spiegare soltanto con questa ipotesi. Tali sono i segni di gioia con cui l'effigie della Morte vien portata via per essere seppellita o bruciata e la paura o la ripugnanza che manifestano a suo riguardo coloro che la portano. Ma questi caratteri diventano a un tratto comprensibili se supponiamo che la Morte non fosse soltanto il morente dio della vegetazione ma anche un pubblico capro espiatorio su cui venivano fatti cadere tutti i mali che avevano afflitto il popolo durante l'anno trascorso. In questa occasione la gioia è naturale e si spiega; e se il dio morente sembra l'oggetto di quel timore e di quella ripugnanza che in realtà non sono dovuti ad esso ma ai peccati e alle sciagure di cui esso è carico, ciò dipende semplicemente dalla difficoltà di distinguere o almeno di stabilire una distinzione fra il carico e chi lo porta. Quando il carico ha un carattere funesto si temerà e si eviterà il portatore non altrimenti che se fosse egli stesso impregnato di quelle pericolose proprietà, di cui in fondo non è che il veicolo. Analogamente abbiamo visto che popoli delle Indie orientali temono ed evitano le barche cariche di malattie e di peccati. La teoria che in questi costumi popolari la Morte sia un capro espiatorio oltre che un rappresentante dello spirito divino della vegetazione viene ancora confermata dalla circostanza che la sua espulsione si celebra sempre a primavera specialmente fra i popoli slavi; e tra i popoli slavi l'anno comincia appunto di primavera. Così in uno dei suoi aspetti la cerimonia dell'espulsione della Morte sarebbe un esempio del diffuso costume di espellere i mali accumulati nell'anno vecchio, prima di entrare nell'anno nuovo.


James FrazerIl ramo d'oro, Bollati Boringhieri, 2013, pp. 673-674.

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