Gli effetti delle crisi di mortalità sulla famiglia

[...] nei periodi in cui sono stati più frequenti, vasti, intensi, quei grandi drammi collettivi che chiamiamo crisi di mortalità hanno prodotto effetti di vario tipo sulla famiglia. Su due di questi effetti hanno messo in particolar modo l'accento, nelle loro descrizioni, i testimoni delle epidemie di peste. Il primo si aveva al momento dello scoppio della crisi. L'epidemia metteva in moto un processo di disorganizzazione sociale, di caduta cioè delle precedenti regole di condotta e di riduzione delle relazioni interindividuali, che investiva tutte le associazioni e tutti i gruppi primari e non risparmiava la famiglia. Di fronte alla catastrofe che si era abbattuta sulla comunità, tutti quelli che potevano fuggivano dalle persone e dai luoghi del contagio, abbandonavano d'un tratto valori e norme per lungo tempo appresi e seguiti, infrangevano ogni vincolo e ogni forma di solidarietà sociale, voltavano le spalle ai semplici conoscenti, ai vicini, agli amici, ai familiari.

Il secondo effetto si aveva nel periodo immediatamente successivo alla crisi, quando la mortalità era ricaduta ai livelli precedenti, le persone fuggite avevano fatto ritorno nelle loro case, le famiglie si erano ricomposte. Ora la vita della comunità riprendeva e la frequenza delle interazioni sociali ridiventava normale, ma secondo regole di condotta diverse da quelle di un tempo. L'acuta consapevolezza del pericolo corso, il desiderio di rifarsi di tante sofferenze, il timore di avere di fronte a sé troppo poco tempo, sembravano portare i sopravvissuti a dimenticare i valori e le abitudini di prima, in tutti gli ambiti dell'agire sociale, nella sfera della produzione come in quella famigliare, a cercare con tutte le forze i piaceri della vita, a lavorare il meno possibile, a mangiare ed a bere, ad avere relazioni sessuali pre ed extra-matrimoniali.


Marzio Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Il Mulino, 1988, pp. 147-148.

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