Il significato del termine "figlio di Dio" nella tradizione ebraica

Il titolo «figlio di Dio» [...] non è raro nell'uso biblico e postbiblico, e poteva assumere significati diversi: Israele era sovente definito figlio di Dio (Esodo 4, 22; Geremia 3, 19; Osea 11, 1), allo stesso modo che il re (2 Samuele 7, 14) o l'uomo giusto (Salmi di Salomone 13, 8), mentre in alcuni testi di Qumran la locuzione accompagna il titolo di messia. Più in generale, in numerosi scritti giudaici di età neotestamentaria, «figlio di Dio» individua personaggi che godono di un particolare favore da parte di Dio, o hanno ricevuto da lui una missione speciale.

Inoltre, Gesù aggiungeva, o sostituiva, sovente «padre tuo», «padre vostro», «padre di tutti» a quest'espressione («padre nostro» sono parole che non pronuncia in prima persona ma che invita i discepoli a usare: Mt. 6, 9).

Se le consuetudini linguistiche significano qualcosa (presupposto basilare di una seria esegesi), usando la terminologia riportata dai vangeli, Gesù non rivendicava la propria natura divina. In ogni caso, ben difficilmente sarebbe stata percepita in questo senso: infatti, sulla base delle nostre conoscenze del giudaismo a lui contemporaneo, è da escludere una simile infrazione del suo primo dogma, e cioè il monoteismo. Al contrario, nei decenni successivi - ai quali appartiene la stesura dei vangeli - le predicazione del messaggio di Gesù a un ambiente sempre più lontano da quello giudaico trasformò il significato dell'espressione, introducendovi connotati desunti dalla cultura ellenistica. In altri termini, anche se Gesù usò le parole riportate dai vangeli, è verisimile ritenere che desse loro una valenza diversa da quella intesa dai vangeli stessi.

E appunto su questa successiva fase si fonda l'unanime dichiarazione teologica delle chiese cristiane. La sua formula più aggiornata è contenuta nella nuovissima edizione del Catechismo della Chiesa Cattolica: «il nome "Figlio di Dio" indica la relazione unica ed eterna di Gesù Cristo con Dio suo Padre: egli è il Figlio unigenito del Padre e Dio egli stesso».

Ma se, quantomeno, Gesù non si proclamò figlio di Dio nel senso in seguito assunto da queste parole, con l'espressione alludeva probabilmente alla sua convinzione che esistesse un particolare rapporto tra sé e Dio, eretto in garanzia del ruolo di cui si sentiva investito: di annunciatore del regno e, in un secondo momento, di interprete della volontà di Dio.


Ugo Bonanate, Nascita di una religione. Le origini del cristianesimo, Bollati Boringhieri, 1994, pp. 41-42.

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