La condizione di "stato nascente"

A livello dell'individuo, lo stato nascente è una esperienza straordinaria che interrompe la trama della vita quotidiana e le imprime un nuovo corso. È la scoperta della propria vocazione più profonda, del proprio destino. È una chiamata o una rivelazione. Ma può essere anche la nascita di un amore, una conversione religiosa o politica, un'ispirazione artistica irresistibile, una decisione irrevocabile. Lo stato nascente è un'esperienza conoscitiva. È un conoscere, un vedere, uno svelarsi di ciò che era nascosto, un rivelarsi di ciò che già esisteva. Ma è anche una esperienza emozionale straordinaria, sconvolgente, entusiasmante ed appassionante.

Per questo non può essere confusa con l'esperienza mistica o con l'estasi. Lo stato nascente non è uno stato della mente che il soggetto raggiunge con pratiche adeguate. È un sovvertimento, una svolta, un nuovo modo di guardare il mondo e se stessi. Come avviene nella conversione religiosa, come avviene nella scoperta scientifica. Non è un piacevole stato di beatitudine che si può raggiungere con la meditazione o con pratiche ascetiche. Non è nemmeno uno stato mentale che si può mantenere. È qualcosa di unico e di irreversibile che spinge l'individuo a cercare altri come lui e ad agire nel mondo per modificarlo.

Il movimento ha inizio, quindi, con una scoperta, una rivelazione, una nuova prospettiva sulla realtà. Una prospettiva condivisa, esaltante, che si arricchisce e si modifica in rapporto ai problemi specifici del momento e dell'attività comune. Fino a diventare dottrina, ideologia, mentre prima, all'inizio, era soltanto uno sguardo commosso, vibrante, l'intuizione sconvolgente che il mondo poteva essere modificato, che la felicità per sé e per gli altri, era raggiungibile. La storia del movimento è la storia di questa elaborazione, della edificazione di strutture sociali volte a realizzare un nuovo modo di vivere, una nuova solidarietà. Formazioni che poi, inevitabilmente, si consolidano, si irrigidiscono, si sovraccaricano di altre funzioni, realizzano altri interessi. In questo modo, a poco a poco, la spinta iniziale si degrada mentre le formazioni rimangono, si autolegittimano nel suo nome anche se, in realtà, sono ormai qualcosa di totalmente diverso. Il movimento è il processo storico che va dallo stato nascente all'istituzione e che ha riprodotto la quotidianità.

Abbiamo quindi due poli estremi: lo stato nascente e la quotidianità. Poli fra cui il ponte è rappresentato dal movimento e dall'istituzione che esso genera. Lo stato nascente emerge squarciando la vita quotidiana, come evento rivoluzionario. Genera, attraverso il movimento, l'istituzione, che conserva nel suo cuore qualcosa dello stato nascente, ne è l'erede e la custode. Poi anche questa energia diminuisce e resta la pura ripetizione, l'abitudine, la forma priva di significato. [pp. 17-18] [...]

Lo stato nascente [...] non è un semplice atto di intuizione, un'emozione straordinaria che dura un minuto, un'ora o un giorno. Non è nemmeno uno stato di felicità, di appagamento. È la scoperta che la propria vita precedente era sbagliata, che il mondo è diverso da come credevamo e che può essere mutato. Lo stato nascente è abbandonare il noto e gettarsi nell'ignoto. È una morte e una rinascita, una mutazione irreversibile che influenza tutti i comportamenti successivi.

Esso, perciò, non può essere solo estasi, ma anche tormento, non può essere solo illuminazione, ma anche angoscia, incertezza, dubbio. Non può essere solo serenità, ma anche desiderio, passione , lotta, violenza. [p. 44] [...]

Lo stato nascente è una discontinuità. Qualcosa sprofonda, scompare, muore. E l'individuo ha l'esperienza esaltante di una vita nuova.  Incipit vita nova! Egli guarda il mondo stupito con la freschezza del primo giorno, vede ciò che non aveva mai visto, ciò che i suoi occhi ottenebrati, invecchiati, assonnati non riuscivano più a vedere. Tutto è bello, eccitante, pieno di possibilità. Non è più costretto da vincoli, non è più oppresso da debiti. È un uomo nuovo, un rinato.

Il tema della morte-rinascita è seminato a piene mani in tutti i miti, i misteri, i culti del mondo. Lo troviamo nelle culture più antiche, al centro dell'esperienza sciamanica. Lo sciamano si allontana dalla tribù, va nel paese dei morti, là dove nessuno ritorna, ma lui riesce a trovare la strada e rinasce arricchito di virtù prodigiose. Il tema ritorna nel culto di Dioniso, smembrato e rigenerato, nei misteri orfici, nel cristianesimo. Lo troviamo in tutte le istituzioni di passaggio, come le cerimonie puberali, che rappresentano la morte del ragazzo e la nascita dell'uomo adulto, del guerriero. Ogni passaggio radicale, nel mito, è rappresentato come una morte e una resurrezione. Il tema dell'uomo nuovo è presente nel cristianesimo delle origini, ricompare in ogni esplosione religiosa cristiana. In modo particolarmente intenso lo ritroviamo fra gli anabattisti in cui la sua nascita è segnata dal secondo battesimo. Ma esso si ripresenterà, non meno intensamente, fra i populisti e i rivoluzionari russi dell'Ottocento e in tutto il movimento anarchico. [pp. 94-95] [...]

Qualunque stato che non sia illuminato dallo straordinario degenera. Schopenhauer parlava di noia. Si potrebbe parlare di delusione o, addirittura di disperazione. L'artista che non ha più l'ispirazione e se ne rende conto, sente il vuoto di qualcosa di essenziale. Come l'atleta costretto a rinunciare a correre, a saltare, a competere. O l'amore che è estasi, slancio vitale e ha paura soprattutto di svanire.

Ogni persona, in ogni momento della sua vita, può dire di avere dei sentimenti, di essere viva, solo se cerca qualcosa di infinitamente desiderabile e pensa di poterlo un giorno incontrare. Ogni sentimento è attesa di qualcosa. È attesa di una rivelazione. Quando non ci manca nulla ci manca tutto. Ogni attività è in preparazione di. Ma non solo come desiderio, ma proprio anche come attesa e speranza, far cose che possono portare a. Come la separazione della vacanza, l'attesa della primavera o di una festa, o di un incontro. L'attesa è attesa dello straordinario, attesa della rivelazione.

Se manca questa differenza, questo scarto, se il nuovo, il domani, non è immensamente preferibile a ciò che facciamo e siamo, allora subentra l'apatia.

La noia implica, mi sembra, una percezione della differenza. La noia è una mancanza, la noia è come una costrizione, una prigione. Si annoia chi desidera e non ha. Chi, conoscendo Parigi, o Londra, o New York, è costretto a stare in un piccolo paese. La noia è un rovello.

Invece l'apatia è la scomparsa stessa del desiderio al cui posto resta una mancanza dolorosa. Non ho più voglia di niente, non mi sento più vivo, è come se fossi morto. È questo lo stato in cui la persona innamorata e delusa teme di cadere se perde il suo amore, se non ama più. Ama l'amore, si dice impropriamente, ma si dovrebbe piuttosto dire che ha paura di perdere lo slancio dell'amore, la vita intensa che è propria dell'amore. Per questo preferisce l'innamoramento infelice al nulla. A Mosè fu concesso di vedere la terra promessa. È doloroso vedere la terra promessa e sapere che non potrai mai raggiungerla. Eppure nessuno accetta di rinunciare a vederla, se può farlo. Nessuno accetta di dimenticarla dopo averla vista. Che è poi rinunciare a vederla nel ricordo. Che è poi rinunciare alla nostalgia, al desiderio sempre vivo di lei. Uno potrebbe accettare l'oblio istantaneo. Come l'ubriacatura istantanea, il sonnifero, il colpo di pistola del suicida. Ma l'apatia, la vuotezza, il senso di vuoto, sono una vita intermedia insopportabile. Come la spossatezza, l'astenia. come il non riuscire a stare svegli o il non riuscire ad addormentarsi. [pp. 180-181][...]

Vi sono, nella vita degli individui e delle società, delle epoche fredde in cui i nostri fini sono chiaramente stabiliti. La strada che dobbiamo percorrere è diritta davanti a noi. Possiamo avere dubbi, paure, incertezze, ma non siamo mai afferrati da un totale sconforto o rapiti da una straordinaria speranza. Vi sono invece dei periodi caldi, in cui noi ci sentiamo assorbiti dal vortice del cambiamento, mossi e attraversati da passioni violente. Vediamo le cose con occhi nuovi e ne restiamo inorriditi e stupefatti. Ci sentiamo partecipi e attori di un grande compito, di un compito che ci trascende.

Queste due esperienze sono così diverse che, quando noi proviamo la prima, non possiamo nemmeno più ricordare, nemmeno più immaginare la seconda, e viceversa. Nelle epoche fredde, se cerchiamo di portare alla memoria cosa sperimentavamo nel periodo ardente, riusciamo a malapena a farci venire in mente i pensieri, le idee, ma non i sentimenti, non le passioni. Ci vediamo dall'esterno e, per quanta simpatia abbiamo per ciò che siamo stati, non riusciamo a ricongiungerci con la nostra essenza di allora.

Il risultato è che, nelle epoche fredde, noi consideriamo assurdo e insensato quanto costituiva la nostra più profonda esperienza durante le epoche calde. In queste, invece, consideriamo arido e vuoto quanto trovavamo saggio e fondato nelle epoche fredde. Se questo avviene nell'individuo che ha vissuto entrambe le esperienze, la contrapposizione diventa opposizione totale quando ne parlano o scrivono individui diversi. C'è sempre stata una letteratura calda, entusiastica e una letteratura fredda, opposta alla prima. Mentre la vita reale è sempre costituita da entrambi i momenti nella loro tensione drammatica.

Uno dei torti maggiori della filosofia, della psicologia e delle sociologia è di averci continuamente riproposto questa opposizione come opposizione di punti di vista, di modi di pensare, di concezioni del mondo. Mentre invece questa duplicità è interna agli individui, alla società, alla cultura, ne costituisce l'essenza profonda. [pp. 185-186] [...]

L'istituzione considera lo stato nascente folle, sconsiderato. Lo stato nascente considera l'istituzione ipocrita e l'accusa di aver tradito gli ideali per cui era stata costruita. Chi è nello stato nascente si rende conto che coloro che si trovano nell'istituzione sono come accecati. Non vedono quanto è sotto i loro occhi. Per capire dovrebbero mettersi, sia pure per un solo istante, dal punto di vista dello stato nascente. D'altra parte coloro che si trovano nell'istituzione scuotono sconsolati la testa perché gli altri si rifiutano di accettare la logica del reale. In questa situazione i due antagonisti non possono capirsi, non possono nemmeno dialogare.

È questo il paradosso dell'incomunicabilità:  entrambi parlano delle stesse cose e sono, nel profondo, convinti che l'altro possa capire. Però, nello stesso tempo, affermano che potrebbe capire solo se si ponesse dal proprio punto di vista, e non può farlo.

È un fenomeno occorso innumerevoli volte. Il cristiano prega per i suoi persecutori non tanto perché possano capire con la loro intelligenza, ma perché Dio dia loro la Grazia di capire. L'accesso allo stato nascente è, infatti, un salto discontinuo, in termini cristiani il dono della Grazia, dell'illuminazione divina. Ma un fenomeno analogo c'è perfino nella psicoanalisi. Gli psicoanalisti sostengono che coloro che rivolgono critiche alla psicoanalisi, coloro che la rifiutano, lo fanno perché hanno, interiormente, una resistenza alla psicoanalisi. È il loro inconscio che impedisce di adottare una disposizione mentale favorevole. Il critico potrebbe capire la psicoanalisi soltanto se riuscisse a scoprire i motivi inconsci della sua avversione. Ma, per farlo, dovrebbe farsi psicoanalizzare. Invece lui rifiuta la psicoanalisi perché prima vuol capire. Dal suo punto di vista il ragionamento dello psicoanalista appare capzioso. Fatti psicoanalizzare, cambia il tuo modo di pensare e vedrai le cose in modo diverso, dice lo psicoanalista. Nient'affatto, risponde il critico. Io voglio vedere le cose con i miei occhi, non con i tuoi. Sei tu che mi devi convincere con argomenti logici, non chiedermi di sottopormi al lavaggio di cervello per poi essere costretto a darti ragione. [pp. 205-206] [...]

Quando siamo innamorati noi temiamo di perdere la nostra capacità di amare, lo stato straordinario dell'innamoramento, anche se siamo infelici. Rinunciare allo stato nascente, perdere lo stato di grazia, è vissuto come una catastrofe irreparabile. Perché è stato assaporato qualcosa di indicibile, di sublime. È stata intravista quella che noi tutti riconosciamo come la meta ultima del nostro desiderio. L'assoluto, la beatitudine, il ritorno nel paradiso terrestre. E rinunciare alla possibilità di farvi la nostra dimora viene sentita come una colpa irreparabile, la colpa più grande.

Quando si trova nello stato nascente, il soggetto è attraversato da una energia straordinaria. Tutti i suoi sensi sono esaltati. Se vi rinuncia non perde solo la speranza della felicità, perde addirittura la sua capacità di sentire, di provare emozioni. Il mondo, che fino ad un momento prima era pieno di luci, di colori, diventa grigio. La gente, che fino ad un momento prima gli sembrava interessante, amica, diventa fredda, lontana. La stessa natura appassisce. Lui non sa più che cosa è e che cosa vuole.

Reciso il flusso vitale che lo alimentava, non ha più nessuna motivazione. Non gli importa nulla di nulla. Non prova più emozioni. Continua ad agire, ma solo perché imita se stesso, ripete i gesti che ha appreso. Si comporta come un automa freddo, arido, di pietra. È la pietrificazione, il raffreddamento dell'anima che avviene quando perdiamo i nostri oggetti assoluti di amore e di identificazione. Resta un unico sentimento vero, profondo, che si fa strada a fatica nel doloroso senso di inutilità, la nostalgia, che è nostalgia del paradiso perduto. [p.225] [...]

Nell'innamoramento è proprio la prossimità e la disponibilità della persona amata con cui appare irrealizzabile un progetto di vita, la fonte della forza che fa compiere il distacco. Distacco che sembra facile, perché il soggetto dispone ancora di energie sovrabbondanti che gli vengono da quell'amore. Ma, una volta compiuto e reso definitivo il distacco, quelle energie si annullano istantaneamente e il soggetto precipita nell'abisso della pietrificazione, in cui tutto diventa apparenza umbratile e ripetizione di gesti di cui conosce il senso perché furono voluti, ma che non hanno più rapporto con la volontà autentica. [p. 226] [...]

L'identificazione con il capo carismatico, con la sua persona concreta, consente di prolungare l'esperienza dello stato nascente anche quando questo è finito da tempo. Le proprietà del capo idealizzato sono tratte tutte dall'esperienza fondamentale dello stato nascente. Il capo è buono, si dedica totalmente agli altri, alla causa comune, non pensa a sé. Non ha bisogno di nulla, vive in modo frugale. Si prodiga, si sacrifica, non si risparmia.  È saggio, profondo, illuminato da Dio, comprende il senso e la direzione della storia. Ha una energia incredibile, sovrumana. Ha una straordinaria capacità di amare e di soffrire. È equilibrato, paziente, giusto. Molti degli attributi del capo sono attributi di Dio. È clemente e misericordioso, è infallibile. In questo modo il capo diventa un oggetto collettivo  non ambivalente d'amore. La sua immagine viene conservata luminosa e perfetta mediante i meccanismi depressivo e persecutivo. Non gli possono essere attribuiti errori, colpe o difetti. Se qualcosa va male la colpa sarà sempre nostra (depressione) o di un avversario malvagio (persecuzione).

È questa la situazione dello stato nascente? No. La struttura dello stato nascente è radicalmente diversa. Quella descritta è una struttura fissa, definita, una istituzione. Eppure i singoli individui, i membri del partito, della nazione, i seguaci della chiesa o della setta, hanno l'impressione di vivere in un'epoca straordinaria, sotta la guida di un individuo straordinario.

L'idealizzazione del capo prolunga, in modo irrazionale, l'esperienza straordinaria dello stato nascente. Finché Stalin era vivo, i comunisti credevano veramente di vivere nell'epoca decisiva della storia del mondo. Credevano ciecamente nella sua parola, nella sua guida. E lo stesso è accaduto con Hitler, con Mussolini, con Mao Tse-tung. E la gente, in quell'epoca, proiettava sul capo tutto ciò che sentiva di nobile, di grande e di sublime in se stessa. [p. 273] [...]

La comparsa dello stato nascente non deve assolutamente essere confusa con la comparsa di agitazioni, moti di piazza, manifestazioni. Si possono avere violente manifestazioni senza che vi sia stato nascente e importanti fenomeni di stato nascente senza alcuna manifestazione esterna. La pentecoste, il processo di stato nascente essenziale da cui nasce il cristianesimo, è stato un  fatto di pochi. La stragrande maggioranza delle agitazioni sindacali, con scioperi, cortei e slogans, non ha nulla a che fare con l'esperienza dello stato nascente.

Dopo quanto abbiamo detto su questo fenomeno, non è il caso di ripetere a quali aspetti dell'esperienza soggettiva occorre guardare. Possiamo dare solo un suggerimento empirico, un consiglio pratico. Ciò che segnala lo stato nascente non è la quantità di collera, di invettive, di violenza, di agitazione. Non è nemmeno il numero di persone coinvolte, la loro rabbia, la forza con cui gridano. Al contrario ciò che segnala, quasi senza errore, la presenza di uno stato nascente è una esplosione di gioia, di entusiasmo, di allegria, di gioco mista a commozione, a speranza. Lo stato nascente non viene quasi mai considerato pericoloso dalle istituzioni e dalle autorità proprio perché non ha un carattere violento, minaccioso, ma ha l'aspetto della festa improvvisa, dell'affratellamento giocoso. [pp. 357-58][...]

Questa è la differenza primaria, fondamentale, fra Oriente e Occidente: lo stato nascente e il nirvana. Lo stato nascente ci spinge a credere nel mondo, riempie il nostro cuore di passione, di speranza, di illusioni e ci porta ad agire. Il nirvana ci dà la pace, ma anche l'apatia, l'indifferenza e ci fa dubitare delle passioni, della speranza. Nello stato nascente la storia è una freccia volta verso il futuro, verso la perfezione. Nel nirvana la storia è un continuo ritorno del dolore e dell'illusione. Da essa si può sfuggire solo avviandoci nel nulla, nell'estinzione della sete di vivere.

Questa è la differenza fondamentale, abissale, fra Oriente e Occidente. Una differenza apparsa nel VI secolo avanti Cristo e che non si è più colmata. E ciò che accomuna le principali manifestazioni culturali dell'Occidente è il fatto di essere sorte dallo stato nascente, di esserne state animate. Questo è avvenuto nella filosofia e nella politica delle città stato greche, ma è avvenuto anche nel profetismo ebraico, perfino nelle grandi religioni rivelate: il giudaismo, il cristianesimo, l'islam.

Ciò che ha caratterizzato l'Occidente è stato il fatto di prendere sul serio l'idea di perfezione e di cercare di realizzarla nel mondo. Un'idea che non può essere ricavata dal mondo come è, ma che fa la sua comparsa come illuminazione, come fede, come rivelazione, come scoperta. Luce che trascende la realtà empirica e fa intravvedere, al di là di essa, una terra promessa, una conoscenza più piena della verità, un sistema politico più giusto. È la stessa esperienza che ha animato i profeti di Israele quando indicavano un ideale di  comunità politico-religiosa santa. O Pitagora quando, dopo aver scoperto i principi matematici del mondo, voleva realizzare una società giusta. O Platone, che cercava il sommo bene e si sforzava di descrivere la società perfetta. E, poi via via, fino a Paolo di Tarso, quando indica alle comunità dei cristiani il loro destino e la loro meta. Ad Agostino, quando descrive il rapporto fra la città terrena e la città di Dio. Così fino a Copernico, a Galileo, che intravvedono il «vero» ordine dell'universo. A Locke che scopre i principi del governo civile, a Kant che comprende il fondamento della morale. Ogni volta l'esperienza di una scoperta, di un disvelamento, un andare oltre. È questo il filo conduttore che unisce l'Occidente al di là delle differenze e delle fratture.

C'è frattura fra il mondo greco e il cristianesimo quando appare la riforma protestante. C'è frattura quando, con lo sviluppo del capitalismo e della scienza moderna, diventa impossibile una civilizzazione culturale. Eppure c'è anche continuità. La continuità rappresentata dal ruolo dello stato nascente e dei movimenti, scientifici, religiosi, etici e politici, nel produrre l'esperienza della riscoperta della verità e un'incessante spinta in avanti, un'inesausta ricerca della perfezione qui, nel mondo. [pp. 397-398]


Francesco Alberoni, Genesi, Garzanti, 1989, passim (sottolineature mie).

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