L'eresia considerata come delitto di lesa maestà

[...] con Lutero la minaccia maggiore all'orizzonte delle autorità romane tornava ad essere proprio l'eresia nel senso codificato da san Tommaso e dalla tradizione inquisitoriale domenicana: «errore dell'intelletto, al quale la volontà ostinatamente aderisce»; una definizione che alla fine del secolo l'Iconologia del Ripa portava a supporto dell'immagine simbolica dell'eresia proposta ai pittori - «una vecchia estenuata di spaventevole aspetto, getterà per la bocca fiamma affumicata, averà i crini disordinatamente sparsi et irti, il petto scoperto, come quasi tutto il resto del corpo, le mammelle asciutte e assai pendenti, terrà con la sinistra mano un libro succhiuso, donde appariscono uscire fuora serpenti, e con la destra mano mostri di spargerne varie sorti». Il libro, dunque: ecco la minaccia ed il veicolo fondamentale dell'eresia. La lotta contro la lettura e la circolazione dei libri proibiti impegnò subito la congregazione romana. Tra i suoi primi atti ci fu un decreto - del 12 luglio 1543 - che sta all'origine della battaglia cattolica contro l'idra dell'eresia e gli infiniti serpenti che la stampa faceva nascere.
Per schiacciare la testa a quei serpenti non bastava la condanna ecclesiastica. Tipico della tradizione cristiana, a questo proposito, era quel che potremmo definire lo strabismo dei poteri, la non completa saldatura tra potere politico e potere religioso. Da qui derivava, tra l'altro, la distinzione procedurale tra condanna ecclesiastica ed esecuzione statale. L'eretico, secondo la tradizione medievale, era reso tale non dal semplice errore ma dalla pertinacia nel sostenerlo dopo la condanna della Chiesa. Resistendo all'autorità, all'interno di un ordinamento politico cristiano, l'eretico è un ribelle anche al principe. La condanna ecclesiastica dell'eretico faceva tradizionalmente riferimento al dovere del potere politico di spegnerlo. Ora, la reazione ecclesiastica al caso Lutero, consistette proprio nel chiamare lo stato in suo aiuto agitando lo spettro della sovversione politica: l'eretico è pericoloso per l'ordine pubblico, chi non obbedisce a Dio  finirà presto o tardi per disobbedire anche al principe. La bolla di scomunica contro Lutero -  Exsurge Domine, del 1520 - si servì proprio di questo argomento: Lutero, come un cinghiale nella vigna del Signore, sovvertiva e minacciava le pianticelle, era un sedizioso. Da qui il  dovere dell'imperatore di metterlo a tacere, prima che diventasse un pericolo per il potere politico. C'era, in questo, un'eco di una tradizione antica, quella che affidava all'ordinamento politico del corpo cristiano il compito di garantire la difesa dall'eresia. Ma, nello stesso tempo, c'era un'enfatizzazione della pericolosità politica dell'eresia che sottintendeva un'offerta di alleanza tra poteri per garantire l'obbedienza dei sudditi.

Il delitto di eresia doveva essere assorbito all'interno di quello di sedizione o di «lesa maestà», di cui fu fatto un uso sempre più vasto al fine di consolidare il potere sovrano. L'eretico è un traditore (perduellis): tradire la fides comporta il venir meno della fidelitas come legame politico, perché l'eretico ne infrange il fondamento e dunque si rende meritevole di ogni punizione. Questo è l'orizzonte teorico di giuristi e di teologi rinverdito intorno al 1530: e da qui emanarono le misure prese dai poteri contro l'eresia. La turbolenta storia europea della rivolta dei contadini e della «nuova Gerusalemme» degli anabattisti dette corpo e sangue al fantasma della sovversione politica. È in questo contesto che le antiche regole del gioco che presiedevano al funzionamento dell'inquisizione ecclesiastica entrarono in crisi. 

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Ora, dalla corrispondenza diplomatica - lettere dei nunzi papali, dispacci degli inviati  o dei residenti a Roma per conto dei vari stati italiani - l'intervento romano in materia di eresia appare non diverso nel metodo rispetto a quello esercitato presso le corti non italiane; magari, di tono più deciso e duro nel merito, come si conveniva ai rapporti di potenza con staterelli minori, con piccoli e timorosi reggimenti cittadini. Si trattava di garantirsi che il tal mercante che aveva diffuso dottrine ereticali venisse preso e processato, che le sentenze di condanna venissero eseguite, che i libri proibiti non fossero lasciati circolare. L'azione del nunzio poteva essere all'occorrenza rinforzata da qualche documento ufficiale romano. Ma si faceva comunque riferimento all'opera di repressione che spettava al potere politico di quello stato. E l'argomento di rito, nei documenti ufficiali, era sempre quello: gli eretici sono motivo di divisione e fomite di ribellione, non possono essere fedeli agli uomini dato che hanno violato la fede data a Dio; pertanto, spetta al principe cristiano il compito di sradicarli. Né ci si limitava a sostenere l'argomento in maniera astratta: gli inviati e i rappresentanti diplomatici erano i tramiti di messaggi e avvertimenti sui pericoli di misteriose conventicole di eretici. Roma offriva queste sue conoscenze, che si immaginano filtrate attraverso le reti ecclesiastiche, come invito ad alleanze più strette e ad azioni più determinate contro gli eretici. A Bruges, nel 1540, l'inviato veneziano Francesco Contarini venne a sapere dal legato papale che a Roma si erano ricevute notizie fresche da Venezia «che in molti lochi di quella città si facevono  ridutti et conventicule per quelli (che) sentono la setta lutherana»; bisognava dunque - così si suggeriva da Roma - che le autorità veneziane provvedessero «et non lassassero che uno pomo marzo guastasse li altri che sono boni». Seguitavano considerazioni su quel che insegnava la storia contemporanea: «chi non provede a questi primi principii, seguitano poi delle cose, che si vedono hozzi in Germania et in Anglia, che non li à religione né anche obedientia alli signori temporali». In termini non dissimili, nel 1545 - e cioè dopo l'erezione della congregazione romana - Paolo III si rivolgeva al doge e al senato di Venezia: chi non è fedele a Dio non può essere fedele agli uomini, dunque gli eretici sono un pericolo per lo stato. Erano argomenti a cui  nessuno si opponeva - se si escludono pochi individui o gruppi isolati e duramente combattuti. Dopo la guerra dei contadini e la scelta di Lutero di schierarsi coi principi, dopo la sanguinosa repressione della «Nuova Gerusalemme» anabattistica, argomenti del genere erano diffusi da una parte e dall'altra delle barriere confessionali. I riformatori protestanti si sforzavano per loro conto di spiegare ai principi che la riforma evangelica a niente altro mirava che a far sì «che li populi stiano suggetti a li suoi Principi, et paghino li loro tributi».


Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, 2009, pp.47-49 e 52-53.

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