L'uso della Scrittura per giustificare la violenza contro gli eretici

Nelle sentenze solenni del Sant'Uffizio [...] si trova la puntuale ed elaborata argomentazione del tribunale e della sua opera. Davanti alla folla degli spettatori di quei riti terribili, la voce impersonale dell'istituzione argomentò, senza rischio di essere contestata, le ragioni dell'uso della forza in materia di fede. Chi le legge si trova davanti a testi che - secondo la tradizione della retorica ecclesiastica - nascondono i riferimenti alla polemica presente sotto il velo senza tempo delle citazioni scritturali, mentre realizzano il capolavoro di destrezza di rispondere con colpi di citazioni evangeliche e paoline alle accuse di tradimento della mitezza evangelica. Proviamo a scorrerne qualcuna, di quelle che furono lette nel 1567. Vi troviamo una struttura ripetitiva, fatta di un preambolo, una narrazione del caso, un elenco dei capi d'accusa, una sentenza vera e propria. Il preambolo è il luogo proprio delle dichiarazioni di ordine generale: ed è qui che troviamo le tracce del dialogo polemico intessuto dal Sant'Uffizio coi suoi accusatori.

Lo scenario doveva essere imponente e terribile. Curiosamente, nessun pittore ce ne ha lasciato un ricordo adeguato. Ma possiamo immaginare [...] i lugubri paramenti, il palco dove sedevano i giudici e gli imputati, la folla che si raccoglieva (per devozione, per curiosità, perché costretta). Il preambolo delle sentenze era aperto dall'autopresentazione dei cardinali membri del Sant'Uffizio [...]. Subito dopo, venivano fatte alcune considerazioni generali, che dovevano introdurre e giustificare la narrazione dettagliata del processo, le sue risultanze e la sentenza conclusiva. Fu questo il luogo delle sentenze riservato alla difesa del carattere cristiano del procedimento inquisitoriale, contro coloro che lo negavano.

L'inquisizione ecclesiastica è troppo severa, dicono i nemici. Ed ecco la risposta redatta per conto dei cardinali Scotti, Rebiba, Gambara e Pacheco:

Come non fu severità in San Paulo excommunicare et nelle mani di Sathana dare l'incestuoso Corinthio perché ciò fece a salute del suo spirito, così non hai da stimare rigore o crudeltà contro di te da noi usata poi che per la salute dell'anima tua da noi cercata è nato et avenuto che essendo stati informati per depositione de tuoi complici et con haver visto ancora carte con lettere confortatorie essortatorie et persuasorie a voler perseverar nelle opinioni heretice scritte a' tuoi complici che tu Gio. Paulo Gnitio libraro bresciano commorante a Venetia... [e qui seguiva la narrazione dei fatti emersi dal processo e dei capi d'accusa].

San Paolo è naturalmente l'autore prediletto in questo contesto. Ecco l'uso che se ne fa nella sentenza contro «Francesco Gotifredo Luxemburgense»:

Perché non solo siamo tenuti a Dio di servare ne' nostri cuori la sua santa Fede ma anco con esterna confessione a loco et tempo confessarla per testimonianza di san Paulo per la quale si lassò scritto «Corde creditur ad iustitiam ore autem fit confessio ad iudicem», volendo dire che intieramente non solamente nel core, ma etiamdio nelle parole et ragionamenti che si fanno con altri debbe il vero christiano abbracciare con tutto il core, con fatti et parole la sana dottrina della fede catholica... .

E ancora:

Dice l'Apostolo San Paulo, Dilettissimi et charisimi fratelli, vi priego ad osservare et attendere bene  a quelli che tra di voi seminano divisione et discordia con dare scandalo, et declinare dalla loro via, perché con suoi dolci ragionamenti, et tante sue benedittioni quali promettono a voi seducono il mero et puro core delle simplici anime, volendo inferire che li ingannatori et falsi christiani debeno separarsi da altri boni.

Ma anche la parola di Cristo poteva offrire spunti di utilizzazione non trascurabili. Ecco come i cardinali inquisitori se ne servirono nella sentenza contro il forlivese Fabrizio Armaroli:

Il Nostro Salvator volse ridurre da suoi gran peccati la città di Hierusalem et questo fece aprendoli la sua larga mano et gran liberalità, con darli assai doni et gratie, toccandoli il cuore con le sante et bone inspirationi sue, si bene la magior parte non li assentiva di accettarle opponendosi di sua propria voluntà a quello, et con questo ci insegna che habbiamo il libero arbitrio, et non manca Idio di chiamarci, et che il lume della fede è dono de Dio, ma da noi nasce l'errore et il fallo.

Con una certa disinvoltura nell'uso delle Scritture, tipica del resto di chi le trattava familiarmente nel proprio ufficio di uomo di Chiesa, si potevano piegare le frasi evangeliche di Cristo a significati che niente avevano a spartire con l'originale:

Christo Iesu salvator nostro diede una regola in San Mattheo a suoi discipoli con la quale se dovessino governare le cose pertinente alla s. Fede catholica dicendogli: se si ritrova chi dia scandalo a veri et meri fideli quali credono in me, è espediente che con un sasso al collo sia gittato al profondo del mare, per il che si manifesta che per il scandalizare uno nelle cose pertinenti alla s. Catholica romana fede merita la morte.

[...]

Il tempo presente è quello del governo duro e dell'aministrazione severa, dicono i giudici; non è colpa loro se si deve usare mano ferma nel correggere [...] 

Il concetto è ribadito spesso; la punizione è un compito paterno e salutare, che serve a chi ne è oggetto ma che si riflette positivamente su tutti gli altri [...]

Era la giustificazione tradizionale del sistema delle pene inserita nel complesso universo pedagogico tipico della chiesa tridentina. Ma si deve tener ben presente che queste considerazioni costituivano solo il preambolo della sentenza. La parte più cospicua era dedicata a un riassunto analitico delle risultanze del processo. Era un racconto:  il racconto di una catena di errori e di colpe, sfociante sulla punizione conclusiva - che era, naturalmente, sempre inferiore al carico dei delitti e che comunque non era destinata al risarcimento del male compiuto, ma doveva offrire alla società cristiana lo spettacolo dell'errore confutato. Per questa via, si componeva una vera e propria storia della vita dell'imputato: era un racconto non destinato a commuovere - come avveniva per quelli contenuti nelle suppliche dei condannati da altri tribunali criminali dell'epoca - ma destinato piuttosto a rendere esecrabili i modelli dell'errore. Nonostante la distinzione di rito tra errore ed errante, di questa virtuosa esecrazione dell'errore faceva le spese anche la vita del condannato. Da quelle sentenze, in seguito, dovevano essere ricavati brevi opuscoli a stampa, esibiti sui mercati e venduti per le piazze: è una letteratura che nacque dalla spettacolarizzazione della morte per via di giustizia e dunque non riguardò solo i condannati dell'Inquisizione. Ma in area cattolica fu l'Inquisizione a battere per prima l'uso della narrazione di casi di vita ai fini di una pedagogia dell'errore e dell'orrore.


Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, 2009, pp.172-175.

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