Come Lutero pervenne alla dottrina della giustificazione per sola fede.

Martin Lutero: maschera funebre
I tratti duri e oscuri dell'immagine di Dio in Lutero furono ulteriormente sottolineati ad opera della scuola teologica del nominalismo che dominava allora nelle Università di Erfurt e Wittemberg. Questa corrente, che risale al francescano inglese Guglielmo Ockham (morto attorno al 1347-49), accentua fortemente il concetto della sovranità e libertà assoluta di Dio, esasperandolo fino a intenderlo come una forma di arbitrio per noi inconcepibile. La volontà di Dio è assolutamente libera, tanto che nemmeno la sua propria essenza può limitarla. I comandamenti divini secondo questa dottrina, si fondano nella volontà, non nella natura di Dio. Se lo volesse, Dio potrebbe comandarci l'assassinio e l'adulterio e persino l'odio verso di Lui e ciò diverrebbe moralmente buono. La responsabilità della dannazione o della salvezza non è da ricercarsi nell'uomo, ma soltanto nella decisione da parte di Dio. Dio può stabilire ad esempio che chi oggi si trova in un determinato luogo sarà salvato e chi ci si troverà domani sarà dannato. Quindi colui che si fermerà colà da oggi a domani, passerà dalla condizione di futuro beato a quella di futuro dannato, senza che in lui si sia verificato alcun cambiamento.

I teologi nominalisti specularono abbondantemente sulla possibilità che Dio potesse condurre alla beatitudine l'uomo anche senza la grazia santificante. Certamente essi ritenevano ciò più conveniente volendo sottrarre all'uomo ogni pretesa alla salvezza, perché altrimenti si sarebbe potuta limitare la libertà assoluta di Dio. [...] La domanda pressante che egli [Lutero] , nella sua ansia di salvezza, si poneva insistentemente era questa: «Come posso io trovare un Dio misericordioso?». Questa ansia di salvezza lo spinse in convento, ove si proponeva di raggiungere la salvezza per mezzo di una severa ascesi e così diventare sicuro di trovarsi un giorno nel numero degli eletti. Lutero prese molto seriamente la vita monastica, senza concedere nulla a se stesso. [...]

In una predica sul battesimo, dell'1 febbraio 1534, egli racconta: «Sono stato monaco per quindici anni. Ciononostante il pensiero del mio battesimo non mi ha mai consolato, anzi sempre pensavo: quando vorrai diventare tanto pio e agire tanto rettamente da trovare un Dio misericordioso?».

Ogni sforzo gli sembrava dunque inutile; rimaneva sempre l'esperienza del peccato e, di conseguenza, la paura della collera di Dio. [...]

Egli racconta di essersi rifugiato, nella sua ansia di salvezza, nelle Sacre Scritture, ma di essere stato colpito ripetutamente dal passo dell'Epistola ai Romani 1,17, ove si dice che nel Vangelo, nel messaggio di salvezza che esso contiene, è rivelata la giustizia di Dio. Non basta forse, egli diceva a se stesso, che i poveri peccatori siano oppressi dalla legge dei dieci comandamenti? Bisogna anche che Dio ci mostri minacciosamente la sua giustizia e la sua ira perfino nel Vangelo? [...] Finché un giorno, per una illuminazione improvvisa, comprese il vero significato di giustizia divina, di una giustizia cioè che Dio dona a noi e nella quale il giusto vive per mezzo della grazia di Dio, se ha fede: giustizia quindi passiva - così la definisce Lutero - per mezzo della quale Dio, nella sua misericordia, ci giustifica mediante la fede. Egli si sentì subito rinascere, come se gli si fossero spalancate le porte del paradiso. Da allora tutta la Sacra Scrittura acquistò per lui un nuovo significato.


J. Lortz - E. Iserloh, Storia della Riforma, Il Mulino, 1990 (ed. or. 1969), pp. 38-40.

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