Il rapporto mente-corpo nelle attuali teorie filosofiche

Se gettiamo uno sguardo indietro alla strada percorsa [l'Autore si riferisce alle teorie esposte nel libro di cui questo brano costituisce la conclusione], possiamo notare con facilità come, nel mutare delle teorie scientifiche riguardo alla vita mentale dell'uomo, le cornici filosofiche generali entro le quali tali teorie si sono sviluppate siano rimaste relativamente costanti. L'anima di Platone è certo già molto diversa dalla mente di Descartes; e ancora più grande appare la differenza tra gli atomi sottili ai quali è riducibile l'anima di Democrito e i processi cerebrali studiati da Edelman. Ma, se si considera quale relazione i filosofi e gli scienziati abbiano visto tra ciò che nell'essere umano si suole chiamare la sua parte spirituale e ciò che costituisce il suo corpo, allora si nota una grande continuità tra l'antichità e i tempi nostri, poiché le soluzioni che in varia guisa sono state riproposte con maggiore insistenza sono fondamentalmente tre: il dualismo (o pluralismo), il materialismo e una 'terza via'  che si è presentata principalmente come ilomorfismo o come funzionalismo.

Una grande novità tuttavia oggi esiste: come abbiamo visto, nuove conoscenze scientifiche offerte dalle scienze cognitive e, in particolare, dalle neuroscienze impongono ai filosofi di riconsiderare in una nuova luce le soluzioni tradizionali del problema mente-corpo e rafforzano le teorie di stampo materialistico. Ciò non significa però che le vecchie dispute si attenuino. Anzi, è proprio nel progresso degli studi scientifici sul mentale che i filosofi trovano nuovo alimento per approfondire le loro divergenze!
Detto in breve, se si guarda al modo nel quale i filosofi (e anche gli scienziati, se sono interessati a problemi filosofici) valutano l'impatto, sulla relazione tra mente e corpo, dei dati sperimentali oggi messi a disposizione dalle neuroscienze, si può vedere con facilità che lo spartiacque fondamentale passa ancora , come ai tempi di Lamettrie¹, tra i materialisti e gli spiritualisti. Se si vuol essere più precisi al riguardo, si possono individuare almeno sei modi diversi di reagire alla 'intrusione' delle neuroscienze in quegli ambiti di studio - come la natura della coscienza, dell'io o dell'intenzionalità - un tempo riservati alla speculazione filosofica. Sei modi distribuiti tra due poli estremi: il primo ancorato al più rigido spiritualismo di origine religiosa, l'ultimo favorevole a un rigoroso naturalismo ontologico di tipo materialistico-eliminativistico (in genere accompagnato anche dall'ateismo).

1. Le scoperte e le teorie delle neuroscienze non hanno nulla a che fare con il problema filosofico della natura dell'anima e della mente. Questo punto di vista può essere sostenuto per due ragioni distinte:
  1.1 Credere nell'immortalità dell'anima non ha nulla a che vedere con una concezione del mondo scientifica e razionalistica, ma neppure è con essa in contrasto. A differenza dei mistici, che hanno sempre visto una contraddizione tra la fede e la ragione, i fautori di questa teoria difendono una forma debole di razionalismo, pensando, da un lato, che la ragione non sia mai  in contrasto con la fede, ma ritenendo anche, dall'altro, che quest'ultima vada oltre ciò che la ragione stessa può consentirci di conoscere (ad esempio, Possenti 2004b Mancuso 2007).
  1.2 Le scoperte e le teorie delle neuroscienze non possono insegnare nulla sull'etica e l'ontologia del mentale perché, in campo scientifico, ciascun livello d'analisi ha il suo proprio oggetto interno di studio ed esso non è confrontabile con gli oggetti interni degli altri livelli di analisi. Non esiste alcuna ontologia assoluta che sia valida per tutti i livelli di analisi; e inoltre talune discipline come l'etica possono formulare teorie che sono oggettivamente valide, sebbene siano prive di implicazioni ontologiche (Putnam 2004). In altre parole questa concezione del mentale coincide in sostanza con il naturalismo liberalizzato, del quale si è parlato in precedenza, e pertanto implica una versione relativistica del realismo scientifico secondo la quale ogni scienza ha degli impegni ontologici diversi che, appartenendo a livelli d'analisi distinti, devono essere considerati come dei mondi reciprocamente indipendenti e incommensurabili. In tal modo però questa teoria viene a cadere nel relativismo cognitivo e viene a negare l'unicità del mondo reale.

2. Il dualismo mente-corpo può essere completamente conciliato con una concezione scientifica del mondo e quindi anche con le scoperte e le teorie delle neuroscienze. La meccanica quantistica falsifica il determinismo, o meglio falsifica la teoria secondo la quale ogni evento fisico è causalmente determinato da altri precedenti eventi fisici. Ciò rende possibile l'ipotesi che l'attività del cervello umano, in quanto sistema fisico, non sia completamente determinata da precedenti eventi fisici e che perciò tutto  quello che in essa rimane indeterminato secondo le sole leggi della fisica possa essere causalmente determinato dalla mente cosciente (una mente dunque che, in virtù di questa sua 'esteriorità' rispetto al mondo fisico, potrebbe coincidere anche, almeno in linea di principio, con un'anima immortale). Questa è, ad esempio, la tesi di J. Eccles (1989) precedentemente esaminata². Tuttavia questa interferenza della mente cosciente sul funzionamento del cervello viola, almeno prima facie, il principio della chiusura causale dell'universo, vale a dire il principio di conservazione dell'energia. Infatti, se ogni relazione di causa-effetto richiede un trasferimento di energia dalla causa all'effetto (ad esempio Fair 1979), allora, se la causa di un qualche evento fisico potesse essere non fisica (essendo essa, ad esempio, un libero atto della mente cosciente), vi sarebbe un trasferimento di energia da un livello di realtà esterno al mondo fisico entro il mondo fisico stesso con conseguente aumento della quantità complessiva di energia in esso contenuta. E questa violazione del principio di conservazione dell'energia è ovviamente in contrasto con una concezione scientifica del mondo.

3. Tutti gli atti mentali volontari possono retroagire sul cervello dal quale essi emergono, sebbene richiedano necessariamente di essere sostenuti da sottostanti processi cerebrali. È questa una forma più debole del dualismo interazionistico mente-corpo illustrato al punto precedente, una forma sostenuta ad esempio da K. Popper (1994), come si è detto in precedenza³. Secondo questa concezione del mentale gli atti mentali appartengono a un livello di realtà (e non solo d'analisi) diverso da quello proprio dei processi cerebrali e di tutti gli altri eventi fisici, ma possono nondimeno interferire con il corso degli eventi del mondo fisico. Pertanto questa teoria - sebbene a differenza della precedente sottolinei che non possono esistere atti mentali che non richiedano di essere sottesi da processi cerebrali e venga quindi a negare, almeno implicitamente, la possibilità che l'anima potendo esistere anche senza essere collegata a un corpo, sia immortale - incappa anch'essa tuttavia nella violazione della chiusura del mondo fisico⁴.

4. La mente non può esistere se non viene sostenuta da una sottostante attività cerebrale; tuttavia, dopo che essa è emersa da tale attività, può retroagire sul cervello che l'ha generata, conferendo ad esempio agli esseri umani una libertà della volontà, della quale non potrebbero godere se essi fossero dei meri meccanismi governati da leggi naturali. Questa teoria coincide in sostanza con l'emergentismo e ne condivide tutte le ambiguità e le aporie prima segnalate. Simile è anche il punto di vista del materialismo non riduzionistico, anch'esso criticabile per le medesime ragioni⁵.

5. Gli stati mentali sono reali solo nel senso che è necessario attribuirli agli esseri umani per spiegare il loro comportamento e coincidono pertanto con quegli stati funzionali del cervello che l'evoluzione biologica ha selezionato per la loro capacità di guidare l'interazione tra gli animali e il loro ambiente in modo da incrementare la probabilità di riproduzione dei loro rispettivi genotipi. Secondo questa prospettiva, nella quale la filosofia della mente viene a legarsi indissolubilmente non solo all'informatica, ma anche alla biologia evolutiva, il materialismo è vero, ma solo nel senso che gli stati mentali devono essere considerati, per spiegare correttamente il comportamento umano e ricostruire la filogenesi della mente nell'evoluzione delle specie, come stati mentali implementati da processi cerebrali; stati virtuali che sono reali solo nel senso che vengono attribuiti agli altri (e a se stessi) quando si assuma verso di loro (o verso noi stessi) il cosiddetto 'atteggiamento intenzionale' (Dennett 1987)⁶. Questa concezione della mente formulata in primo luogo da Dennett, che lega lo studio della mente non tanto alle neuroscienze quanto alla biologia evolutiva,  è oggi ampiamente diffusa e deve essere considerata come una delle versioni più accreditate del naturalismo in filosofia della mente. Tuttavia altri filosofi naturalisti e neuroscienziati l'hanno criticata, obiettando che essa è ancora troppo legata al funzionalismo e all'analogia mente-computer e sottovaluta perciò la capacità delle neuroscienze di sostituirsi in modo più diretto alla riflessione filosofica nello studio della mente. Critica questa che è strettamente dipendente da una cornice teorica nella quale la filosofia della mente viene a porsi in un rapporto di piena continuità con le neuroscienze stesse.

6. I recenti sviluppi delle neuroscienze confermano e provano definitivamente che la migliore cornice teorica per la nascita di una nuova scienza della mente è costituita dall'eliminativismo e dalla «neurofilosofia» (P.S. Churchland 1986 e 2002)⁷. Le neuroscienze sono la sorgente principale alla quale devono attingere i filosofi per liberare la filosofia della mente da ogni obsoleto dualismo tra mente e cervello:

il vecchio caro problema mente-corpo è un retaggio di Cartesio: se, come egli pensa, la mente è interamente una sostanza non fisica, come può interagire con il cervello, che è invece fisico? Da quando il peso dell'evidenza empirica ha indicato che i processi mentali sono in realtà processi cerebrali, il problema di Cartesio è scomparso. Il classico problema mente-corpo è stato rimpiazzato da un insieme di questioni specifiche: quali meccanismi cerebrali spiegano l'apprendimento, il prendere decisioni, l'auto-inganno e così via? Ciò che rimpiazza il 'problema mente-corpo' non è un singolo problema; è piuttosto il vasto programma di ricerca della neuroscienza cognitiva (P.S. Churchland 2008, p. 409; traduzione mia).

Questa breve rassegna delle posizioni più diffuse tra i filosofi della mente, i teologi, gli scienziati e, più in generale tutti coloro che siano interessati a riflettere sui mutamenti provocati nell'immagine dell'uomo dalle scienze cognitive, in generale, e dalle neuroscienze, in particolare, conferma che in fondo anche il dibattito contemporaneo sull'immagine che gli esseri umani hanno di se stessi non si allontana molto dall'oscillare tra materialismo e spiritualismo, le due concezioni fondamentali sul rapporto mente-corpo che la società occidentale nei suoi duemilacinquecento anni di storia è stata capace di elaborare. E tuttavia non è difficle convincersi che,  sia pur tra ripensamenti e percorsi tortuosi, l'ipotesi materialistica e naturalistica ha guadagnato enormemente terreno negli ultimi secoli, con un'accelerazione significativa negli ultimi cinquant'anni. Mai come oggi è sembrato plausibile nella storia dell'umanità che come si può, dopo Darwin, fare a meno di Dio per spiegare la vita, così si può fare a meno dell'anima per spiegare l'intelligenza.

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¹ Cfr. supra  il paragrafo 2.4.
² Cfr. supra il paragrafo 4.3.1.
³ Cfr. anche in questo caso il paragrafo 4.3.1.
⁴ Per una critica di tutte le concezioni del mentale che violano la chiusura del mondo fisico sia consentito rinviare a Nannini (2004, pp. 72-82).
⁵ Sull'emergentismo e il materialismo non riduzionistico cfr. supra l'Introduzione, paragrafo 2. Cfr. inoltre Stephan (1999), Beckermann, Flohr e Kim (1992) e Macdonald e Macdonald (2010).
⁶ Su Dennett e l'atteggiamento intenzionale cfr. supra il paragrafo 4.3.4.
⁷ Cfr. supra l'Introduzione, paragrafo 2.


Sandro Nannini, L'anima e il corpo. Un'introduzione alla filosofia della mente, Laterza, 2011, pp. 227-232. [Tanto nel brano riportato che nelle note sono presenti dei riferimenti bibliografici. Riporto di seguito i dati completi dei testi a cui l'Autore fa riferimento]

Beckermann A., Flohr H. e Kim J. (eds.), Emergence or reduction? Essays on the prospects of nonreductive physicalism, De Gruyter, Berlin-New York, 1992. Churchland P.S., Neurophilosophy: Toward a Unified Science of the Mind-Brain, MIT Presse, Cambridge, MA, 1986. Churchland P.S., Brain-Wise: Studies in Neurophilosophy, MIT Presse, Cambridge, MA, 2002. Churchland P.S.The Impact of Neurosciences on Philosophy, «Neuron», 60, pp. 409-411, 2008. Dennett D.C., The Intentional Stance, 1987; trad. ital., L'atteggiamento intenzionale, Il Mulino, Bologna, 1993. Eccles J., 1989, trad. ital., Evoluzione del cervello e creazione dell'io, Armando, Roma, 1990. Fair D., Causation and the Flow of Energy, «Erkenntnis», 14,3, pp. 219-250, 1979. Macdonald C. Macdonald G. (eds.),Emergence in Mind, Oxford University Press, Oxford-New York, 2010. Mancuso V., L'anima e il suo destino, Cortina, Milano, 2007. Nannini S., Mental causation and intentionality in A Mind Naturalizing Theory, in A. Peruzzi (ed.), Mind and Causality, John Benjamins, Amsterdam-Philapdelphia, pp. 69-95, 2004. Popper K.R., 1994: trad. ital. La conoscenza e il problema mente-corpo, Il Mulino, Bologna, 1994. Possenti V. et alii, L'anima, Mondadori, Milano, 2004. Putnam H., 2004: trad. ital. Etica senza ontologia, B. Mondadori, Milano, 2006. Stephan A., Emergenz: Von der Unvorhersagbarkeit zur Selbstorganisation, Dresden University Press, Dresden-München, 1999.

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