L'enigma della responsabilità

[...] se per spiegare la responsabilità occorre prima spiegare la libertà - se se [...] la possibilità stessa della libertà costituisce un problema filosofico tra i più complessi, è ragionevole attendersi che un'analoga problematica si comunichi anche al concetto di responsabilità. E, in effetti, ciò è proprio quanto accade. Roderick Chisholm descrive molto bene l'impasse teorica  in cui si trovano coloro i quali tentano di fondare metafisicamente la nozione di responsabilità su quella di libertà:

Sembra dunque che ci troviamo di fronte a un dilemma: o le nostre scelte hanno condizioni causali sufficienti [ovvero, sono determinate] oppure non le hanno [ovvero, sono indeterminate]; se hanno condizioni causali sufficienti esse non sono evitabili; se non le hanno, sono fortuite o casuali; dunque, poiché  o le nostre scelte sono inevitabili oppure sono fortuite, noi non siamo responsabili di esse.

L'enigma della responsabilità è dunque una conseguenza dell'enigma della libertà: se le nostre azioni sono inevitabili (ciò che accade se esse sono il prodotto di una catena causale deterministica), non è ragionevole ritenere che noi ne siamo responsabili, in quanto non avremmo potuto fare altrimenti. Se le nostre azioni sono invece casuali (ciò che accade se sono indeterminate), non c'è ragione di pensare che noi avremmo potuto fare alcunché per evitarle e, di nuovo, non siamo responsabili di esse. Detto altrimenti: dato che non si riesce a spiegare in quale caso possa darsi un'azione libera (poiché le azioni o sono inevitabili o sono casuali), non si può neanche dire in quali condizioni si possa essere responsabili di un'azione. In questa luce, dare conto dell'idea di responsabilità si presenta come un compito estremamente arduo.

Su questa base non sorprende che negli ultimi anni molti autori abbiano mosso attacchi scettici contro l'idea di responsabilità. Uno dei campioni di questo orientamento, Richard Double, ha scritto ad esempio:

L'attribuzione di responsabilità ad una determinata persona non presuppone la sua [effettiva] responsabilità più di quanto ritenere qualcuno incantevole presupponga l'esistenza oggettiva della proprietà dell'incantevolezza [...]. Il quadro più probabile di ciò che esiste - che le scelte umane siano determinate o meno - non contiene né le libere scelte né la responsabilità morale.

Analogamente altri autori contemporanei (come Bruce Waller, Ted Honderich e Saul Smilansky), sostengono che l'idea di responsabilità per quanto intuitiva è - al pari di quella di libertà - meramente illusoria. Il già citato Galen Strawson è molto esplicito nel trarre le conclusioni che seguono da questa tesi rispetto alla concezione retributiva delle pene (e delle ricompense):

C'è un  senso fondamentale in cui, in definitiva, nessuna punizione o nessuna ricompensa è giusta. Punire o ricompensare le persone per le loro azioni è tanto giusto quanto lo sarebbe punirle o premiarle per il colore (naturale) dei loro capelli o per la forma (naturale) dei loro volti.

[...]

In tale prospettiva, le intuizioni fondamentali alla base dell'etica e del diritto vanno, dunque, radicalmente ripensate. Così, ad esempio, Clarence Darrow - celebre avvocato di Chicago - usò metodicamente l'argomento secondo il quale nessun criminale può essere considerato veramente responsabile per  i propri reati e ciò perché i fattori  socioculturali e biologici ne determinano completamente il carattere e, di conseguenza, le azioni:

Ci sono abbastanza statistiche per essere certi che ogni caso criminale potrebbe essere spiegato su basi puramente scientifiche, se fossero conosciuti tutti i fatti che vi hanno condotto: sistemi nervosi anormali, mancanza di istruzione o di addestramento [...], sfavorevoli fattori ereditari, infanzia sfortunata, squilibri emotivi.

Per Darrow, dato che non siamo liberi di scegliere e di agire, non siamo nemmeno responsabili per le azioni che compiamo né meritiamo le punizioni che talora ce ne derivano. Analogamente si esprimono altri autori, da Moritz Schlick a Daniel Dennett:

La pena è uno strumento educativo, e come tale atto a costituire motivazioni, che da una parte devono impedire al trasgressore la ripetizione dell'azione (riabilitazione), dall'altra devono impedire ad altri di commettere azioni simili (intimidazione). Analogamente, nel caso della remunerazione abbiamo a che fare con incentivi.

Secondo questo punto di vista, non ha senso dire che i criminali meritano le pene loro attribuite o che queste sono la giusta retribuzione per i loro reati. Le pene, piuttosto, si giustificano per la loro  utilità sociale, in quanto misure rieducative per gli autori di atti criminosi e deterrenti per i criminali potenziali (la giustificazione utilitaristica dei giudizi morali è analoga a quella delle pene: le lodi e le critiche hanno la funzione di incentivare i comportamenti benefici e disincentivare gli altri). In tal modo, la nozione di responsabilità viene definita in termini esclusivamente pragmatici: un agente è moralmente e penalmente responsabile se, e solo se, indirizzandogli giudizi morali o comminandogli pene si possono ottenere conseguenze utili sul piano pratico. Secondo questo punto di vista, che possiamo chiamare 'tesi della regolazione sociale', non c'è alcun buon motivo per interessarsi alla questione del nesso tra responsabilità e libertà - e meno ancora per preoccuparsi dell'apparente insolubilità del problema della libertà - semplicemente perché i due concetti sono sostanzialmente irrelati  



Mario De Caro, Il libero arbitrio. Una introduzione, Laterza, 2004, pp. 101-102 e 107-108.

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