Libero arbitrio e indeterminazione quantistica

[...] è opinione oggi diffusa che l'indeterminismo quantistico non abbia ricadute significative al livello macroscopico: così, secondo molti autori, alla luce delle nostre attuali conoscenze è ragionevole ritenere che al livello macroscopico la tesi deterministica sia approssimativamente vera, e che, dunque, gli eventi macroscopici in genere, e le nostre azioni in particolare, manifestano comportamenti sostanzialmente deterministici. Questo atteggiamento trova corrispondenza in molte scienze particolari: così, al contrario di quanto accade in microfisica, nell'ambito delle scienze del comportamento si assiste oggi a una potente ripresa di credito di teorie che, a vario titolo, possono dirsi deterministiche. Lo spettro teorico, in questo senso, è molto ampio: teorie deterministiche sono oggi comuni in biologia (con il determinismo genetico, ad esempio), nelle neuroscienze, in psicologia (si pensi alla psicologia evoluzionistica), in molte teorie delle scienze sociali. Da ciò segue che se veramente il determinismo rappresentasse una minaccia per la libertà umana (un punto, in realtà, come vedremo, controverso), allora dovremmo concludere che quella minaccia non ha cessato di incombere su di noi.

E non è tutto. C'è infatti un argomento che dovrebbe farci sospettare che il problema della libertà non sarebbe risolto neppure se un giorno si riuscisse effettivamente a mostrare che l'ambito dell'agire umano è indeterministico. In sé, in effetti, il mero indeterminismo fisico - comportando la semplice casualità degli avvenimenti - non garantisce affatto la libertà; anzi, secondo molti filosofi, la rende impossibile. L'idea è che se fosse vero l'indeterminismo le azioni umane, al pari di tutti gli altri eventi, sarebbero fisicamente indeterminate; nulla, dunque, ne determinerebbe il verificarsi - a fortiori, nemmeno gli agenti. Ma in questo modo gli agenti non eserciterebbero alcun controllo sulle proprie azioni; e dunque - conclude questo argomento - la libertà collasserebbe sul caso. Indubbiamente l'idea di libertà che ci sta a cuore (quella connessa all'autonomia, alla responsabilità, alla retribuzione, alla dignità, alla razionalità) non ha nulla a che spartire con il caso, con la mera accidentalità; non sorprenderà, dunque, che le implicazioni di questo argomento siano molto discusse. Secondo alcuni autori, infatti, esso dimostra che l'indeterminismo non può in alcun caso coesistere con la libertà, mentre altri lo negano. Di una cosa almeno possiamo comunque essere certi: ovvero che questo argomento prova che l'indeterminismo non è condizione sufficiente della libertà - come invece implicitamente assumono quanti sostengono che se il mondo fosse indeterministico, allora il mistero della libertà si dissolverebbe.

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Questo argomento [...] è molto importante; dunque dobbiamo analizzarlo in qualche dettaglio.

Come abbiamo visto, una delle due condizioni essenziali della libertà è che al soggetto siano accessibili corsi d'azione alternativi. Questa possibilità, naturalmente, è costitutivamente implicita nell'indeterminismo, proprio perché secondo questa concezione nessun fattore predetermina ciò che accadrà: dunque, come spesso si dice, in un mondo indeterministico il futuro è aperto (se il lancio di un dado fosse effettivamente un processo indeterministico, non sarebbe pertanto predeterminato il numero che ne risulterebbe). Sembrerebbe che l'indeterminismo sia l'humus adatto per la libertà; ma le cose, purtroppo, non sono affatto così semplici. In un ambiente indeterministico, infatti, per definizione nulla - e dunque nemmeno l'agente - può determinare quali tra i corsi d'azione possibili si attualizzerà: in questo senso, la selezione appare governata dal caso. E il caso è la negazione della libertà.

Questo ragionamento può essere reso più perspicuo modificando i termini di un classico esperimento mentale contemporaneo proposto da Hilary Putnam. Immaginiamo dunque un universo parallelo che sia governato dalle stesse leggi di natura e che fino ad ora abbia avuto una storia assolutamente uguale al nostro universo. Da ciò segue che lo stato in cui l'universo parallelo si trova ora è identico a quello in cui si trova il nostro. Immaginiamo, allora, che nel nostro universo un agente si trovi a dover compiere una scelta tra due corsi d'azione, A e B. Per definizione, nell'universo parallelo c'è il duplicato di questo agente, a lui assolutamente identico, che si trova a dover compiere  esattamente la stessa scelta. Ammettiamo ora che da questo momento in poi i due universi comincino ad essere governati da leggi indeterministiche. A questo punto, dunque, le storie dei due universi si divaricano: così, ad esempio, nel nostro universo l'agente sceglie il corso d'azione A e nell'altro il suo gemello sceglie il corso d'azione B (ciò è possibile perché in un universo indeterministico gli stati dell'universo non sempre determinano gli stati successivi).

Ora la domanda che dobbiamo porci è questa: dato che l'agente e il suo gemello sono per definizione assolutamente identici - e dunque sono identici tutti i loro stati mentali (credenze, desideri, intenzioni, ecc.) - su quale base l'uno sceglie il corso d'azione A e l'altro il corso d'azione B? Qual è, per usare un termine della metafisica classica, la ragione sufficiente di tale divaricazione? La differenza di tali scelte, in effetti, non può essere ascritta né agli agenti né alla loro volontà né ai loro stati mentali, che sono identici. In nessun modo si può allora dire che gli agenti determinino ciò che accade o che essi controllino le proprie scelte e le azioni. Esse avvengono, dunque, per puro caso, per mera accidentalità. Ma se il nostro universo fosse effettivamente indeterministico, allora questa situazione si potrebbe generalizzare a tutte le nostre azioni. Tutte, cioè, sarebbero frutto del caso.

Intuitivamente, però, è chiaro che, per dirsi libera, un'azione o una scelta non può essere meramente casuale, ma deve essere, in qualche misura rilevante, sotto il controllo dell'agente (o della sua volontà o della sua razionalità o di qualche suo adeguato stato mentale). Quando una persona getta due dadi - non truccati - sperando che diano sette, e ciò accade effettivamente, non diciamo certo che si tratti di un caso di esercizio della libertà, ma solo di mera accidentalità (o di 'fortuna', per usare una categoria della metafisica ingenua - ma non solo di essa). Quell'agente, infatti, non poteva in alcun modo controllare il risultato che i dadi avrebbero prodotto.

Il libertarismo [l'idea che l'uomo possieda il libero arbitrio] è dunque esposto all'accusa che l'appello all'indeterminismo, implicando la casualità, lungi dal permettere di dare conto della libertà, di fatto la rende impossibile, perché rende impossibile il controllo degli agenti sulle proprie azioni: e in tal modo anche le idee di responsabilità e razionalità paiono inesorabilmente compromesse. Oggi, come detto nell'introduzione, un argomento di questo genere è sovente ripetuto contro i libertari che tentano di dimostrare la libertà umana facendo appello all'indeterminismo quantistico.


Mario De Caro, Il libero arbitrio. Una introduzione, Laterza, 2004, pp. 18-20 e 30-32.

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