Gesù come riformatore religioso del giudaismo (nel solco del fariseismo)

Che Gesù si faccia discepolo di Giovanni e riceva da lui il battesimo fa innanzitutto supporre come il suo cammino personale s'inscriva senza residui nella dinamica [...] circa il movimento fariseo, resa radicale dai battisti. Egli dunque - ne deriva in particolare - pensa che il Regno di Dio non sia qualcosa di politico e di futuro, ma una faccenda personale. Ciascuno può, grazie alla conversione-pentimento, accedere ora ai beni della promessa divina, anche se la ricompensa sarà integralmente effettiva solo al momento della resurrezione dei giusti. E non è per nulla la conversione a una nuova religione: inserendosi nella tradizione profetica, è un appello a conformarsi del tutto all'ideale di esistenza tracciato dalla tradizione ebraica in quel che ha di più autentico, ossia allorché esprime l'esigenza di Dio. In secondo luogo, l'esperienza battista vissuta da Gesù serve da trampolino per la sua azione personale: non tanto, forse, permettendogli di progettare per sé un percorso analogo, quanto offrendogli l'opportunità di maturare una propria concezione del Regno di Dio.

[...] Gesù non contrappone la sua legge alla Legge, come i cristiani saranno portati a dire per segnare lo stacco del cristianesimo di fronte al giudaismo, presentando, a tal fine, un Gesù che proclama, con l'autorità medesima di Yahveh, il Decalogo della Nuova Alleanza: «Avete sentito che fu detto dagli antichi... ma io vi dico» (Mt., 5, 21-44). Grazie all'interrogazione sapienziale, espressa nel prisma profetico secolare (da dove deriva, spesso, l'uso di un linguaggio parabolico), Gesù non si colloca in una logica di contestazione o di antitesi radicale. Non contrappone al giudaismo qualcosa di altro da esso. Non vuole proporre una dottrina particolare, né una nuova Legge in luogo della Legge. Cerca di enunciare la Legge della Legge, di recuperare ciò che la fonda autenticamente, insieme come Parola divina e parola umana. Certe formule, anche se non sono state pronunciate esattamente nei termini in cui le riportano gli evangelisti, possono tuttavia essere considerate come espressione sostanziale del suo pensiero: «Ma è più facile che passino il cielo e la terra piuttosto che cada un solo apice della legge»; «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato»; «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Analogamente, se frequenta i pescatori, mangia con i pubblicani, frequenta i Samaritani e accoglie le prostitute non è per sfidare le regole della purezza. È per affermare che è l'uomo ad essere al centro della Parola divina, che l'uomo è il compimento di essa.

In questa prospettiva, spetta a ciascuno rispondere personalmente e non in maniera collettiva e generale (di qui la necessità di una «conversione» individuale, espressione di una libertà che si sottomette alla volontà divina). Parimenti, non è la morte fisica che bisogna temere, ma un genere di vita peggiore della morte poiché cagiona il castigo di Dio. Ecco quale parrebbe essere l'essenziale dell'omelia tramite cui Gesù enuncia il perfezionamento del giudaismo. Dato che a certuni non sembra vi sia in essa null'altro di quanto dica la tradizione nella sua vena migliore, tale nucleo di insegnamenti può diventare, malgrado la morte ingiusta e ignominiosa sulla croce (o forse a causa di questa, come espressione suprema della ripulsa da parte del giudaismo istituzionale ed espressione suprema di una vita adempiuta conformemente alla volontà divina), il fondamento della nuova omelia che i discepoli proferiranno. Ecco quale parrebbe essere l'essenziale di quella «filosofia» che sarà riconosciuta come «il messaggio evangelico», a prescindere dalle sovradeterminazioni ad esso successivamente imposte da coloro che lo trasmetteranno. Se Gesù è stato infatti capito, se dei discepoli si sono riconosciuti in lui, è perché i discorsi che ha tenuti e l'atteggiamento che ha avuto formulavano e rappresentavano ciò che a loro sembrava essere l'espressione ideale del giudaismo stesso, così almeno come la proclamazione sinagogale poteva già darlo a comprendere e vivere.


Maurice Sachot, La predicazione del Cristo. Genesi di una religione, Einaudi, 1999 [notare che il titolo originale francese suona L'invention du Christ. Genèse d'une religion. Evidentemente, per motivi politici, in Italia una casa editrice di punta come l'Einaudi non se l'è sentita di tradurre letteralmente un titolo così forte. Sottolineature mie], pp. 41-42 e 45-46.

Commenti

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  2. Quanto detto da Sachot riecheggia le considerazioni di L. Bonanate sul Gesù "fondatore" della chiesa cristiana: http://apidimandeville.blogspot.it/2014/11/gesu-fondatore-della-chiesa.html

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