Il sovvertimento della filosofia greca da parte del cristianesimo

Se vi è un punto su cui si raccoglie l'unanimità tra i pensatori cristiani, quali che siano le scuole di appartenenza, questo è lo statuto riservato alla filosofia cristiana. Essa è «la sola filosofia certa e conveniente» ([...], Giustino, Dialogo con Trifone, 8, I). Una pretesa del genere è contraria a ogni epistemologia filosofica. Anzi, ne è la negazione. Per un filosofo, la verità è enunciazione umana, è costrutto umano. Non è bella e pronta, ma il risultato di una lunga e paziente ricerca, frutto di un'interrogazione [...] e di una sua messa in forma. Peraltro, la verità è destinata a rimanere frammentaria e incerta. Gli scettici - piuttosto numerosi nel II secolo - arrivano ad affermare come la sola certezza possibile è che la verità non può mai essere raggiunta.

Pretendere, alla stregua dei cristiani, che la loro filosofia sia «la sola vera ed autentica» non può farsi se non a prezzo di un sovvertimento della procedura filosofica, per cui essa si trasforma in tragitto di fede (pistis). Nell'ambiente sinagogale, il passaggio dalla procalmazione omiletica alla proclamazione cristica è avvenuto in virtù di un rovesciamento del modello: dire che l'omelia individuava la sua realizzazione storica in Gesù, significava fare di lui il Cristo, la nuova Legge a partire dalla quale i Profeti e la Legge antica andavano ormai interpretati. Un fenomeno analogo si produce allorché il movimento cristiano si enuncia come filosofia: il modello filosofico è anch'esso rovesciato nella sua procedura.  Il vettore semitico, sotto la forma della rivelazione, si inscrive all'interno del vettore filosofico greco e si sostituisce a ciò che ne rappresenta l' essenza medesima. La conoscenza non è più solamente un'attività dell' intelligenza umana e personale, un tentativo mai pienamente riuscito e sicuro, ma innanzitutto un dono di Dio stesso, dono che è sufficiente accogliere con un atto di fede. La verità non si situa più a valle, ma a monte.  Non è più al termine, ma all'inizio. Non è più caratterizzata dal dubbio, ma dalla certezza assoluta.  Non essendo più un'affermazione umana, ma provenendo da Dio in persona, non può più essere inattendibile, non è più una doxa, una «opinione», ma s'mpone come un dogma, un «decreto». L'opinione cede il passo al dogma. Si trasmigra dal verosimile al vero, dalla verità parzialmente adombrata, alla verità totalmente rivelata. La scuola filosofica costituita dai cristiani, a simili condizioni, non si trova sul medesimo piano delle altre scuole di filosofia. Poiché essa è divina, mentre quelle sono unicamente umane, poiché la verità e la conoscenza della verità stanno interamente dalla sua parte, essa le supera, si potrebbe dire, in misura assoluta, dichiarandole se non illusorie e ingannevoli, almeno effimere e incerte. Non è neppure, ai propri occhi, una «scuola», una hairesis, visto che ciò significherebbe condividerne il cammino brancolante. Essa è più della stessa filosofia. È la Verità stessa: [...] «il nostro insegnamento è superiore a ogni filosofia umana», dichiara Giustino (II, Apologia, XV, 3).

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Poco importa, a questo punto, se, nella prospettiva cristiana, occorra riconoscere o meno alla filosofia in sé un qualche ruolo nella conoscenza della verità. Gli intellettuali cristiani del II secolo, lo si sa, sono divisi in proposito: Taziano, Teofilo di Antiochia, Ireneo e Tertulliano emettono un verdetto negativo. Giustino, Clemente Alessandrino, poi Origene (nel III secolo) si mostrano meno perentori: sono, infatti, consapevoli che il loro discorso mancherebbe di una necessaria base intellettuale se sprovvisto di questo vettore primo, senza peraltro riconoscerne un pieno possesso ai filosofi. «Non che gli insegnamenti di Platone siano dissimili da quelli del Cristo, - scrive Giustino, - ma non sono in tutto simili e così neppure quelli degli altri, Stoici, poeti e scrittori. Ognuno, infatti, vedendo del divino Logos seminale, in modo parziale, ciò che gli era affine, di questo ha potuto parlare con proprietà. Ma col loro contraddirsi sui punti essenziali essi palesano di non disporre di una scienza elevata né di una conoscenza irrefutabile» (Giustino, II Apologia, XIII, 2-3). La dottrina della disseminazione seminale del Logos (spermatikos logos), oltre a porgere materia per una lettura di Gesù Cristo come manifestazione, appunto, del logos divino, consente di fornire un puntello teorico all'argomento del «furto» (i filosofi e i poeti greci avrebbero attinto a Mosè e ai profeti) e di costruire una teologia nonché una cristologia che trascendono tutte le scuole filosofiche, pur assorbendo da ciascuna di queste quanto serve al loro discorso.


Maurice Sachot, La predicazione del Cristo. Genesi di una religione, Einaudi, 1999, pp. 128-129 e 131.

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