L'addolcimento dei costumi nelle società altamente differenziate

Se cerchiamo un'immagine semplice che possa mettere in luce questa differenza tra l'inserimento del singolo in una società poco differenziata, è sufficiente rammentare i tipi di vie e di strade nei due diversi tipi di società. Esse sono in un certo senso funzioni spaziali dell'interdipendenza sociale, la cui totalità non può più essere espressa soltanto da un apparato concettuale ricavato da un continuum quadridimensionale. Si considerino le strade di campagna – accidentate, non lastricate, rese sconnesse dalla pioggia e dal vento – di una semplice società di guerrieri a economia prevalentemente naturale. Il traffico, a parte poche eccezioni, è scarso; il pericolo principale per gli uomini è rappresentato dalla guerra o da un attacco di briganti. Se gli uomini si guardano attorno, se scrutano alberi e colline lo fanno innanzitutto perché debbono sempre aspettarsi di essere attaccati con le armi, e soltanto in secondo o in terzo luogo perché debbono scansare qualcuno. Quando si percorrono le strade principali, in questa società, bisogna essere sempre pronti a combattere e a far emergere la propria aggressività per difendere la propria vita o i propri beni contro un attacco. La circolazione sulle strade principali di una grande città, nella più differenziata società dell'epoca nostra, esige tutt'altro adattamento dell'apparato psichico. Qui il pericolo di un attacco di guerrieri o di briganti è ridotto al minimo. Le automobili sfrecciano avanti e indietro; pedoni e ciclisti cercano di destreggiarsi in mezzo alla confusione delle macchine; ai grandi incroci i vigili urbani cercano con maggiore o minore fortuna di regolare il traffico. Ma questa regolazione dall'esterno è concordata a priori in modo tale che ciascuno regoli rigidamente da sé il proprio comportamento secondo le necessità di questo intreccio di interdipendenze. Il pericolo principale cui l'uomo è esposto qui, è che qualcuno in questo ingranaggio perda l'autocontrollo. Sono necessari un costante controllo di sé, un'autoregolazione del comportamento altamente differenziata perché il singolo sappia destreggiarsi in mezzo al traffico. È sufficiente che la tensione provocata da questa necessità di costante autoregolazione divenga troppo forte per l'individuo, perché egli stesso e altri si trovino in pericolo di morte.

Si tratta, naturalmente, soltanto di un'immagine. L'intreccio delle catene di azioni in cui si trova coinvolta ogni singola azione all'interno di questa società differenziata è assai più complicato, gli autocontrolli a cui la vita ci abitua fin da piccoli son assai più profondamente radicati di quanto non risulti da questo esempio. Tuttavia, esso dà se non altro un'idea del nesso esistente tra l'habitus psichico dell'uomo «civile», così profondamente condizionato dalla persistenza e differenziazione delle autocostrizioni, e la differenziazione delle funzioni sociali, la molteplicità delle azioni che debbono essere costantemente accordate tra loro.

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Negli spazi in cui l'impiego della violenza è un evento quotidiano e inevitabile e in cui le catene di interdipendenza sono abbastanza brevi perché gli individui vivono per la maggior parte dei prodotti della loro terra, non è necessario né possibile né utile un costante controllo delle pulsioni e degli affetti. La vita dei guerrieri, ma anche quella di tutti gli altri che vivono in questa società di guerrieri, trascorre incessantemente e direttamente sotto la minaccia di aggressioni violente; pertanto se la paragoniamo alla vita negli spazi pacificati essa oscilla tra due estremi. Il guerriero ha la possibilità – rispetto ad altre società – di godere di una libertà eccezionalmente ampia per quanto concerne l'espressione dei suoi sentimenti e passioni, di abbandonarsi ai piaceri selvaggi, di saziare sfrenatamente i suoi impulsi sessuali o anche i suoi odi distruggendo tutto ciò che è nemico o che appartiene al nemico. Ma, nello stesso tempo, quando è sconfitto, è tremendamente esposto alla violenza e alle passioni altrui, a un asservimento così radicale, a forme talmente estreme di tortura fisica che successivamente, quando le torture fisiche, la cattura e la totale umiliazione del singolo saranno diventate monopolio del potere centrale, nella vita quotidiana di norma non esisteranno più. A causa di tale monopolizzazione, la minaccia fisica che pesa sul singolo assumerà lentamente un carattere più impersonale; non dipenderà più in un modo altrettanto immediato da emozioni improvvise; a poco a poco sarà sempre più sottoposta a regole e leggi precise; e infine anche in caso di tragressione delle leggi si addolcirà, entro precisi limiti e nonostante certe fluttuazioni.

Come abbiamo visto, dunque, la maggior libertà pulsionale e la più accentuata minaccia fisica, che si ritrovano sempre nelle società in cui non si sono ancora formati i monopoli centrali solidi e forti, sono fenomeni complementari. In questa struttura della società la possibilità per il vincitore e per il libero di dare sfogo a pulsioni ed affetti è maggiore, ma è maggiore anche il pericolo che l'individuo corre da parte degli altri ed è sempre presente la possibilità dell'asservimento e della più brutale umiliazione, qualora un uomo si trovi in potere di un altro. Ciò non vale soltanto per i rapporti tra guerrieri, tra i quali con il progredire della monetizzazione e il restringersi del campo della libera concorrenza si è via via venuto creando un codice di comportamento che impone di mitigare gli affetti: anche nella società nel suo complesso la libertà d'azione del signore rispetto alla limitatezza della condizione femminile e alla inerme dipendenza dei sudditi, dei vinti e dei servi della gleba è infinitamente più accentuata di quanto non sarà in seguito.

Ad un'esistenza in balia di simili estremi, alla costante insicurezza imposta al singolo dalla struttura di questo intreccio sociale corrisponde la struttura del comportamento e dell'economia psichica individuali. Come i rapporti tra uomo e uomo possono tradursi per il singolo individuo in un atroce pericolo o nella possibilità subitanea e imprevedibile di vincere o di essere liberato, così anche il piacere e la sofferenza si alternano di continuo e in modo subitaneo. In effetti, la funzione sociale del libero guerriero è assai poco strutturata al fine di poter prevedere a distanza i pericoli, di poter valutare con esattezza le ripercussioni delle singole azioni sul terzo o quarto membro della catena, anche se già nel Medioevo la crescente centralizzazione della forza militare ha lentamente avviato una trasformazione in tal senso. Ma all'inizio è sempre la situazione presente che stimola l'impulso; mutando la situazione presente mutano anche le manifestazioni affettive; se essa apporta piacere, questo piacere viene gustato fino al fondo senza riserve. L'insopprimibile inquietudine, la costante vicinanza del pericolo, tutta l'atmosfera di questa vita così poco prevedibile e insicura, in cui esistono tuttavia piccole e spesso fugaci isole di un'esistenza più riparata, provocano assai spesso e anche senza bisogno di stimoli esterni questi subitanei passaggi dalla gioia più sfrenata alla più profonda contrizione e penitenza. In questa esistenza l'anima, diciamo così, è assai più pronta a passare con la stessa intensità da un estremo all'altro, e spesso sono sufficienti impressioni minime, associazioni incontrollabili per far esplodere l'angoscia e un improvviso cambiamento di umore.

Quando muta la struttura dei rapporti umani, quando si formano le organizzazioni monopolistiche della violenza fisica e non sono più le costrizioni delle faide e guerre permanenti ma le più costanti costrizioni di funzioni pacifiche, fondate sul guadagno di ricchezza o di prestigio, a tenere a freno il singolo individuo, lentamente le manifestazioni affettive tendono verso una posizione intermedia. Le oscillazioni del comportamento e delle manifestazioni affettive non scompaiono, ma si fanno più moderate. Gli scarti verso l'uno o l'altro estremo sono meno accentuati, i cambiamenti d'umore meno repentini.

Per rendersi conto del mutamento, basta osservare il quadro opposto. La minaccia che l'uomo rappresenta per i suoi simili è sottoposta ad una più rigorosa regolazione grazie alla formazione dei monopoli della costrizione, e può essere più facilmente prevista. La vita quotidiana è meno condizionata da mutamenti tali da provocare traumi. L'uso della violenza è relegato nelle caserme; soltanto in casi estremi, in tempo di guerra o di rivolgimenti sociali, può irrompere direttamente nella vita del singolo. Di solito però, essendo divenuta monopolio di determinati gruppi specializzati, è esclusa dalla vita degli altri; e questi specialisti, questa organizzazione monopolistica della violenza fisica sono ormai relegati ai margini della vita quotidiana della società, come un'organizzazione destinata a controllare il comportamento dell'individuo.

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Fin dalla prima infanzia l'individuo viene indirizzato verso quel costante riserbo e quella lungimiranza di cui avrà bisogno per esercitare le funzioni di adulto. Tale riserbo, tale regolazione del suo comportamento e della sua economia pulsionale divengono in lui, fin da piccolo, a tal punto un'abitudine da provocare nel suo intimo la creazione di una sorta di relais degli standards sociali, un automatico autocontrollo degli istinti volta per volta adeguato agli schemi e modelli di ciascuna società, cosicchè egli è soltanto parzialmente consapevole di reprimere pulsioni e tendenze.

In precedenza, nella società di guerrieri il singolo se era abbastanza forte e potente poteva esercitare la violenza; poteva abbandonarsi liberamente alle sue inclinazioni in molti campi, che successivamente sono stati colpiti da divieti sociali e quindi non più praticabili. Tuttavia, questa più ampia chance di godere di piaceri immediati era controbilanciata da una più ampia chance di soffrire per paure manifeste e immediate: le concezioni medioevali dell'inferno ci fanno intuire, data questa struttura dei rapporti tra gli uomini, quanto intensa fosse nel singolo questa paura. Piacere e sofferenza si manifestavano in modo più aperto e libero verso l'esterno, ma l'individuo ne era prigioniero: molto spesso era frastornato dalle sue stesse sensazioni come da forze di natura. Dominava meno le sue passioni e ne era invece più fortemente dominato.

Successivamente, quando i «tapis roulants» che attraversano l'esistenza del singolo si fecero più lunghi e differenziati, egli apprese a dominarsi in modo più regolare e fu dunque meno schiavo di un tempo delle sue passioni. Ma dato che era legato in modo più solido di prima ad un numero sempre maggiore di uomini, a causa della sua dipendenza funzionale, anche nel suo comportamento si trovò ad essere assai meno libero di soddisfare direttamente le sue inclinazioni e pulsioni. In un certo senso, la vita diviene più scevra di pericoli ma anche più vuota di affetti e di piaceri, almeno per quanto riguarda la manifestazione immediata del proprio desiderio di piacere. Come surrogato, tutto ciò che nella vita quotidiana viene a mancare viene trasferito nel sogno, nei libri e nei dipinti. Così la nobiltà, già incamminata verso la curializzazione, incomincia a leggere romanzi cavallereschi, e così oggi il borghese può pascersi di violenza e di passione amorosa nei film. Gli scontri fisici, le guerre e le faide si diradano; tutto ciò che li rammenta, perfino lo squartamento di animali macellati o l'uso del coltello a tavola, viene rimosso o perlomeno sottoposto ad una regolazione sociale sempre più rigorosa. Ma nello stesso tempo il campo di battaglia viene in un certo senso introiettato. Una parte delle tensioni e passioni che un tempo venivano risolte nello scontro diretto tra uomo e uomo deve essere ora risolta da ciascuno entro di sé. Le più pacifiche costrizioni esercitate su ogni uomo dal rapporto con i suoi simili vengono riflesse al suo interno; si consolida in lui un particolare meccanismo consuetudinario, uno specifico «Super-Io» che si sforza continuamente di regolare i suoi affetti in conformità con la struttura sociale, di trasformarli o di reprimerli. Ma le pulsioni, le passioni che ora non possono più venire direttamente alla ribalta nei rapporti tra gli uomini, assai spesso lottano in modo non meno violento all'interno dell'individuo contro quella parte di sé che esercita il controllo. E non sempre questa lotta semi-automatica dell'uomo con se stesso ha una soluzione felice; non sempre la trasformazione di sé imposta dalla vita in questa società porta ad un nuovo equilibrio dell'economia pulsionale. Molto spesso provoca turbamenti più o meno gravi, rivolte di una parte dell'uomo contro l'altra o atrofie che rendono più difficile o addirittura impediscono l'esercizio delle funzioni sociali. Le oscillazioni verticali, se così possiamo chiamarle, i trapassi repentini dalla paura alla gioia, dal piacere alla penitenza diminuiscono: aumenta invece la spaccatura orizzontale che attraversa l'individuo da una parte all'altra, la tensione tra «Super-Io» e «Inconscio» o «Subconscio».

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[le autocostrizioni] In determinate circostanze possono produrre un'irrequietudine e un'insoddisfazione costanti, proprio perché una parte delle inclinazioni e degli impulsi possono ora essere soddisfatte soltanto mutando forma, ad esempio nella fantasia, o in un atteggiamento da spettatore e uditore, o nei sogni e nei parti dell'immaginazione. A volte l'abitudine a reprimere le proprie emozioni va tanto oltre – e ne sono un esempio la costante sensazione di noia o di solitudine – che l'individuo non è più in grado di esprimere liberamente le proprie emozioni trasformate o di soddisfare direttamente le pulsioni represse. In simili casi, certi settori della vita pulsionale vengono per così dire anestetizzati dalla specifica struttura dell'intreccio di relazioni in cui l'individuo è inserito fin dall'infanzia. Sotto la pressione del pericolo che la loro manifestazione comporterebbe nell'ambito sociale dell'infanzia, essi sono a tal punto caricati di angosce emergenti automaticamente che, in certi casi, rimangono inerti e inespressi per tutta la vita. In altri casi certi settori della vita pulsionale possono a tal punto deviare – a causa dei gravi conflitti in cui il piccolo essere si trova inevitabilmente trascinato dalla sua natura spontanea, affettiva e passionale durante questo processo di condizionamento che mira a farne un «essere civile» - che le loro energie possono trovare uno sbocco indesiderato soltanto in sotterfugi, in atti incontrollati e in altre manifestazioni patologiche. In altri casi ancora, queste energie così trasformate possono sfociare in attrazioni e repulsioni incontrollabili e unilaterali o in manie stravaganti. In ognuno di questi casi, un'intima inquietudine permanente e apparentemente immotivata può rivelare quante energie pulsionali sono state represse in modo tale da non consentire nessuna reale soddisfazione.

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Nella realtà, il risultato del processo individuale di civilizzazione è interamente negativo e interamente positivo soltanto in pochi casi, soltanto ai margini della curva di dispersione. Nella grande maggioranza, la gente «civile» vive nello spazio tra questi due estremi, su una linea mediana. In costoro i tratti socialmente favorevoli e quelli sfavorevoli dal punto di vista sociale, le tendenze soddisfacenti e quelle insoddisfacenti dal punto di vista personale si mescolano in varie proporzioni.


Norbert Elias, Potere e civiltà, Il Mulino, 2010, pp. 305 - 319.

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