Come De Martino intendeva la realtà dei poteri magici: la lettera a Croce


[Secondo l'Autore, De Martino dovrebbe il suo concetto di realtà dei poteri magici al libro del crociano Geremicca (A.V. Geremicca, Spiritualità della natura. Istinto - ereditarietà - intelligenza - sviluppo ed evoluzione, Laterza, Bari 1939), del quale nel testo vengono citati alcuni passaggi, che qui ometto, così come ometto molte altre considerazioni di questo denso capitolo, che non ho ritenuto essenziali per la precisazione davvero magistrale che Berardini compie intorno a questo concetto fondamentale del pensiero demartiniano]

[…] nella sua lettera a Croce [...] De Martino [a proposito dei poteri magici] avanzò la seguente ipotesi:

Ora se c’è un tempo della nostra vita individuale «in cui eravamo in più stretta comunione con i nostri organi», è perfettamente ragionevole che ci possa essere un tempo nella storia del genere umano in cui eravamo in più stretta comunione con ciò che ora è, per noi, natura, un tempo in cui potevamo attraversare il fuoco senza bruciare le nostre carni, (onde la realtà della prova del fuoco), un tempo in cui potevamo a volontà arrestare i battiti del cuore (onde la realtà di certe forme di ascesi magica), etc. Ciò mi sembra che sia un’estensione della verità già da voi esplicitamente dichiarata, che cioè noi continuamente individuiamo e disindividuiamo l’universale realtà dello spirito, sotto la spinta dei nostri bisogni di azione, e tanto agiamo e dominiamo per quel che abbiamo individuato, e tanto subiamo come esterno o come natura quel che abbiamo disindividuato. Non accade forse che un nostro atto o pensiero di un attimo fa non è più compreso nella sua genesi, ed è per noi natura quasi come una pianta o un’animale? Del pari ciò che chiamiamo natura «stricto sensu», e che è il noi stessi più remoto e distanziato, ha potuto in altra epoca risplendere nella luce della nostra autocoscienza, e cadere perciò nel dominio del nostro potere.²⁹⁵

Ernesto De Martino aveva così adombrato il ‘mondo magico’ come quel mondo in cui l’umanità venne a staccarsi e a distinguersi dal piano sub-umano, ove il mago si comportava «verso le cose della natura come l’embrione verso i suoi organi».²⁹⁶ E dunque, egli era del parere che come un embrione può agire su se stesso spostando umori e alzando o abbassando la propria temperatura, così l’uomo magico, in quella «èra molto lontana», poteva agire su se stesso e sul mondo, modificando il proprio corpo e i rapporti con gli oggetti, ad esempio interrompere i battiti del proprio cuore, camminare sui carboni ardenti senza bruciarsi le carni, prevedere accadimenti futuri attraverso il sogno o praticare la telecinesi. In questo modo, si veniva a definire una peculiare ‘realtà’, quella magica, differente dalla nostra. Insomma, nel passaggio dal pre-umano all’umano qui evocato, De Martino non vedeva per nulla la genesi delle forme spirituali, cioè la nascita di quelle forme dell’arte, della filosofia, dell’economia e della morale che sono il motore di ogni storia, ma vedeva il fiorire di un mondo (il mondo magico) che, come il ‘mondo’ dell’embrione o della rosa o della roccia, non solo ha una sua storia, che è scandita dal ritmo di quelle eterne categorie, ma ha anche una ‘realtà’, cioè una particolare ‘forma’ di relazione, di rapporto tra il soggetto (che abita questo mondo e che di questo mondo è narratore e attore) e l’oggetto (che in tale mondo viene a determinarsi, quale residuo e distanziamento che accompagna e segue l’opera di individuazione del soggetto).

Secondo De Martino la magia era dunque qualcosa di reale.²⁹⁷ Ma non poteva essere la scienza naturalistica a cogliere questa particolare ‘realtà’. A tal proposito, nel Mondo magico è riportato il seguente passo (tratto da una lettera scritta da Geremicca a De Martino in data 10 febbraio 1942): «Come chiamare ‘materia’ nel senso naturalistico i cosiddetti ‘ectoplasma’ e ‘teleplasma’ dei metapsichici? [...] Si potrà fotografare l’ectoplasma, misurare il peso del tavolo ch’esso solleva, l’altezza a cui si innalza, il tempo in cui resta sospeso ecc.; ma tutti i calcoli e le misurazioni non entreranno mai nel merito della cosa».²⁹⁸ Parole che sembrano uscire dalla penna di Macchioro, dato il tema considerato: e invece il loro autore era un crociano che aveva appunto elaborato una scienza della natura al cui centro v’era il ritmo delle forme spirituali. Il fuoco della questione comunque era questo: la scienza naturalistica non può che offrire l’immagine della realtà da cui essa stessa è sorta, e dunque una realtà umana che ha lasciato dietro di sé il dramma magico; e così essa non può dire nulla sulla magia e sulla realtà del mondo magico. Ad avvicinarsi a questa storia può solo una ‘scienza’ che vuole essere storicistica, capace cioè di cogliere quel dramma, non diverso dal dramma che l’embrione ha vissuto e che l’uomo adulto ha obliato. In tal senso, nel 1953, volendo chiarificare quale fosse la tesi fondamentale del Mondo magico, De Martino osservò che «gli istituti culturali delle civiltà etnologiche restano per noi incomprensibili nella loro genesi e nel loro valore se non vengono riportati al dramma della presenza che rischia di non mantenersi nella storia umana, di risommergersi nell’organico, nell’inconscio, nella cultura vegetale e animale, nei grandi cicli del cosmo».²⁹⁹

Se nella nostra civiltà, se entro la nostra esperienza storica, gli oggetti del mondo, il mondo stesso e il nostro stesso esserci, sono percepiti come un ‘dato’, qualcosa di ovvio, di acquisito e di mai messo in discussione, nell’età magica, cioè in quel tempo che vede il distaccarsi di una storia che si vuole opporre alla natura, la quale, lungo questa sofferta e drammatica opera di disindividuazione, diventerà una storia non più nostra; nell’età magica la realtà come oggi la intendiamo (la realtà che ci appare ‘data’) deve essere ancora decisa: la natura quale oggi appare non è ancora definitivamente ‘natura’, cioè ‘altra’, e così la persona (l’umana presenza) non è ancora definitivamente garantita nella sua autonomia. Nel mondo magico, pertanto, si assiste a una eroica lotta per la limitazione, per la determinazione di stabili forme culturali che vedono la centralità della persona, per la difesa di questa ‘nuova’ storia e dunque per la scrupolosa cura di questo ‘inizio’, contro il rischio della perdita, della caduta nella natura, del ritorno in essa. Ma per intendere al meglio la questione, forse è il caso di riferirsi direttamente ad alcuni passi demartiniani:

In una civiltà come la nostra, in cui la decisione di sé e del mondo non forma più problema culturale dominante e caratterizzante, noi siamo dati a noi stessi senza rischio sostanziale, e gli oggetti e gli eventi del mondo si presentano alla coscienza empirica come «dati» sottratti al dramma dell’umano produrre. [...] Ora nella magia è in causa proprio questa esperienza, nel senso che la dualità presenza-mondo forma un problema dominante e caratterizzante. Nella magia la presenza è ancora impegnata a raccogliersi come unità in cospetto del mondo, a trattenersi e a limitarsi, e correlativamente il mondo non è ancora allontanato dalla presenza, gettato davanti ad essa e ricevuto come indipendente. In questa situazione storica, in questo dramma culturale, «presenza al mondo» e «mondo che si fa presente» sono in continua contesa per la definizione delle reciproche frontiere, una contesa che implica atti di guerra, sconfitte e vittorie, come anche tregue e compromessi. Da ciò discende una conseguenza importante. La realtà come indipendenza dal dato, come farsi presente di un mondo osservabile, come alterità decisa e garantita, è una formazione storica correlativa alla nostra civiltà, correlativa cioè, alla presenza decisa e garantita che la caratterizza. Questa realtà, che potremmo anche chiamare «naturalità», si palesa come trovarmi dato nel mondo e come mondo che trovo nel suo farsi presente a me, senza che questo duplice ritrovamento formi problema culturale. Ora il mondo magico, come mondo in decisione, comporta forme di realtà che nella nostra civiltà (in quanto si mantiene fedele al carattere che storicamente la individua) non hanno rilievo culturale e sono polemicamente negate. ³⁰⁰

In questa realtà in decisione, simile a un embrione che vuole farsi uomo, non vi sono quelle resistenze che invece sono effettive entro la nostra esperienza storica, in quanto quelle resistenze non sono ancora decise e poste nella rigidezza della loro alterità (così come un embrione può intervenire direttamente sulla propria temperatura, cosa che per l’uomo fattosi ‘adulto’ non è più possibile, perché il corpo di questi si è irrigidito in funzioni che sono divenute ‘naturali’, sottratte cioè al controllo diretto della sua coscienza, la quale, libera dal dramma che fu dell’embrione, può ora dirigersi verso altri valori). L’uomo magico è ancora in stretta ‘simpatia’ con la natura, rischia sempre di confondersi con essa, e a quella è legato da un ‘cordone’ che, nella lotta, egli tenta di tagliare. Ma appunto, per via di questa intima unione, l’uomo magico, che ancora non si è fatto ‘adulto’, che ancora non ha operato il taglio, tanto patisce la natura, tanto riesce, attraverso la magia, ad opporle la propria volontà, a ghermirla secondo volontà, e dunque a penetrarla magicamente e, nel vincere su di essa, a plasmarla, trasformarla, al fine di conquistare la sua rigidità e la propria distinzione da essa. Se il crollo della presenza è da considerarsi come quel negativo di cui non si può fare la storia, il riscatto magico è il positivo, ovvero è il superamento di quell’ombra, è la vittoria sul negativo che crea una nuova realtà di cui è doveroso scrivere la storia. Ecco dunque la realtà del mondo magico:

La presenza che si cerca, l’esserci in decisione, può leggere nel pensiero altrui telepaticamente, o comunicare telepaticamente i propri contenuti ad altre presenze, o anche farsi immediatamente presente a eventi che, considerati dal nostro punto di vista culturale, sono lontani nello spazio e nel tempo o in entrambi: che è quanto dire che spazio e tempo possono essere nel mondo magico inclusi nella decisione umana relativamente al rapporto voluto, e in quest’atto soppressi.³⁰¹

E ancora:

È da tener presente che i fatti paranormali non sono, se non per l’astrazione, fatti della natura, e con il mondo fisico contrastano almeno in questo, che non sono dati, ma in atto di darsi per l’intervento di una presenza che li costruisce immediatamente nell’impegno storico di distinguersi dal mondo e di contrapporsi ad esso. I fatti della natura presuppongono la presenza decisa e garantita della nostra civiltà; i fatti paranormali invece presuppongono, ove siano considerati nella loro concretezza, la presenza insidiata, l’esserci che si cerca, della civiltà magica.³⁰²

[…]

L’idea demartiniana, lo si è più volte detto, evocava dunque la possibilità di discendere agli strati «anteriori alla coscienza teoretico-oggettiva della nostra esperienza» e di cogliere le forme della realtà precipue ad essi. In questo senso, diceva De Martino, proprio perché la realtà del ‘mondo magico’ riguarda eventi che sono «ancora inclusi nella decisione umana, sospesi immediatamente a questa decisione, contesti di psichicità in travaglio, traboccanti di intenzionalità umana in atto, proprio per questo essi non sono ancora abbastanza ‘indipendenti’, ‘gettati davanti’, ‘oggettivi’, ‘dati’. Si tratta quindi di un’altra forma di realtà, legata all’ordine storico e culturale della magia, e che è estranea al carattere individuante della nostra civiltà, per la quale la presenza sta garantita in un mondo di eventi dati».³¹⁵ Una simile presenza, proprio perché è estranea al «mondo di eventi dati», non trova in questi ‘dati’ quel tipo di ostacoli che invece trova la coscienza legata al pensiero oggettivo – ovvero quegli ostacoli contro i quali, ad esempio, si scontra l’uomo che vive in un mondo imperniato sul realismo. Sicché la persona magica non subisce alcuna resistenza da parte della materia, che maneggia e oltrepassa quasi fosse materia dei sogni – così per essa è possibile superare estesi spazi attraverso la telecinesi o più semplicemente stabilire un contatto con altri uomini che vivono in zone remote con il solo pensiero.³¹⁶

Quando De Martino osservò che i primitivi sono prossimi più alla ‘natura’ che a noi, egli voleva dirci che la magia è tale in quel mondo in cui la storia dell’uomo deve ancora disindividuarsi dalla natura, in quel mondo in cui la natura non è un semplice ‘dato’ (tale è invece per l’uomo che dalla natura si è disindividuato e guarda ad essa in modo obiettivo e distaccato). Questo ‘legame simpatetico’ della persona magica con la natura³¹⁷ comporta un fortissimo ‘coinvolgimento’ dell’uomo con essa, al punto ch’egli da un lato può esserne risucchiato, e questa possibilità è ciò che suscita angoscia e provoca la crisi della presenza, ma dall’altro lato, proprio nel resistere e nel combattere la crisi, e proprio per via di questa ‘vicinanza’, egli è in grado di esercitare un potere diretto sulla natura – un intervento, per l’appunto, magico. Compiere azioni di vario genere attraverso il sogno (colpire un nemico, o colloquiare con qualcuno, o rubare delle zucche), camminare sulle braci senza danno alcuno, parlare agli animali, trasferire la febbre da un uomo a una pianta,³¹⁸ e così via; tutti questi sono atti magici che il «realismo dogmatico dell’osservatore occidentale» non riesce in alcun modo a cogliere – e non vi riesce perché «è proprio questo realismo a rendere l’osservatore impermeabile alla esperienza e alla realtà magiche».³¹⁹ Entro un simile quadro, che per De Martino soltanto un approccio storicista poteva chiarificare, la magia esprime quella forza esercitata dall’uomo per distaccarsi dalla natura, e dunque appartiene al momento aurorale della storia umana. Sicché a una obiezione del tipo: ‘Per quale motivo lo sciamano riesce ad attraversare i carboni ardenti senza bruciarsi i piedi, mentre un albero, che pure è legato intimamente alla natura, non riesce a contrastare un incendio e soccombe al potere del fuoco?’ – a questa facile obiezione si potrebbe rispondere in questo modo: l’albero non riesce a resistere a un incendio perché in esso è tenue la volontà di libertà e dunque è tenue il suo voler essere libero innanzi al fuoco; mentre l’uomo magico vuole distinguersi dalla natura, e sorgere al di sopra di questa, e combatte, contro questa, per la propria libertà, attraverso i mezzi di cui dispone – e tra tutti, in quanto mezzo più potente ed efficace, la magia. Ed è questa lotta per la libertà a porre in gioco la presenza – una lotta che lo spirito stesso ingaggia per accedere a una nuova, diversa storia, per individuarsi umanamente come una ‘persona’, come autocoscienza, secondo una forma di consapevolezza di sé più alta. Per questo motivo nello sciamano è possibile vedere il ‘primo’ weltgeschichtliche Individuum attraverso il quale lo spirito ‘si è fatto uomo’ e ha così conquistato la sua libertà.


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295. De Martino, Dal laboratorio del «Mondo magico»..., pp. 64-65.
296. Cfr. Ivi, p. 64.
297. Una analisi, compiuta in ambito antropologico, circa il problema della realtà dei poteri magici in De Martino la si trova in R. Matromattei, I poteri magici come prassi estatica, «La Ricerca Folklorica», 13 (1986), pp. 85-91.
298. De Martino, Il mondo magico..., p. 134.
299. De Martino, Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni..., p. 315.
300. De Martino, Il mondo magico..., pp. 128-129.
301. Ivi, p. 130.

315. De Martino, Il mondo magico..., p. 131-132.
316. Ivi, p. 140.
317. Hegel fa chiaro riferimento a questa ‘simpatia’ o ‘maggiore unità’ dell’uomo primitivo con la natura, cioè al legame servile da cui l’uomo nel ‘coltivarsi’ si è via via liberato, nel paragrafo 392 dell’Enciclopedia (un paragrafo richiamato in modo critico nelle pagine finali del Mondo magico [cfr. ivi, p. 220]). E questo dice molto sulla vicinanza di De Martino a questa forma classica dell’idealismo, che si ritrova anche in Vico, in Schelling e Cassirer, come più volte si è avuto modo di sottolineare, e dunque sulla sua distanza da Croce, al quale tuttavia egli continuava a volersi richiamare, sebbene volesse allargare questa ‘prospettiva’ a nuove istanze.
318. Ivi, p. 143.
319. Ivi, p. 144.


Sergio Fabio Berardini, Ethos Presenza Storia. La ricerca filosofica di Ernesto De Martino, Università degli Studi di Trento, 2013, pp. 120-125 e 130-132 (versione in pdf, liberamente scaricabile dal sito dell'Università di Trento, sottolineature mie). 

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