De Martino commenta Eliade: il mito dell'eterno ritorno e la necessità di uno studio non relativistico delle civiltà altre

La destorificazione mitico-rituale è una fictio tecnica mediante la quale la storicità della esistenza umana, cioè la tensione fra crisi e valore operativo, viene occultata, e si sta nella storia come se non ci si stesse.

Eliade, Mythes, pp 254 sg.: «Per i Karadjeri i misteri sono in rapporto con la cosmogonia... nel tempo Bugari, il tempo del sogno, il mondo, la società umana, e i riti sono stati inaugurati nella forma che hanno ancor oggi». Come per le altre società arcaiche, la storia si riduce, agli occhi dei Karadjeri, ad alcuni eventi che hanno luogo nel tempo mitico, in illo tempore; gli atti degli esseri divini e degli eroi incivilitori. Gli uomini non si riconoscono alcun diritto di intervenire nella storia, di fare, anche essi, una storia «originale», insomma essi non si riconoscono alcuna originalità: essi ripetono le azioni esemplari effettuate all'alba dei tempi. Ma poiché queste azioni esemplari sono l'opera di dèi e di esseri divini, la loro ripetizione periodica ed implacabile tradisce presso l'uomo arcaico il desiderio di mantenersi nell'atmosfera sacra della cosmogonia, il rifiuto della originalità traduce di fatto il rifiuto del mondo profano, la mancanza di interesse per una storia umana. L'esistenza dell'uomo arcaico consiste in fin dei conti in una eterna ripetizione di modelli esemplari rivelati al cominciamento dei tempi. (E i misteri) costituiscono la riattualizzazione periodica di queste rivelazioni primordiali...

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Ciò significa che, nelle società arcaiche, scoperte tecniche e attività economica, caccia e pesca, pastorizia e agricoltura, appaiono comportamenti protetti da nessi mitico-rituali, da occultamenti nella metastoria, da «come se» destorificatori. Ora però questo primato del sacro nella coscienza culturale dell'uomo arcaico non può essere messo in modo irrelato accanto alla nostra, ancor meno può essere in modo immediato fatto nostro e adottato, trasformandosi nella teoria del primato del sacro come criterio di interpretazione della vita culturale arcaica. Per comprendere in termini storiografici le destorificazioni primitive occorre ricostruire la genesi, il carattere e la funzione dei nessi mitico-rituali che le società cosiddette primitive ci attestano. La storiografia ha il compito di convertire ciò che gli uomini credono di fare in ciò che gli uomini realmente fanno, in modo da giustificare sia il loro credere sia la realtà che ne risulta. Ciò significa che noi non dobbiamo sospendere le categorie interpretative foggiate dalla nostra civiltà occidentale, e farle tacere per ricevere il messaggio delle civiltà primitive: al contrario dobbiamo impiegarle deliberatamente, e avvalerci del nuovo materiale documentario per correggerle e approfondirle. Noi non possiamo strapparci dal cuore la nostra storia, e neppure contemplare noi e «loro» da un punto di vista astrattamente superiore che non saprebbe quale possa essere: noi possiamo soltanto misurare loro secondo il nostro metro, non senza migliorare - misurando - le stesse unità di misura e gli stessi strumenti di misurazione che la nostra storia culturale ci offre. Ciò siginifca che la nostra determinazione della qualità di una civiltà religiosa primitiva coinvolge la determinazione della nostra stessa civiltà: noi scegliamo gli altri in quanto scegliamo noi stessi. Il che è inevitabile: una storia senza opzioni filosofiche, senza scelte di Weltanschauungen, non è oggettiva: è semplicemente una storia condotta secondo posizioni filosofiche acritiche, contraddittorie, ingenue.


Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, 2002, pp. 272-273, sottolineature mie.

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