L'alternativa dell'uomo: umanesimo integrale vs. protezione religiosa

L'alternativa è chiara: o si accetta o non si accetta la realtà della condizione umana, che è limite ed iniziativa che oltrepassa il limite, situazione e valore che trascende la situazione, morte e opera che sopravvive alla morte. Se non si accetta questa condizione, perché l'accettarla comporterebbe l'annientamento dello stesso coraggio civile creatore di civiltà e di storia, allora non resta che negare realtà a questa condizione, e occultarla e mascherarla nei grandi temi protettivi della vita religiosa, del mito e del rito, della teologia e della metafisica, della magia e della mistica. Non resta cioè che svalutare a mondo di segni e di simboli i ritmi dell'opera quotidiana, e svolgere all'ombra di un ordine già istituito in illo tempore il compito di istituire, qui ed ora, un ordine nuovo. Il fare sarà allora mascherato nel ripetere e nell'imitare, lo star desto sarà ricompreso in un sognare, e nella storia si starà come se non ci si stesse, perché si è già fuori; ma intanto, per questa pia fraus, si opererà e si creerà, e si innalzerà l'edificio della civiltà. Se invece si accetta la condizione umana, e si riconosce senza scandalo che essa ha un limite che l'opera è chiamata senza sosta a valicare, e si scorge nell'al di là dell'opera dotata di valore l'unico modo di distaccare l'uomo dalla natura e di avviarlo dal transeunte al permanente; se si ha coraggio e forza di creare opere di poesia e di scienza, di economia e di vita morale senza bisogno del sistema tecnico-protettivo di una vera patria in cui è tutto già a suo posto, e nella quale saremo alfine reintegrati: allora si batte la via dell'umanesimo storicistico, della civiltà moderna, della coscienza che i beni culturali hanno integralmente origine e destinazione umana, sono fatti dall'uomo per l'uomo, e chiamano al giudizio e all'opera secondo questo criterio fondamentale. L'alternativa è chiara: ma la prima delle due resterà in piedi sempre che la rete di limiti dentro la quale siamo chiamati ad operare è troppo fitta e tenace perché ci sia dato districarcene senza fare appello a un mondo metastorico già fatto, a una civiltà divina, che rassicuri il fanciullino di Cebete; e la seconda alternativa resta un compito da realizzare, e una dignità da proteggere dall'insidia rinascente della prima opzione, che sospinge verso la magia e la religione. Se dovessimo definire la nostra epoca, e noi stessi in essa, dovremmo dire che noi siamo attualmente impegnati proprio nell'alternativa, e la stiamo decidendo con pena e tormento: alla mente abbiamo già davanti il quadro di un umanesimo integrale, ma in noi e intorno a noi c'è l'insidia dell'angoscia e il bisogno del porto sicuro.

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[Poco più avanti De Martino precisa come l'umanesimo integrale non si possa conciliare con la persecuzione religiosa. Ne riporto il passaggio finale]

L'uso della forza contro la Chiesa (e intendiamo di quella vera forza che è il diritto) non può andare oltre la difesa delle usurpazioni della civitas dei nella sfera della civitas humana presieduta dallo Stato. Ma la persecuzione religiosa come tale è una prevaricazione con la quale lo Stato, in luogo di assolvere al suo compito di rendere sempre meno teogenetico un certo regime esistenziale, pretende di colpire direttamente il sistema protettivo che, finché è richiesto, sta a testimoniare appunto che il suo compito non è stato assolto: pericolosa prevaricazione, che o disgrega la società o prepara, con le persecuzioni e le violenze, una più vigorosa ripresa del bisogno del divino. Perseguitando una religione che è ancora nei cuori si suscitano soltanto dei «martiri», tanto più se la lotta non si compie in nome di una religione più elevata, ma in nome di un umanesimo integrale che richiede una forza morale ancora inattuale rispetto al reale regime di esistenza.


Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, 2002, pp. 356-358, sottolineature mie.

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