Religione, crisi della presenza, destorificazione


[In poche righe De Martino concentra qui alcuni concetti chiave che percorrono tutte le sue ricerche: la crisi della presenza è il rischio di sottrarsi ai valori della cultura umana e di essere risucchiati nel mondo animale dell'alienazione, della deriva psicopatologica incoerente. È un rischio che l'uomo ha imparato a tenere a bada attraverso l'istituto della religione, che per mezzo dell'apparato mitico-rituale consente di superare le crisi degli eventi critici dell'esistenza, sottraendo il singolo all'angoscia del tempo storico e conseguentemente al "rischio di passare con ciò che passa". La religione (ma a un livello culturalmente inferiore anche la magia) permette di vivere certi eventi come ripetizioni di eventi mitici, già vissuti a suo tempo dal personaggio divino. Per fare un esempio chiarificatore tratto dalla religione a noi più familiare, il cattolicesimo, quando nella commemorazione dei defunti nelle messe in suffragio il sacerdote cita l'esempio mitico degli apostoli che si addormentano sul monte degli Ulivi in attesa di Gesù in preghiera, ci dice che il morto non è morto ma anche lui si è addormentato in attesa del risveglio nel giorno del giudizio finale, dal momento che l'uomo-dio ha sconfitto la morte. Questo significa trasporre un evento storico irreparabile su un piano metastorico, mitico, e così facendo sottrarlo a ciò che è destinato a passare. Ma proprio questo "unguento" mitico-rituale permette a chi esce dalla commemorazione di reimmergersi nella vita attiva con il cuore sollevato: il caro estinto non è morto, è solo addormentato in attesa del risveglio. Questo è fondamentalmente il ruolo della religione: sottrarre l'uomo all'angoscia del nulla che lo potrebbe annientare come essere capace di creare valori e civiltà, e dargli l'illusione, attraverso una "pia fraus", di "stare nella storia come se non ci stesse", ovvero di affrontare i momenti critici dell'esistenza sul piano protetto della vicenda mitica già vissuta dal nume a suo tempo]

La presenza è comportamento culturale realisticamente efficace, distacco dalla condizione naturale mediante l'opera dotata di valore umano: per esempio la fabbricazione di strumenti, la istituzione di regimi economico-sociali, di rapporti morali, giuridici e politici, l'opera poetica, le scienze della natura e dell'uomo, sono valori mondani, laici, realisticamente orientati, nel senso che realmente attraverso di essi si compie il distacco dalla naturalità e viene fondata la cultura. La vita religiosa è la mediazione tecnica di tale distacco: protegge la presenza dal rischio di «passare con ciò che passa» nelle condizioni storiche in cui questo rischio è imponente e le potenze culturali dell'operare mondano sono a vario titolo anguste, e non ancora mature per l'autocoscienza della loro origine e destinazione umana. Per questa mediazione tecnica dei valori mondani compromessi dalla crisi, e per la particolare natura di tale mediazione (cioè il nesso mitico-rituale), magia e religione si iscrivono nella vita culturale e ne costituiscono un momento che, a seconda delle civiltà, delle epoche e degli ambienti sociali, acquista maggiore o minore rilievo.

[…]

La religione è una tecnica per:

a) destorificare il passaggio critico;
b) riprendere la alienazione della presenza;
c) reintegrare la presenza nella storia.

La destorificazione, cioè l'occultamento della storicità del passaggio critico, si ottiene mediante il ritualismo dell'agire: si passa ritualmente cioè ripetendo ciò che il nume ha già fatto nella metastoria. Lo storico è risolto come un identico metastorico che si itera. La storicità del passaggio è occultata.


Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, 2002, pp. 662-663.

Commenti