Il seme, la terra, il morto, la donna: i riti agrari di rigenerazione e l'orgia come periodico ritorno al caos primordiale

L’uomo «primitivo» vive nel timore incessante di veder esaurite le forze utili che lo circondano. La paura che il sole si spenga definitivamente nel solstizio invernale, che la luna non sorga più, che la vegetazione scompaia ecc., ecco il suo tormento per migliaia d’anni. Di fronte a qualsiasi manifestazione della «potenza», la medesima inquietudine lo stringe: questa potenza è precaria, rischia di esaurirsi. Il timore è particolarmente angoscioso nei riguardi delle manifestazioni periodiche della «potenza», come la vegetazione che, nel suo ritmo, ha momenti di apparente estinzione. E l’angoscia è più acuta ancora quando il dissolversi della «forza» sembra dovuto all’intervento dell’uomo: il raccolto delle primizie, la mietitura ecc. In questo caso si offrono i sacrifici chiamati «primizie»; il rituale riconcilia l’uomo con le forze che agiscono nei frutti e lo autorizza a consumarli senza rischi. Simili riti segnano contemporaneamente il principio dell’anno nuovo, cioè di un nuovo periodo di tempo «rigenerato».

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In simili rituali delle primizie si distinguono parecchi elementi costitutivi: 1) il pericolo che accompagna il consumo del nuovo raccolto, o perché potrebbe provocare l’esaurimento della specie vegetale, o perché il consumatore rischia di attirarsi le rappresaglie della «forza» presente nei frutti; 2) la necessità di eliminare il pericolo con la consacrazione rituale delle primizie, e anche 3) per mezzo di una purificazione preliminare («espulsione dei peccati», tipo capro espiatorio) e la rigenerazione della comunità; questa avviene 4) mediante il «rinnovamento del tempo», cioè il riinizio di un tempo puro, primordiale (ogni anno nuovo è una nuova creazione del tempo: cfr.. § 153) [pp. 317-18]

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L’agricoltura, come tecnica profana e come forma di culto, incontra il mondo dei morti su due piani distinti. Il primo è la solidarietà con la terra; i morti, come i semi, sono sotterrati, penetrano nella dimensione ctonia accessibile solo a loro. D’altra parte, l’agricoltura è per eccellenza una tecnica della fertilità, della vita che si riproduce moltiplicandosi, e i morti sono particolarmente attratti da questo mistero della rinascita, della palingenesi e della fecondità senza posa. Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale delle collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti, dall’opulenza e dall’orgia. Le anime dei morti hanno sete di ogni esuberanza biologica, di ogni eccesso organico, perché questo traboccare della vita compensa la povertà della loro sostanza e li proietta in una impetuosa corrente di virtualità e di germi.

Il banchetto collettivo rappresenta appunto tale concentrazione di energia vitale; un banchetto, con tutti gli eccessi che comporta, è dunque indispensabile tanto per le feste agricole quanto per la commemorazione dei morti. Un tempo i banchetti avvenivano addirittura accanto alle tombe, perché il defunto potesse godere dell’ esuberanza vitale liberata accanto a lui. In India i fagioli erano per eccellenza l’offerta fatta ai morti, ma venivano insieme considerati un afrodisiaco. In Cina, il letto matrimoniale stava nell’ angolo più buio della casa, dove si conservavano i semi, sopra il punto preciso ove erano sepolti i morti. Il legame fra antenati, raccolti e vita erotica è tanto stretto che i culti funebri, agrari e genitali si interpenetrano, talvolta sino a completa fusione. Presso i popoli nordici Natale (Jul) era la festa dei morti e, insieme, un’esaltazione della fertilità, della vita. Per Natale si tengono abbondanti banchetti, e spesso è proprio in questa occasione che si celebrano le nozze e si curano le tombe. [pp. 320-21]

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I germi hanno bisogno anch’essi di venir aiutati, o almeno «accompagnati», nel processo della loro crescita. Questa solidarietà delle forme e degli atti della vita fu una delle scoperte più essenziali dell’uomo arcaico, che la fece fruttificare in modo magico col metodo seguente: quel che viene compiuto in comune dà risultati migliori. La fecondità della donna influisce sulla fecondità dei campi, ma l’abbondanza della vegetazione, a sua volta, aiuta la donna a concepire. I morti collaborano con l’una e con l’altra, e contemporaneamente aspettano da quelle due sorgenti di fertilità l’energia e la sostanza che li reintegreranno nel flusso vitale. Per questo, quando si avvicina il momento critico della raccolta, e l’orzo comincia a germinare, i negri Ewe dell’Africa occidentale (Costa degli Schiavi) prendono precauzioni contro i disastri per mezzo di orge rituali. Ragazze in numero notevole vengono offerte come spose al dio pitone. La ierogamia è consumata nel tempio, dai sacerdoti rappresentanti del dio, e le ragazze o spose, dopo questa consacrazione, continuano a esercitare la prostituzione sacra entro il recinto del santuario. Si dichiara che la ierogamia avviene per garantire la fertilità della terra e degli animali. [pp. 327-28]

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In generale l’orgia corrisponde alla ierogamia. All’unione della coppia divina deve corrispondere, sulla terra, la frenesia generativa illimitata. Parallelamente alle coppie giovani, che ripetevano la ierogamia sui campi, doveva prodursi il massimo accrescimento di tutte le forze della collettività. Quando la popolazione Oraon celebra, di maggio, le nozze del dio Sole con la dea Terra, il sacerdote si unisce pubblicamente alla moglie, poi segue un’orgia indescrivibile. In certe isole a ovest della Nuova Guinea, e a nord dell’Australia (Leti, Sarmata ecc.), le stesse orge avvengono all’inizio della stagione piovosa. Quel che gli uomini possono fare di meglio è imitare l’esempio divino, specialmente se dall’imitazione dipende il benessere del mondo intero e, in particolare, la sorte della vita vegetale e animale. Gli eccessi rappresentano una parte precisa e salutare nell’economia del sacro. Spezzano le barriere fra uomo, società, natura e dèi; aiutano la circolazione della forza, della vita, dei germi, da un livello all’altro, da una zona della realtà a tutte le altre. Quel che era vuoto di sostanza si sazia; il frammentario si reintegra nell’unità; le cose isolate si fondono nella grande matrice universale. L’orgia fa circolare l’energia vitale e sacra. I momenti di crisi cosmica o di opulenza, in particolare, offrono pretesto allo scatenarsi di un’orgia. In molti luoghi, le donne corrono nude sui campi durante la siccità, per risvegliare la virilità del cielo e provocare la pioggia. In altre regioni, si festeggiano con orge le nozze e le nascite di gemelli, ad esempio presso i Baganda d’Africa o gli abitanti delle Figi. Le orge praticate in collegamento col dramma della vegetazione, e specialmente con le cerimonie agrarie, si spiegano meglio ancora. Occorre rianimare la Terra, eccitare il Cielo, affinché la ierogamia cosmica — la pioggia, il calore — si svolga nelle migliori condizioni, affinché i cereali crescano e portino frutti, affinché le donne facciano figli, si moltiplichino gli animali e i morti possano saziare la propria vacuità con la forza vitale.

Gli Indiani Kana del Brasile stimolano le forze riproduttive della terra, degli animali e degli uomini con una danza fallica imitante l’atto generatore; segue un’orgia collettiva. Tracce di simbolismo fallico si possono scoprire anche nelle cerimonie agrarie europee; così il «vecchio» è rappresentato talvolta in modo fallomorfo, e l’ultimo covone è chiamato «la sgualdrina»; oppure al covone si fa la testa nera con labbra rosse, originariamente colori magico-simbolici dell’organo femminile. Si potrebbero ricordare anche gli eccessi che avvenivano in certe feste arcaiche della vegetazione, per esempio nelle Floralia romane (27 aprile), quando cortei di giovani nudi sfilavano per le strade, o nelle Lupercalia, quando i giovani toccavano le donne per renderle feconde, o nella Holi, la principale festa indiana della vegetazione, quando tutto era lecito. 

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Le orge non si inquadrano esclusivamente nelle cerimonie agrarie, quantunque conservino sempre coincidenze precise con i riti di rigenerazione (l’«anno nuovo») e di fecondità. Il senso metafisico e la funzione fisiologica dell’orgia emergeranno più chiaramente in altri capitoli di questo libro. Possiamo tuttavia notare fin d’ora un’analogia perfetta fra il fenomeno agricolo e la mistica agraria, da una parte, e l’orgia, come modalità della vita collettiva, dall’altra. Come i semi perdono il loro contorno nella grande fusione sotterranea, si disgregano e diventano un’altra cosa (germinazione), così gli uomini perdono la loro individualità nell’orgia, fondendosi in una sola unità vivente. Si attua così una confusione patetica e definitiva, nella quale non è più possibile distinguere né «forma» né «legge». Si sperimenta nuovamente lo stato primordiale, preformale, «caotico» — che corrisponde, nell’ordine cosmico, all’«indifferenziazione» caotica anteriore alla creazione — per promuovere, in virtù della magia imitativa, la fusione dei germi nella stessa matrice tellurica. L’uomo si reintegra in una unità biocosmica, anche se tale unità significa regressione dalla modalità di persona a quella di seme. In un certo senso, l’orgia trasmuta l’uomo in una condizione agricola. L’abolizione delle norme, dei limiti e delle individualità, l’esperienza di tutte le possibilità telluriche e notturne equivalgono all’acquisizione dello stato di semi che si decompongono nella terra, abbandonando la loro forma per dar vita a una nuova pianta.

Fra le altre sue funzioni nell’economia spirituale e psicologica di una collettività, l’orgia ha anche quella di rendere possibile e di preparare il «rinnovamento», la rigenerazione della vita. Il risveglio da un’orgia può paragonarsi alla comparsa del germoglio verde nel solco: è una nuova vita che comincia, e per quella vita l’orgia sazia l’uomo di sostanza e di slancio. Non solo, ma l’orgia, riattualizzando il caos mistico anteriore alla creazione, rende possibile il ripetersi della creazione. L’uomo regredisce provvisoriamente allo stato amorfo, notturno, del caos, per poter rinascere con maggior vigore nella sua forma diurna. L’orgia, come l’immersione nell’ acqua (§ 64), annulla la creazione, ma contemporaneamente la rigenera; identificandosi con la totalità non differenziata, precosmica, l’uomo spera di tornare a se stesso restaurato e rigenerato, in breve «un uomo nuovo». Nella struttura e nella funzione dell’ orgia, identifichiamo lo stesso desiderio di ripetere un gesto primordiale: la Creazione che organizza il caos. Nell’alternanza vita quotidiana – orgia (Saturnali, Carnevale ecc.) identifichiamo la stessa visione ritmica della vita, formata di azione e di sonno, di nascita e di morte, e la stessa intuizione ciclica del Cosmo, che nasce dal caos e vi ritorna attraverso una catastrofe o una mahāpralaya, una «grande dissoluzione». Senza dubbio le forme mostruose sono degradazioni di questa intuizione fondamentale del ritmo cosmico e della sete di rigenerazione e di rinnovamento. Ma non da queste forme aberranti dobbiamo partire, per intendere l’origine e la funzione dell’orgia. Ogni «festa» include nella sua struttura una vocazione orgiastica.

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Si dice abitualmente che la scoperta dell’agricoltura ha mutato radicalmente il destino dell’umanità, assicurandole un’alimentazione copiosa e permettendo così un aumento prodigioso della popolazione. Ma ci sembra che la scoperta dell’agricoltura abbia avuto conseguenze decisive per tutt’altra ragione. Il destino dell’umanità non fu deciso né dall’aumento di popolazione né dalla sovralimentazione, bensì dalla teoria che l’uomo elaborò scoprendo l’agricoltura. Quel che egli ha veduto nei cereali, quel che ha imparato da questo contatto, quel che ha inteso dall’esempio dei semi che perdono la loro forma sottoterra, tutto questo rappresentò la lezione decisiva. L’agricoltura ha rivelato all’uomo l’unità fondamentale della vita organica; tanto l’analogia donna – campo – atto generatore – semina ecc., come le più importanti sintesi mentali, uscirono da questa rivelazione: la vita ritmica, la morte intesa come regressione ecc. Queste sintesi mentali sono state essenziali per l’evoluzione dell’umanità e furono possibili soltanto dopo la scoperta dell’ agricoltura. Appunto nella mistica agraria preistorica sta una delle radici principali dell’ottimismo soteriologico: precisamente come il seme nascosto nella terra, il morto può sperare in un ritorno alla vita sotto nuova forma. Ma la visione malinconica, talvolta scettica, della vita ha parimenti origine dalla contemplazione del mondo vegetale: l’uomo è simile al fiore dei campi… [327-331]




Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2014 (ed. or. fr. 1948) [Ho omesso le note]

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