Come nasce un mito nella coscienza popolare

Accade talvolta, ma molto raramente, che si sorprenda sul vivo la trasformazione di un avvenimento in mito. Poco tempo prima dell'ultima guerra, il folclorista rumeno Costantin Brailoiu ebbe occasione di registrare una bellissima ballata in un villaggio di Maramuresh. Si trattava di un amore tragico: il fidanzato era stato stregato da una fata delle montagne e, pochi giorni prima delle nozze, questa fata, per gelosia, l'aveva precipitato dall'alto di una roccia. Il giorno dopo dei pastori avevano trovato il corpo e, su di un albero, il suo cappello. Essi portarono il corpo al villaggio e la fanciulla venne loro incontro: vedendo il suo fidanzato morto ella intonò un lamento funebre pieno di allusioni mitologiche, testo liturgico di una frusta bellezza. Questo era il contenuto della ballata. Registrando le varianti che aveva potuto raccogliere, lo studioso si informò del tempo in cui la tragedia era avvenuta: gli venne risposto che si trattava di una storia antichissima che era accaduta « tanto tempo fa ». Ma proseguendo la sua inchiesta, lo studioso apprese che l'avvenimento datava appena da quarant'anni; finì anche per scoprire che l'eroina era ancora viva; le fece visita e ascoltò proprio dalla sua bocca la storia. Era una tragedia abbastanza banale: per disattenzione, il suo fidanzato scivolò una sera in un precipizio, non morì subito sul colpo, ma le sue grida furono intese dai montanari; lo si trasportò nel villaggio dove si spense poco tempo dopo. Alla sepoltura la sua fidanzata con le altre donne del villaggio aveva ripetuto i lamenti rituali soliti, senza la minima allusione alla fata delle montagne.

Così erano bastati pochi anni, nonostante la presenza del testimone principale, per spogliare l'avvenimento di ogni autenticità storica e per trasformarlo in un racconto leggendario: la fata gelosa, l'assassinio del fidanzato, la scoperta del corpo inanimato, il lamento, ricco di temi mitologici, della fidanzata. Quasi tutto il villaggio era stato presente al fatto autentico, storico, ma questo fatto, come tale, non poteva soddisfarlo: la morte tragica di un fidanzato alla vigilia delle nozze era qualcosa di diverso da una semplice morte per disgrazia; essa aveva un significato occulto che poteva rivelarsi soltanto se integrato nella categoria mitica. La mitizzazione della disgrazia non si era limitata alla creazione di una ballata: si raccontava la storia della fata gelosa anche quando si parlava liberamente, « prosaicamente », della morte del fidanzato. Quando lo studioso attirò l'attenzione degli abitanti del villaggio sulla versione autentica, risposero che la vecchia aveva dimenticato, che il grande dolore le aveva quasi tolto il senno. Il mito diceva la verità: la storia genuina era ormai soltanto menzogna. D'altra parte il mito era effettivamente vero in quanto dava alla storia un suono più profondo e più ricco: rivelava un destino tragico.

Il carattere anistorico della memoria popolare, l'impotenza della memoria collettiva a conservare gli avvenimenti e le individualità storiche, se non nella misura in cui essa le trasforma in archetipi, cioè nella misura in cui essa annulla tutte le loro particolarità « storiche » e « personali », pongono una serie di nuovi problemi che siamo costretti per ora a tralasciare. Ma abbiamo fin da ora il diritto di domandarci se l'importanza degli archetipi per la coscienza dell'uomo arcaico e l'incapacità per la memoria popolare di conservare cose diverse dagli archetipi, ci rivelino qualche cosa di più della resistenza della spiritualità tradizionale nei confronti della storia; a meno che questa incapacità non ci riveli la caducità o in ogni caso il carattere secondario dell'individualità umana in quanto tale, individualità la cui spontaneità creatrice costituisce, in ultima analisi, l'autenticità e l'irreversibilità della storia.


Mircea Eliade, Il mito dell'eterno ritorno, Borla, 1975 (ed. or. fr. 1947), pp. 66-69

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