Il romanzo come sostituto desacralizzato del mito

Si sa che l'epica e il romanzo, come gli altri generi letterari, prolungano su un altro piano e per scopi diversi la narrazione mitologica. In ambedue i casi, si tratta di raccontare una storia significativa, di riportare una serie di avvenimenti drammatici che sono accaduti in un passato più o meno favoloso.

Inutile ricordare il lungo e complicato processo che ha trasformato una « materia mitologica » in un « soggetto » di narrazione epica. Bisogna sottolineare che la prosa narrativa, soprattutto il romanzo, ha preso, nelle società moderne, il posto occupato dalla narrazione dei miti e dei racconti nelle società tradizionali e popolari. Anzi, è possibile mettere in evidenza la struttura « mitica » di certi romanzi moderni, e si può dimostrare la sopravvivenza letteraria dei grandi temi e dei personaggi mitologici (questo si verifica soprattutto per il tema iniziatico, il tema delle prove dell'Eroe-Redentore e dei suoi combattimenti con i mostri, le mitologie della Donna e della Ricchezza).

In questa prospettiva, si potrebbe quindi dire che la passione moderna per i romanzi tradisce il desiderio di comprendere il maggior numero possibile di « storie mitologiche » desacralizzate oppure semplicemente travestite sotto forme « profane ».

Altro fatto significativo: il bisogno di leggere «storie » e narrazioni che si potrebbero chiamare paradigmatiche, poiché si svolgono secondo un modello tradizionale.

Qualunque sia la gravità della crisi attuale del romanzo, resta il fatto che il bisogno di introdursi in universi « estranei » e di seguire le peripezie di una « storia » sembra connaturata alla condizione umana e, di conseguenza, irriducibile. Vi è in ciò un'esigenza difficile da definire: insieme desiderio di comunicare con gli « altri », gli « sconosciuti » e di partecipare ai loro drammi, alle loro speranze, e bisogno di apprendere ciò che è potuto accadere. Difficilmente si concepirebbe un essere umano che non resti affascinato dalla « narrazione », dal racconto degli avvenimenti significativi, da ciò che è capitato a uomini provvisti della « doppia realtà » di personaggi letterari (che insieme riflettono la realtà storica e psicologica dei membri di una società moderna, e dispongono della potenza magica di una creazione immaginaria).

Ma l'« uscita dal Tempo » operata dalla lettura — particolarmente dalla lettura di romanzi — è quella che avvicina di più la funzione della letteratura a quella delle mitologie. Il tempo che si « vive » leggendo un romanzo non è senza dubbio quello che si reintegra, in una società tradizionale, ascoltando un mito. Ma in ambedue i casi, si « esce » dal tempo storico e personale e si viene immersi in un tempo favoloso, trans-storico.

Il lettore è messo a contatto con un tempo estraneo, immaginario, i cui ritmi variano indefinitamente, perché ciascun racconto ha il suo proprio tempo, specifico ed esclusivo. Il romanzo non ha accesso al tempo primordiale dei miti ma, nella misura in cui narra una storia verosimile, il romanziere utilizza un tempo apparentemente storico, e perciò condensato o dilatato, un tempo che dispone quindi di tutte le libertà dei mondi immaginari.

Si indovina nella letteratura, in modo più forte ancora che nelle altre arti, una rivolta contro il tempo storico, il desiderio di accedere ad altri ritmi temporali al posto di quello in cui si è costretti a vivere e a lavorare. Ci si chiede se questo desiderio di trascendere il proprio tempo, personale e storico, e di immergersi in un tempo « estraneo », o estatico o immaginario, non sarà mai sradicato. Finché sussiste questo desiderio si può dire che l'uomo moderno conserva ancora almeno certi residui di un « comportamento mitologico ». Le tracce di un tale comportamento mitologico si rivelano nel desiderio di ritrovare l'intensità con cui si è vissuta o si è conosciuta una cosa per la prima volta, di ricuperare il lontano passato, l'epoca beatifica degli « inizi ».

Come c'era da aspettarsi, è sempre la stessa lotta contro il Tempo, la stessa speranza di liberarsi dal peso del « Tempo morto », dal Tempo che schiaccia e uccide.


Mircea Eliade, Mito e realtà, Borla, 2007 (ed. or. 1963), pp. 224-227.

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