La proiezione del desiderio dell'incesto nel mondo degli dèi

Un campo di fatti che può indirettamente illuminare circa i residui della situazione edipica, operativi nell'uomo adulto, è quello costituito dall'atteggiamento che l'umanità in genere assume di fronte all'incesto.

Abbiamo veduto che un tale atteggiamento è caratterizzato da unanime orrore. Ma si possono fare alcune osservazioni particolari sopra un tale orrore.

Freud ha messo in rilievo il fatto che in tutte le legislazioni penali dei popoli primitivi sono prevedute gravissime pene per l'incesto, che figura dunque in queste legislazioni fra i massimi reati. Ma la legislazione penale di un popolo riproduce in genere il quadro delle tendenze criminose che si manifestano nella vita di quel popolo. Non vi è infatti bisogno di interdire ciò a cui nessuno aspira. La legislazione - e le legislazioni primitive in modo particolare - non sono infatti il prodotto di una costruzione teorica sistematicamente condotta, ma l'espressione concreta e storica della coscienza giuridica collettiva, quale si manifesta di fronte alle reali situazioni che si producono nella vita sociale.

Sopra una tale base si può già affermare che le pene previste in queste legislazioni primitve per l'incesto sono di per sé un indice che esiste una tendenza all'incesto, e cioè un indice della possibilità dell'incesto: il quale ha appunto bisogno di essere inibito, benché indubbiamente agiscano anche forze soggettive che a quella tendenza si contrappongono e la inibiscono (la rimuovono) nella maggior parte degli uomini.

Artificioso può forse apparire questo ragionamento che tende a provare la presenza in genere negli uomini di una tendenza particolare in base alle norme legislative che reprimono l'azione corrispondente, per chi della natura umana ha il concetto che possa fondamentalmente essere buona o perversa, per cui la legislazione repressiva si rivolgerebbe soltanto agli individui naturalmente portati al male e non agli uomini tutti. Ma non così, quando più realisticamente si ammetta che la natura umana è fondamentalmente unica, e che in certa misura agiscono in forma latente in ciascuno di noi quelle stesse tendenze che ci provocano sdegno ed orrore quando le vediamo manifestarsi negli individui condannati dalla giustizia e dalla morale degli uomini come delinquenti e come malvagi; e che ciò che distingue gli uomini gli uni dagli altri è soltanto la diversa economia ed organizzazione delle tendenze molteplici: per cui negli uni date tendenze si liberano e si esplicano senz'altro, e in altri sono, transitoriamente o duraturamente, mantenute in freno, o trasformate ed avviate verso mete diverse da quelle originarie.

Ma si può osservare un altro fatto strano, quanto al comportamento dei popoli primitivi o di popoli antichi rispetto all'incesto: l'incesto considerato massima colpa per gli uomini, apparisce un fatto normale nella vita degli dèi, così come la fantasia di questi stessi popoli la immagina.

Così nella mitologia greca l'incesto, sia sotto forma di rapporti fra genitori e figli, sia nella forma attenuata di rapporti fra fratelli, è frequente, e non desta per nulla nella coscienza popolare il senso di sdegno che produce in quanto fenomeno umano. E altrettanto dicasi per gli dèi e per gli eroi della mitologia germanica.

Come si può spiegare un tale fatto?

Il mondo degli dèi e il mondo degli eroi, come sono immaginati dalla fantasia popolare sono in un certo modo la proiezione in una realtà obbiettiva di determinati ideali di forza, di potenza e di perfezione, che la stessa coscienza popolare si costruisce: ideali che pur senza raggiungere il grado di quella che possiamo dire una perfezione morale, e restando aderenti agli stessi caratteri della vita umana - per cui si dice che tutte queste concezioni sono antropomorfistiche - rappresentano tuttavia, rispetto alla stessa vita umana, qualcosa di più elevato e di eticamente superiore. Ciò renderebbe incomprensibile la frequenza con cui l'elemento incestuoso si presenta nella vita degli dèi e degli eroi: a meno che non si ammetta che gli uomini, i quali inibiscono a se stessi l'incesto, che sentono come una colpa, non cessino perciò di aspirare (inconsapevolmente) all'incesto, e portino ancora con sé, benché rimossa, una tendenza incestuosa: quella che viene appunto appagata nella costruzione fantastica del mondo degli dèi. In altri termini gli uomini trasferirebbero ciò che non possono permettere a se stessi, in quella idealizzazione della loro vita, in cui la rappresentazione del mondo eroico e divino consiste.

In armonia con questa interpretazione, per cui l'incesto risulterebbe privilegio degli dèi e degli eroi, sta pure il fatto che presso gli antichi egiziani l'incesto rappresenta, sotto forma di matrimonio tra fratelli, il matrimonio normale per i principi della casa regnante, che di una divinità sono considerati discendenti.

[...]

[Salto al punto in cui Musatti introduce l'opera di Otto Rank del 1912 sui rapporti tra mitologia e letteratura greca e il desiderio rimosso dell'incesto. Ometto tutta la descrizione sintetica dei miti dei Titani e della vicenda dei Tantalidi, narrate da Esiodo, Omero, ecc.]

Possiamo ora chiederci: quale significato hanno tutte queste storie di lotte che si ripetono di generazione in generazione, unite ai vari elementi sessuali ai quali abbiamo via via accennato?

Si tratta in sostanza di determinate situazioni tipiche che tornano costantemente a ripetersi con lievi varianti e con successive attenuazioni. Principale è la situazione della lotta fra figlio e padre (che poi si attenua in lotta fra fratelli, e fra cugini) ed il motivo della lotta appare chiaramente un motivo sessuale: tanto è vero che nelle fasi primordiali del mito, lo spodestamento del padre è espresso con la sua evirazione.

Ne consegue che una tendenza incestuosa spinge oscuramente il figlio alla lotta contro il padre, col concorso della madre: anche se per lo più l'incesto si compie, a vittoria ottenuta, con la sorella.

Troviamo perciò operative, nei fatti narrati dal mito, quelle stesse tendenze di cui abbiamo detto che sussistono sempre, come tendenze inconsapevoli e quali residui di un comportamento infantile dimenticato, nell'uomo.

L'interesse degli uomini per questi e per simili miti, e la stessa costruzione da parte della fantasia popolare, di tali miti, non si spiegano del resto che a questo modo. La creazione artistica (popolare o no) è sempre riproduzione di situazioni che hanno profonde radici nello spirito umano. E se non troviamo queste radici mediante un esame superficiale delle tendenze che l'uomo presenta nella sua vita cosciente,  dobbiamo supporre che risiedano in tendenze nascoste, di cui l'uomo non sa nulla, che rifiuta come proprie, ma che ciò nonostante sono in lui attive.

Allo stesso modo quando un uomo dalla vita pacifica e tranquilla, dalle tendenze e dai gusti borghesi, come si dice, si interessa e si appassiona a vicende, narrate in un romanzo o svolte in una opera teatrale, che si riferiscono a persone di un ambiente sociale del tutto diverso dal suo, le quali operano e sentono fuori dagli schemi morali che guidano e regolano tutta la sua vita, la cosa appare inspiegabile, ove non si ammetta che quest'uomo ammira e si appassiona ad una vita alla quale egli, per contingenze esterne o per convincimenti interiori, ha rinunciato, ma alla quale inconsapevolmente non cessa dall'aspirare. Le tendenze che egli ha respinte, che ha soffocate in sé, o più precisamente che ha rimosse, determinano un tale interesse, trovando modo di appagarsi in una forma mascherata, attenuata e sopra tutto non pericolosa e lecita, in quella parentesi alla vita quotidiana che la lettura di quel romanzo o la contemplazione di quell'opera teatrale, costituiscono.

Un elemento può tuttavia essere rimasto oscuro nella interpretazione dei fattori che determinano la configurazione dei miti considerati: e cioè quella che abbiamo detta progressiva attenuazione di una situazione iniziale fondamentale.

Questo processo si può spiegare col fatto che, man mano che si passa dagli dèi agli eroi, tutte le situazioni si umanizzano, diventano più vicine agli uomini ai quali la ideazione del mito è dovuta; ma si fanno quindi insieme in certo modo più pericolose, minacciando di mettere in luce e di svelare le stesse tendenze inconscie: queste richiedono di essere appagate, e di fatto si appagano nella ideazione e nella contemplazione del mito, ma gli uomini tuttavia rifiutano assolutamente di riconoscerle per proprie, e quindi le rimuovono. Per cui la azione della rimozione si accentua, diventa più esigente, tollera l'espressione di quelle tendenze solo attraverso un ulteriore mascheramento, ossia attraverso una attenuazione delle situazioni iniziali.




Cesare L. Musatti, Trattato di psicoanalisi, Boringhieri, 1974 (ed. or. 1949), Vol. II, pp. 170-172 e pp. 187-188 [Ho omesso tutte le note. Sottolineature mie].

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