Perché le cure psicoanalitiche devono essere costose

[La seguente citazione si riferisce a una nota a piè di pagina]


[...] i trattamenti psicoanalitici non debbono essere gratuiti: è opportuno che pesino alquanto economicamente, sui pazienti, allo scopo che questi non si adagino nella cura, non tendano cioè inconsciamente a perpetuarla indefinitamente (cfr. [S. Freud] Ges. Schr., VI, pp. 95-96). Una tendenza di questo genere si anima spesso spontaneamente nei pazienti, perché il prolungamento della cura costituisce per essi un ottimo compromesso fra l'inconscio attaccamento alla malattia ed il consapevole desiderio di fare tutto ciò che sta in loro per guarire [...]


Cesare L. Musatti, Trattato di psicoanalisi, Boringhieri, 1974 (ed. or. 1949), Vol. I, p. 336.

[ Non sono riuscito a trovare il luogo preciso a cui si riferisce Musatti nel rimandare a Freud, ma ho trovato comunque una osservazione in proposito contenuta in un suo saggio del 1913-14]

Il punto successivo sul quale bisogna decidere all’inizio di una cura è il denaro, l’onorario del medico. L’analista non mette in dubbio che il denaro debba essere considerato innanzitutto un mezzo per sopravvivere e ottenere potere, ma egli sostiene che nella valutazione del denaro sono coinvolti potenti fattori sessuali. Può richiamarsi quindi al fatto che le faccende di denaro sono trattate dalle persone civili in modo del tutto analogo alle cose sessuali, con la stessa contraddittorietà, pruderie e ipocrisia. Egli è dunque deciso in partenza a non fare altrettanto, e a trattare invece i rapporti di denaro dinanzi ai propri pazienti con la stessa naturale sincerità alla quale vuole educarli nelle questioni della vita sessuale. Dà loro la prova ch’egli stesso ha deposto un falso pudore, comunicando spontaneamente quanto valuta il proprio tempo. Umana prudenza impone poi di non lasciar accumulare grandi somme bensì di fissare il pagamento a intervalli regolari piuttosto brevi (mensili per esempio). (Com’è noto non si accresce agli occhi del paziente il valore del trattamento se glielo si offre molto a buon mercato). Questa non è, come si sa, la prassi abituale del neurologo o dell’internista nella nostra società europea. Ma allo psicoanalista è consentito porsi sul piano del chirurgo, che è schietto e costoso perché dispone di ausili terapeutici davvero efficaci. Ritengo comunque più degno ed eticamente meno discutibile dichiarare apertamente le proprie pretese e i propri reali bisogni piuttosto che, com’è ancor oggi in uso fra medici, fare la parte del filantropo disinteressato – situazione che davvero non si confà ad alcuno – rammaricandosi in segreto o deprecando a viva voce la mancanza di riguardi e la mania che hanno i pazienti di approfittarsi dei medici. Per la sua richiesta di pagamento l’analista farà inoltre valere il fatto che pur con un lavoro pesante egli non potrà mai guadagnare quanto altri specialisti medici.

Per le stesse ragioni egli potrà anche rifiutarsi di curare senza onorario, non facendo eccezione neppure a favore dei colleghi o dei loro congiunti. L’ultima pretesa sembra contravvenire alle regole della collegialità medica; si tenga conto però che un trattamento gratuito significa per lo psicoanalista molto di più che per qualsiasi altro medico; significa cioè la sottrazione di una quota rilevante del suo tempo disponibile per il guadagno (un ottavo, un settimo e simili), e ciò per la durata di molti mesi. Un secondo trattamento gratuito, che avvenga contemporaneamente, gli ruba addirittura un quarto o un terzo della sua capacità di guadagno, il che dovrebbe essere equiparato all’effetto di un grave incidente traumatico.

Si tratta allora di vedere se il vantaggio per il malato bilancia in qualche modo il sacrificio del medico. Posso certo consentirmi un giudizio in proposito poiché per dieci anni circa ho dedicato giornalmente un’ora, talora anche due ore, a trattamenti gratuiti, dato che per orientarmi nella nevrosi volevo lavorare nel modo più libero possibile da resistenze. Non trovai in questa pratica i vantaggi che cercavo. Alcune resistenze del nevrotico sono enormemente accresciute dal trattamento gratuito: per esempio nella giovane donna, la tentazione implicita nel rapporto di traslazione; nel giovane, l’opposizione (derivante dal complesso paterno) all’obbligo della gratitudine, opposizione che rappresenta una delle più spiacevoli incombenze per chi si dedica all’assistenza medica. La mancanza dell’effetto di regolarizzazione, che pure si verifica quando si salda il conto al proprio medico, si fa sentire in modo molto penoso; tutto il rapporto si sposta fuori dal mondo reale; un buon motivo per aspirare alla fine della cura viene sottratto al paziente.

Si può essere lontanissimi da un atteggiamento di ascetica condanna del denaro e purtuttavia deplorare che la terapia analitica sia quasi inaccessibile per motivi esterni e interni alle persone povere. C’è poco da fare a questo proposito. Forse è giustificata l’asserzione assai diffusa secondo cui cade meno facilmente preda della nevrosi chi dalle necessità della vita è costretto a un duro lavoro. Del tutto incontestabile si presenta invece l’altra esperienza per cui il povero nel quale si sia radicata una nevrosi, se la lascia sottrarre soltanto con molta fatica. Essa gli rende troppi buoni servigi nella lotta per l’autoaffermazione; il tornaconto secondario che la malattia gli offre è troppo importante. La pietà che gli uomini hanno negato al suo bisogno materiale, il povero la reclama ora grazie al titolo che la nevrosi gli conferisce e che lo assolve dall’obbligo di combattere la sua povertà lavorando. Chi si occupa della nevrosi di un povero con i mezzi della psicoterapia fa dunque di regola l’esperienza che in questo caso gli si richiede in verità una terapia pratica di tutt’altro genere, una terapia come quella usata, a quanto dice la tradizione, dall’imperatore Giuseppe II [?]. Naturalmente si trovano pure, a volte, persone eccellenti che si trovano in miseria senza averne colpa, e per le quali il trattamento gratuito non urta contro gli ostacoli anzidetti e raggiunge anzi brillanti risultati.

Per le classi medie il dispendio di denaro necessario per la psicoanalisi è soltanto in apparenza eccessivo. A prescindere dal fatto che la salute e la capacità di fare da una parte, e un moderato dispendio di denaro dall’altra sono entità tra loro assolutamente inconfrontabili, se si sommano le interminabili spese per sanatori e cure mediche e a queste si contrappone l’incremento della capacità di fare e guadagnare ottenuto al termine di una cura analitica portata a buon fine, si può dire che i malati hanno fatto un buon affare. Nella vita non c’è nulla di più dispendioso della malattia e della stupidità.


Sigmund Freud, Opere complete, Vol. 7, "Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi 1913-14", Bollati Boringhieri, 2013 (edizione digitale: il numero delle pagine a cui si riferisce il brano riportato dipende dal dispositivo di lettura)

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