Il difficile rapporto tra libertà e legami sociali

[Ovvero perché una buona fetta di persone preferisce vivere sotto un regime oppressivo alla fatica di una libertà che implica scelte autonome e responsabilità. Ciò che si lega anche al fenomeno del conformismo]

Il caso seguente offre un esempio di quello che si potrebbe chiamare un panico militare verificatosi isolatamente, e spogliato cioè degli elementi dovuti ad un contagio emotivo.

Un individuo normale che ha preso parte alla prima guerra mondiale, il giorno dell'armistizio e all'annuncio per lui del tutto inaspettato che la guerra era finita, è preso da un attacco acuto d'angoscia, da un terrore folle quale  non aveva mai avuto durante i vari episodi bellici a cui aveva preso parte. Questo individuo aveva sentito la soppressione o attenuazione della iniziativa individuale, che è inerente al meccanismo della organizzazione militare, come un peso: ma come un peso che tuttavia libera da ogni responsabilità, dando il senso che vi è tutta una organizzazione che provvede e pensa per il singolo o che esonera il singolo dal pensare egli stesso ai casi propri. La impressione improvvisa di un ritorno alla propria responsabilità, di una soppressione di questa organizzazione, oppressiva ma insieme in certo modo protettiva, dava a questo individuo un senso di subitaneo vuoto, come se gli fosse venuto a mancare ogni appoggio, e quindi un senso di indicibile terrore.

In forma oscura, per costui in quel momento, rappresentava una situazione infinitamente più densa di immediati pericoli personali, la vita civile, che aveva di fronte a sé, che non la passata vita di guerra, affrontata come elemento di quella organizzazione militare che è l'esercito; e l'annuncio della fine di quella organizzazione è stata perciò da lui presa come un «si salvi chi può»1.

Sono da spiegarsi in egual modo le epidemie di suicidio che si verificano frequentemente in occasione di quelle trasformazioni sociali per cui determinati individui mentre assistono alla distruzione della organizzazione collettiva (lo stato) di cui si sentivano parte, si vedono in qualche modo esclusi - in base alla loro posizione nel passato regime, o in base alla confessione religiosa, o alla razza a cui appartengono - dalla nuova organizzazione che la sostituisce.

Senza la protezione affettiva della collettività sociale (organizzata come lo stato) la vita appare a costoro tremendamente densa di minacce insopportabili, anche se di fatto la nuova organizzazione politica si astiene dal perseguitarli in forma attiva e violenta.

Probabilmente, o per lo più, è frutto di una razionalizzazione la giustificazione che costoro dànno del loro atto, dicendo che non possono assistere alla distruzione degli ideali nei quali hanno creduto. Essi piuttosto non possono sopportare la perdita della solidarietà umana, della simpatia sociale.

L'uomo infatti si sente perseguitato non soltanto da atti ostili concreti, ma anche dal ritiro di quella solidarietà e simpatia collettiva, dalla esclusione da quella rete di legami libidici, che costituisce l'elemento coesivo della collettività sociale.

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1 La situazione - in quanto rifiuto ad abbandonare una preesistente condizione di dipendenza, e in quanto sgomento della propria libertà - può essere aggiunta a quella serie di situazioni che abbiamo qualificate come ripetizioni della nascita. (Cfr. § 180).


Cesare L. Musatti, Trattato di psicoanalisi, Boringhieri, 1974 (ed. or. 1949), vol. II, pp. 364-365 [Ho tralasciato le note ritenute non essenziali].

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