La guerra come occasione di rimozione delle inibizioni morali

Come si determina la trasformazione dell'uomo di pace nel combattente di guerra ¹ ? E qual'è l'origine di quelle tendenze aggressive che la guerra rivela?

Non si tratta e non si può trattare di tendenze nuove, ma di fattori istintivi permanentemente attivi nell'uomo e che, in quella che si indica normale vita civile di pace, sono soltanto inibiti da una molteplicità di forze opposte.

Lo stato stesso, e cioè la società organizzata, esige normalmente dal singolo la rinuncia a molti comportamenti istintivi, i quali sono incompatibili con la vita consorziata: in particolare lo stato non tollera nel singolo le tendenze aggressive verso il prossimo, o le tollera solo quando si esplicano in misura attenuata ed attraverso forme particolari, che appunto si dicono legali.

Lo stato esercita dall'esterno sul singolo una pressione per limitare la espressione di queste tendenze istintive, ma una analoga pressione si compie anche all'interno, in forza dei legami affettivi che, come vedemmo, si costituiscono nell'aggregato sociale. La stessa pressione esterna dello stato tende inoltre a farsi pressione interna, in quanto il super-io individuale (e la stessa coscienza morale che ne è una funzione particolare) è in gran parte il prodotto dell'azione sociale e si costituisce per la introiezione di autorità esterne; cosicché il comportamento sociale normale dell'uomo risulta appunto determinato dall'equilibrio che si istituisce fra la pressione dell'es, della vita istintiva, e la contropressione delle difese esercitate dal super-io.

Ma lo stato riserba a sé la libertà di compiere ciò che vieta ai singoli, monopolizza cioè per sé, nei confronti degli stati stranieri, l'esercizio di quella violenza che inibisce ai suoi cittadini nei loro rapporti reciproci; e poiché lo stato esercita la sua attività attraverso l'azione dei singoli, presenta come legittimi e doverosi verso l'esterno quegli atti che punisce e reprime quando siano compiuti all'interno della collettività statale.

Questo diverso comportamento dello stato si esplica, entro determinati limiti, fin dal tempo di pace, poiché lo stato prepara la guerra, o - ciò che equivale - deve essere disposto alla guerra, fin dal tempo di pace. Ma si manifesta in forma esplicita solo a guerra dichiarata. La dichiarazione di guerra è infatti l'atto con cui lo stato rende l'esercizio della violenza contro lo stato avversario legittimo, per sé e quindi per i suoi cittadini armati.

Per il singolo questo atto dello stato rappresenta un improvviso capovolgimento di valori: ciò che era fin allora proibito, diventa - sia pur limitatamente al nemico - legittimo e doveroso.

Se il super-io individuale fosse indipendente dalla autorità esterna dello stato, se la coscienza morale fosse una formazione puramente individuale, o se il «non uccidere» fosse un imperativo impresso nell'animo umano fin dalla nascita, la situazione in cui il singolo si viene a trovare in guerra sarebbe intollerabile: essa non differirebbe essenzialmente da quella di un individuo al quale in tempo di pace fosse chiesto improvvisamente di commettere una serie di omicidî su persone ignote, e che fosse posto nell'alternativa di eseguire un tale ordine o di venire egli stesso soppresso.

Nella realtà il mutamento di valori determinato dalla guerra non viene sentito dagli uomini come imposto da una autorità esterna, ma trova nella loro coscienza immediata adesione: gli uomini non fanno la guerra perché è loro imposta dallo stato, ma perché lo stato la permette loro.

La coscienza morale è per la massima parte angoscia sociale, cioè paura della riprovazione sociale: quando la società toglie improvvisamente il veto alle tendenze aggressive latenti nell'animo umano ², queste esplodono, forti dell'appoggio dello stesso super-io, in quanto autorità sociale interiorizzata ³.

Con ciò naturalmente non si deve intendere che la guerra sia esclusivamente una tale improvvisa liberazione di tendenze aggressive, distruttrici ed omicide. Agiscono in essa ed hanno una funzione di capitale importanza tutti i fattori affettivi ed ideali che vengono additati nella esaltazione dell'eroismo guerriero. Ma tali fattori, congiungendosi alle tendenze aggressive liberate, dànno modo a queste di trovare il loro appagamento senza incorrere nella riprovazione sociale e nel rimorso personale.

Fra questi fattori uno ve n'è che ha un carattere particolare e sembrerebbe antitetico alle stesse tendenze aggressive.

Coloro i quali hanno preso parte ad una lunga guerra e, ritornati alla vita civile, vi ripensano a distanza di anni, non hanno per nulla l'impressione che quel periodo della loro vita fosse dominato da sentimenti di ostilità e di aggressività: possono naturalmente essere chiari nella loro coscienza singoli episodi di violenza, e se questi non si sono attenuati nella memoria per quella idealizzazione che operiamo sempre sulle cose nostre passate, il loro ricordo può ora andar congiunto ad un senso di amarezza. Ma nel suo insieme il ricordo di quel periodo di vita non è per nulla spiacevole, e suscita anzi sentimenti di nostalgia. Se in qualcuno ciò può essere semplicemente un rimpianto per la giovinezza che si allontana, in genere la situazione è più complessa; in quanto a questi sentimenti è congiunto il senso di una ricchezza di vita affettiva, che si ha l'impressione di non aver più raggiunto in periodi successivi. Per quanto la cosa possa apparire paradossale, il ricordo che la guerra lascia nel combattente, è sopra tutto un ricordo di umana simpatia e, in una parola, di amore.

E questo perché la liberazione e l'accentuazione delle tendenze aggressive verso l'esterno si accompagnano ad una straordinaria intensificazione dei rapporti affettivi fra gli individui dello stesso gruppo.

La guerra è livellatrice per tutti: quella parità di condizioni affettive, che fra i cittadini dello stesso stato in tempo di pace comporta numerose limitazioni ed eccezioni, si attua invece in pieno fra i combattenti di un esercito. Il processo di identificazione assume perciò una estensione che non può avere in tempo di pace, e si costituisce su una tale base una forma di solidarietà e di fraterno amore fra gli uomini, che è ignota nella vita civile ⁴.


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¹ Negli stati moderni non soltanto la mentalità del combattente si trasforma durante la guerra, ma anche quella del cittadino che non prende parte ad azioni militari. Le tendenze aggressive non si manifestano infatti soltanto con la violenza fisica; e vi è una forma di aggressività alla quale partecipa, o può partecipare, tutta intera la nazione in guerra: essa si esplica con una svalutazione generale dell'avversario, con un deprezzamento delle sue caratteristiche etniche e culturali, con una deformazione caricaturale della sua storia, con la interpretazione di ogni suo atto, come dovuto a moventi bassi e vili (Ges. Schr., X, p. 320). Ogni guerra apparisce cioè santa e giusta alla nazione che la combatte; il nemico ha sempre e comunque torto.

² Nelle guerre religiose la Divinità stessa toglie un tale veto («Dio lo vuole») e santifica la violenza; nelle guerre civili e nelle rivoluzioni, lo stato in fieri si sostituisce allo stato preesistente e proclama la legalità della violenza contro quello e contro i suoi rappresentanti.

³ Ges. Schr., X, p. 321. Lo scoppio di entusiasmo collettivo e di ebbrezza festosa che si produce all'atto di una dichiarazione di guerra, e che può superare in intensità il senso di trionfo dato dalla fine di una guerra vittoriosa, si può comprendere in base a questa situazione. Un tale entusiasmo viene naturalmente utilizzato dallo stato per i suoi fini, ma esso non è razionalmente giustificato. La guerra è sempre per lo stato il rischio supremo, e da un punto di vista razionale la guerra anche se considerata inevitabile, necessaria e giusta, dovrebbe essere accolta da ogni nazione con un senso di trepidazione e di raccoglimento. Tuttavia Freud osserva che la eliminazione della normale tensione fra l'io e il super-io, e la loro improvvisa coincidenza, produce sempre una impressione di trionfo (Ges. Schr., VI, p. 335. Cfr. § 174). Precisamente una coincidenza di questo genere si produce nella coscienza individuale quando, con la dichiarazione di guerra, lo stato improvvisamente legalizza le tendenze aggressive represse.

⁴ Questa forma di solidarietà, mantenuta da fortissimi legami affettivi, fra i combattenti, può in dati casi ed entro determinati limiti, svincolarsi dalla sua stessa origine - la guerra combattuta in rappresentanza dello stato e perciò della collettività nazionale - e favorire lo sviluppo di una aggressività verso i connazionali non combattenti (ostilità ed intolleranza del fronte per l'interno del paese), oppure promuovere - quando per la fine della guerra si attenuino le tendenze aggressive contro il nemico - una identificazione con i combattenti del campo avverso (solidarietà combattentistica internazionale).


Cesare L. Musatti, Trattato di psicoanalisi, Boringhieri, 1974 (ed. or. 1949), vol. II, pp. 359-362 [Ho tralasciato le note ritenute non essenziali. Sottolineature mie].

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