Bambini, nevrotici, primitivi. Il totemismo e il complesso di Edipo.

Ecco il clan, che in una circostanza solenne uccide e divora crudo il suo animale totemico, carne, sangue e ossa; ci sono tutti i membri del clan, travestiti a somiglianza del totem, e ne imitano i suoni e i movimenti come se volessero accentuare la sua e la loro identità. C’è inoltre la consapevolezza che si sta eseguendo un’azione proibita a ogni individuo singolarmente preso, un’azione che può essere giustificata soltanto dalla partecipazione di tutti; a nessuno è concesso di esimersi dall’uccisione e dal pasto. Dopo il fatto, l’animale ucciso viene pianto e compianto. Il compianto funebre è un obbligo imposto dalla paura di una rivalsa minacciosa, il cui scopo principale mira, come nota Robertson Smith in un’occasione analoga, a liberarsi dalla responsabilità dell’uccisione. ²⁷⁹
Ma a questo lutto tiene dietro la più rumorosa festività, lo scatenarsi di ogni pulsione e la via libera a prendersi tutte le soddisfazioni.

Non occorrono sforzi, a questo punto, per penetrare nell’essenza della festa in generale. Una festa è un eccesso permesso, anzi comandato, un’infrazione solenne di un divieto. Gli uomini si abbandonano agli eccessi non perché siano felici per un qualche comando che hanno ricevuto. Piuttosto, l’eccesso è nella natura stessa di ogni festa; l’umore festoso è provocato dalla libertà di fare ciò che altrimenti è proibito.

Che cosa significa mai però il preludio di questa gioia festosa, ossia il lutto per la morte dell’animale totemico? Se ci si rallegra per l’uccisione del totem, che in ogni altro caso è proibita, perché allora lo si compiange anche?

Abbiamo visto che gli appartenenti a un clan si santificano consumando il totem, si rafforzano nella loro identificazione con il totem e tra di loro. L’aver accolto in se stessi la vita sacra di cui è portatrice la sostanza del totem potrebbe spiegare l’umore festoso e tutto ciò che gli tiene dietro.

La psicoanalisi ci ha rivelato [qui, par. 3] che l’animale totemico è realmente il sostituto del padre col che si accorderebbe bene la contraddizione secondo la quale la sua uccisione è proibita in ogni altro caso eppure diventa l’occasione festosa; si accorda il fatto che si uccida l’animale e pure se ne compianga la morte. L’atteggiamento emotivo ambivalente che caratterizza ancor oggi nei nostri bambini il complesso del padre, e si prolunga spesso nella vita dell’adulto, pare estendersi a quel sostituto del padre che è l’animale totemico.

Soltanto se si confrontano tra loro il modo in cui la psicoanalisi concepisce il totem, la realtà costituita dal pasto totemico e l’ipotesi darwiniana circa la condizione primordiale della società umana è possibile una comprensione più approfondita, è possibile prospettarsi un’ipotesi che può sembrare fantasiosa, ma che offre il vantaggio di stabilire un’insospettata unità tra serie finora distinte di fenomeni.

L’orda primitiva di Darwin è ancora al di qua, naturalmente, degli esordi del totemismo. Vi è solo un padre prepotente, geloso che tiene per sé tutte le femmine e scaccia i figli via via che crescono: nient’altro. Le condizioni primordiali della società non sono mai state fatte oggetto di osservazione. L’organizzazione più primitiva che possiamo trovare, e che è ancor oggi in vigore presso certe tribù, consiste in “bande” di uomini dotati di uguali diritti e sottomessi alle restrizioni del sistema totemistico, tra cui l’eredità in linea materna. È possibile che questa organizzazione derivi dall’altra, e per quale via poté accadere?

Il richiamo alla celebrazione del pasto totemico ci permette di dare una risposta: Un certo giorno ²⁸⁰ i fratelli scacciati si riunirono, abbatterono il padre e lo divorarono, ponendo fine così all’orda paterna. Uniti, essi osarono compiere ciò che sarebbe stato impossibile all’individuo singolo (forse un progresso nella civiltà, il maneggio di un’arma nuova, aveva conferito loro un senso di superiorità). Che essi abbiano anche divorato il padre ucciso, è cosa ovvia trattandosi di selvaggi cannibali. Il progenitore violento era stato senza dubbio il modello invidiato e temuto da ciascun membro della schiera dei fratelli. A questo punto, divorandolo, essi realizzarono l’identificazione con il padre, ognuno si appropriò di una parte della sua forza. Il pasto totemico, forse la prima festa dell’umanità, sarebbe la ripetizione e la commemorazione di questa memoranda azione criminosa, che segnò l’inizio di tante cose: le organizzazioni sociali, le restrizioni morali e la religione. ²⁸¹

Per trovare credibili – a prescindere dalla premessa – queste conseguenze, basta ipotizzare che la schiera riunita dei fratelli fosse dominata dagli stessi sentimenti contraddittori verso il padre che possiamo rintracciare come contenuto dell’ambivalenza del complesso paterno in ognuno dei nostri bambini e dei nostri nevrotici. Essi odiavano il padre, possente ostacolo al loro bisogno di potenza e alle loro pretese sessuali, ma lo amavano e lo ammiravano anche. Dopo averlo soppresso, aver soddisfatto il loro odio e aver imposto il loro desiderio di identificazione con lui, dovette farsi sentire l’affezione nei suoi confronti fin allora rimasta sopraffatta. ²⁸² Questo si verificò nella forma del rimorso, sorse un senso di colpa che coincide qui con il rimorso sentito collettivamente. Morto, il padre divenne più forte di quanto fosse stato da vivo: tutto si svolse nel modo che possiamo misurare ancor’oggi sul destino degli uomini. Ciò che prima egli aveva impedito con la sua esistenza, i figli se lo proibirono ora spontaneamente nella situazione psichica dell’“obbedienza retrospettiva”, che conosciamo così bene attraverso la psicoanalisi. ²⁸³ Revocarono il loro atto dichiarando proibita l’uccisione del sostituto paterno, il totem, e rinunciarono ai suoi frutti, interdicendosi le donne che erano diventate disponibili. In questo modo, prendendo le mosse dalla coscienza di colpa del figlio, crearono i due tabù fondamentali del totemismo, che proprio perciò dovevano coincidere con i due desideri rimossi del complesso edipico. Chi vi contravveniva si rendeva colpevole dei due soli delitti che preoccupavano la società primitiva. ²⁸⁴

I due tabù del totemismo, con i quali ha inizio la moralità degli uomini, non hanno uguale valore psicologico. Soltanto uno, il risparmio dell’animale totemico, poggia interamente su basi emotive: il padre era ormai tolto di mezzo, e in realtà non c’era più modo di rimediare. Ma l’altro, il divieto dell’incesto, aveva anche un solido fondamento pratico. Il bisogno sessuale non unisce i maschi, ma li divide. Se i fratelli avevano fatto lega per sopraffare il padre, ognuno era però rivale dell’altro rispetto alle donne. Ciascuno avrebbe voluto averle tutte per sé, come le aveva il padre, e nella lotta di tutti contro tutti la nuova organizzazione sarebbe andata distrutta. Non c’era più nessuno dotato di forza schiacciante, tale da poter assumere con successo la parte di padre. Così non restò altro ai fratelli, se volevano convivere, che erigere il divieto dell’incesto – forse dopo aver superato gravi dissensi – in base a cui rinunciavano tutti insieme alle donne che desideravano e a causa delle quali, soprattutto, avevano tolto di mezzo il padre. In tal modo salvarono l’organizzazione che li aveva fatti forti: non è da escludere che questa si basasse su sentimenti e pratiche omosessuali, che potevano essersi insediate fra loro all’epoca della loro cacciata da parte del padre. Forse fu proprio questa situazione che pose il germe alle istituzioni del matriarcato individuate da Bachofen, ²⁸⁵ fin quando il matriarcato fu sostituito dall’ordinamento patriarcale della famiglia.

Che il totemismo abbia diritto ad essere considerato il primo tentativo di una religione discende invece dall’altro tabù, quello che protegge la vita dell’animale totemico. Se alla sensibilità dei figli l’animale appariva come il sostituto ovvio e naturale del padre, nel trattamento che risultò loro imposto dell’animale si trovava espresso qualcosa di più che il bisogno di estrinsecare il loro pentimento. Con il padre sostitutivo si poteva compiere il tentativo di acquietare il bruciante senso di colpa, di ottenere una sorta di riconciliazione con il padre. Il sistema totemistico era per così dire un patto con il padre, in cui quest’ultimo concedeva tutto ciò che la fantasia infantile poteva aspettarsi dal padre: protezione, cura e attenzioni. In cambio ci si impegnava a onorare la sua vita, ossia a non ripetere su di lui l’azione che aveva portato alla scomparsa del padre reale. C’era anche, nel totemismo, un tentativo di giustificazione: “Se il padre ci avesse trattati come fa il totem, non saremmo mai stati tentati di ucciderlo.” Così il totemismo concorse ad attenuare le circostanze e a far dimenticare l’evento al quale doveva la sua nascita.

In questo contesto vennero alla luce alcuni tratti che rimasero poi determinanti per il carattere della religione. La religione totemica era nata dal senso di colpa dei figli, come tentativo di attenuare questa sensazione e di riconciliarsi il padre offeso con l’obbedienza retrospettiva. Tutte le religioni successive si dimostrano altrettanti tentativi di soluzione del medesimo problema, tentativi variabili a seconda delle condizioni culturali in cui vengono intrapresi e delle strade che imboccano, ma sono tutte reazioni rivolte allo stesso fine, reazioni al medesimo grande avvenimento con il quale ebbe inizio la civiltà e che da allora non dà pace all’umanità.

Un’altra caratteristica ancora, che la religione ha conservato fedelmente, apparve già nel totemismo. La tensione generata dall’ambivalenza era certo troppo forte per poter essere equilibrata da una qualche organizzazione; oppure le condizioni psicologiche non sono assolutamente favorevoli per eliminare questo contrasto emotivo. Si nota in ogni caso che l’ambivalenza implicita nel complesso paterno prosegue anche nel totemismo e nelle religioni in generale. La religione del totem non abbraccia soltanto le espressioni di rimorso e i tentativi di riconciliazione, ma serve anche a ricordare il trionfo sul padre. La soddisfazione così raggiunta è la causa della festa in memoriam espressa dal pasto totemico, festa durante la quale cadono le restrizioni imposte dall’obbedienza retrospettiva e diventa un dovere tornare a ripetere il crimine del parricidio nel sacrificio dell’animale totemico, ogni volta che l’acquisizione consolidata di quel crimine, l’appropriazione delle qualità del padre, minaccia di scomparire, a causa degli influssi variabili dell’esistenza. Non ci stupiremo di scoprire che nelle costruzioni religiose più tarde torna sempre ad affiorare, celata spesso nei travestimenti e nei mascheramenti più singolari, anche la componente della fierezza filiale.

Abbiamo seguito finora nella religione e nelle prescrizioni morali (entrambe nel totemismo ancora scarsamente separate) le conseguenze della corrente sentimentale verso il padre in quanto persona amata, corrente trasformata in rimorso. Ma non dobbiamo trascurare il fatto che, in sostanza, quelle che prevalgono sono le tendenze che hanno spinto al parricidio. D’ora in poi i sentimenti sociali di fraternità, sui quali poggia il grande sovvertimento, conservano per lunghissimo tempo il più profondo influsso sull’evoluzione della società. Si esprimono nella santificazione del sangue comune, nell’accentuazione della solidarietà di tutta la vita all’interno del medesimo clan. In questo modo, garantendosi reciprocamente la vita, i fratelli affermano che nessuno di loro può venir trattato da un altro fratello come il padre è stato trattato dai fratelli tutti insieme. Escludono una ripetizione del destino paterno. Al divieto, fondato sulla religione, di uccidere il totem, si aggiunge ora il divieto, a fondamento sociale, del fratricidio. Passerà molto tempo ancora prima che il comandamento cessi di essere limitato ai membri della stessa stirpe e assuma la semplice formulazione: Non ammazzare. Prima, al posto dell’“orda paterna” è subentrato il “clan fraterno”, che si è garantito mediante il legame di sangue. La società poggia ora sulla correità nel delitto perpetrato insieme, la religione sulla coscienza della colpa e sul rimorso, la moralità in parte sulle necessità di questa società, in parte sulle pene imposte dal senso di colpa.

In antitesi con le concezioni più recenti ma in concordanza con quelle precedenti, la psicoanalisi ci spinge a postulare la stretta connessione e l’origine contemporanea di totemismo ed esogamia.

____________________________________

²⁷⁹ Smith, op. cit. [Lectures on the religion of the Semites, London, 1894] p. 412.
²⁸⁰ Prego di aggiungere come correttivo a questa descrizione, che altrimenti potrebbe essere fraintesa, le frasi finali della nota seguente.
²⁸¹ L’ipotesi apparentemente mostruosa del padre tirannico sopraffatto e ucciso dai figli scacciati e alleatisi tra loro risulta essere, anche secondo Atkinson, Primal Law cit., pp. 220 sg. [Freud cita in inglese], la conseguenza diretta della situazione esistente nell’orda primordiale darwiniana: “Il patriarca aveva solo un nemico veramente temibile... una banda giovanile di fratelli che vivevano insieme in celibato forzato, o al massimo in relazione poliandrica con qualche singola femmina in stato di cattività. Sono un’orda ancor debole in età prepuberale, ma quando, con l’andar del tempo, avranno acquistato forza, inevitabilmente strapperanno alla tirannia paterna, con attacchi combinati e ripetuti più e più volte, sia la moglie che la vita.” Atkinson, il quale tra l’altro trascorse la vita in Nuova Caledonia ed ebbe straordinarie occasioni di studiare gli aborigeni, si richiama anche al fatto che le condizioni dell’orda primordiale supposte da Darwin sono facilmente osservabili nei branchi di buoi e cavalli selvatici, e portano regolarmente all’uccisione del padre del branco [ibid., pp. 222 sg.]. Egli suppone inoltre che, dopo l’eliminazione del padre, l’orda si sfasci a causa della lotta accanita che i figli vittoriosi ingaggiano l’uno contro l’altro. In questo modo non si attuerebbe mai una nuova organizzazione della società: vi sarebbe “una successione violenta, sempre ricorrente, alla tirannia solitaria del padre, attuata da figli le cui mani parricide sono ben presto implicate di nuovo in una contesa fratricida” (ibid., p. 228). Atkinson, che non disponeva dell’aiuto della psicoanalisi e non conosceva gli studi di Robertson Smith, rintraccia un trapasso meno violento dall’orda primordiale al successivo gradino sociale, in cui parecchi maschi convivono in comunità pacifica. Egli attribuisce all’amore materno il fatto che prima solo ai figli più giovani, e più tardi anche ad altri figli sia concesso di rimanere nell’orda, ciò che implica da parte di questi figli tollerati il riconoscimento del privilegio sessuale del padre sotto forma di rinuncia, da parte loro, alla madre e alle sorelle. [Ibid., pp. 231 sg.]
Questo quanto alla teoria di Atkinson, che considero degna della massima considerazione. Nel punto essenziale essa concorda con la teoria da me esposta; ma le divergenze che pure esistono fra noi implicano la rinuncia a stabilire un nesso con tanti altri elementi.
L’imprecisione, l’abbreviazione del fattore temporale e la concentrazione dei dati esposti più in alto sono frutto di una rinuncia imposta dalla natura stessa dell’argomento. Sarebbe assurdo aspirare all’esattezza in questa materia, così come sarebbe ingiusto pretendere delle certezze.
²⁸² Questo nuovo atteggiamento emotivo fu certamente favorito altresì dal fatto che l’impresa non poteva dare piena soddisfazione a nessuno dei suoi autori. Sotto un certo punto di vista essa era stata inutile. Nessuno dei figli poteva infatti attuare il desiderio originario di prendere il posto del padre. E, come sappiamo, gioca molto più a favore della reazione morale l’insuccesso che non la soddisfazione.
²⁸³ [Un esempio di “obbedienza posteriore” si trova nel caso del piccolo Hans cit., par. 2].
²⁸⁴ Smith, op. cit., p. 419: “Omicidio e incesto, oppure offese analoghe alle sacre leggi del sangue, sono nella società primitiva i soli delitti che la comunità in quanto tale conosca.” [Freud cita in inglese].
²⁸⁵ [J. J. Bachofen, Das Mutterrecht (Stoccarda 1861)].


Sigmund Freud, "Totem e tabù", in Opere complete (ed. digitale), Bollati Boringhieri, 2013, pp. 3127-3131.

Commenti