Dio secondo Jung

Arriviamo con ciò a quello che è l’argomento specifico di questo capitolo, cioè all’analisi della relatività del simbolo. Per relatività di Dio io intendo una concezione secondo la quale Dio non esiste come “assoluto” e cioè staccato dal soggetto umano e al di là di tutte le condizioni umane, ma in base alla quale egli in un certo senso dipende dal soggetto umano, sussistendo un rapporto reciproco e necessario fra uomo e Dio, cosicché da un lato l’uomo può essere inteso come una funzione di Dio e dall’altro Dio come una funzione dell’uomo. Per la nostra psicologia analitica, in quanto essa è una scienza che bisogna intendere dal punto di vista empirico, l’immagine di Dio è l’espressione simbolica di uno stato psichico o di una funzione caratterizzata dal fatto che essa si sovrappone assolutamente alla volontà cosciente del soggetto e può quindi imporre o rendere possibili atti e realizzazioni che la coscienza con i suoi sforzi non sarebbe in grado di attuare. Questo impulso strapotente – allorché la funzione di Dio si manifesta nel comportamento attivo – o questa ispirazione che trascende l’intelletto cosciente proviene da un’accumulazione di energia nell’inconscio. Una tale accumulazione di libido dà vita a immagini che l’inconscio collettivo possiede come possibilità latenti; fra queste si trova l’immagine di Dio, che dall’origine dei tempi si è venuta coniando quale espressione collettiva delle più forti e assolute influenze esercitate sulla coscienza da concentrazioni inconsce di libido. Per la nostra psicologia che, in quanto scienza, deve limitarsi all’esperienza entro i confini imposti alle nostre capacità conoscitive, Dio non è perciò neppure relativo, ma è una funzione dell’inconscio, cioè la manifestazione di una quantità di libido divenuta autonoma, la quale ha attivato l’immagine di Dio. Per la concezione metafisica Dio è naturalmente assoluto, cioè esistente di per sé. Con ciò si esprime anche un distacco completo dall’inconscio, il che psicologicamente significa che non si è consapevoli del fatto che l’azione divina scaturisce dalla propria interiorità. Per contro, il punto di vista della relatività di Dio significa che una parte non trascurabile dei processi inconsci è riconosciuta, in forma sia pur vaga, come contenuto psichico. Questa concezione può affermarsi naturalmente solo quando venga prestata all’anima un’attenzione maggiore di quella abituale, per cui ai contenuti dell’inconscio, sottratti alle loro proiezioni sugli oggetti, venga conferita una certa qual consapevolezza che li faccia apparire come appartenenti al soggetto e quindi anche condizionati soggettivamente. Questo fu il caso dei mistici.


Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, 1984 (ed. or. 1921), pp. 262-64 [sottolineature mie]

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