Il modo di pensare "realistico" dei primitivi

Nei primitivi [...] l’Imago, la risonanza psichica della percezione sensoriale, è così intensa e così fortemente intrisa di sensorialità che quando si affaccia riprodotta, e cioè come immagine mnemonica spontanea, può assumere talvolta perfino il carattere di un’allucinazione. Così quando a un primitivo ritorna alla mente l’immagine mnemonica della propria madre defunta egli vede e ode, per così dire, lo spirito di lei. Noi ci limitiamo a “pensare” ai morti, il primitivo, invece, li percepisce appunto per la straordinaria materialità delle immagini della sua mente. Di qui deriva la credenza negli spiriti dei primitivi. Gli spiriti sono ciò che noi chiamiamo semplicemente pensieri. Il primitivo, quando “pensa”, ha effettivamente delle visioni la cui realtà concreta è tale che egli scambia costantemente ciò che è psichico con ciò che è reale. Powell¹ dice:

La confusione delle confusioni è il costume universalmente diffuso fra i selvaggi di confondere ciò che è oggettivo con ciò che è soggettivo.

Spencer e Gillen² affermano:

Ciò che un selvaggio sperimenta durante il sogno è per lui altrettanto reale di ciò che vede quando è desto.

[su questo punto vedere l'episodio delle zucche "rubate" in sogno dal missionario Grubb, narrato da De Martino ne Il mondo magico]

Ciò che io stesso ho potuto costatare della psicologia dei negri conferma in pieno le asserzioni qui citate. La credenza negli spiriti proviene da questo fatto fondamentale del realismo psichico, e cioè l’autonomia dell’immagine di fronte all’autonomia della percezione sensoriale, e non da un qualche bisogno di spiegazione del selvaggio, bisogno che esiste soltanto nella fantasia degli Europei. Per il primitivo, il pensiero ha carattere di visione, di audizione e perciò anche di rivelazione. Per questo lo stregone, che è appunto il visionario, è anche il pensatore della tribù, quello che trasmette la rivelazione degli spiriti o degli dèi. Ed è proprio di qui che viene l’efficacia magica del pensiero che, in quanto reale, equivale all’azione come pure alla parola, in quanto rivestimento esteriore del pensiero: giacché la parola evoca immagini mnemoniche “reali”, e ha quindi efficacia “reale”. Noi ci meravigliamo delle superstizioni dei primitivi solo in quanto noi siamo riusciti a liberare ulteriormente l’immagine psichica dall’elemento sensoriale, abbiamo cioè imparato, naturalmente con le limitazioni più su accennate, a pensare “astrattamente”. [pp. 35-36]

[...]

la sensorialità istintuale del primitivo ha un riscontro nella spontaneità della vita psichica. L’elemento spirituale, i pensieri, per dir così gli appaiono. Non è lui che li fa o li pensa – cosa che non saprebbe fare – ma sono essi che si fanno da sé e lo assalgono, anzi gli si presentano perfino come allucinazioni. Questa mentalità deve definirsi intuitiva, poiché intuizione è percezione istintiva di un contenuto psichico che si manifesta. Mentre di regola la funzione psichica principale del primitivo è la sensorialità, la funzione compensatoria meno evidente è l’intuizione. A un superiore livello di civiltà, ove in alcuni è il pensiero a essere più o meno differenziato, in altri il sentimento, vi sono anche non pochi in cui è maggiormente sviluppata l’intuizione, che essi utilizzano come funzione essenzialmente determinante. Ne risulta il tipo intuitivo. [pp. 165-166]

[...]

L’immane paura che alberga nel cuore del primitivo, quella paura di tutto ciò che colpisce l’animo e che egli avverte immediatamente come incantesimo, ossia come carico di forza magica, lo protegge efficacemente dalla perdita dell’anima, che tutti i popoli primitivi in un certo senso temono, e a cui seguono la malattia e la morte. La perdita dell’anima corrisponde all’amputazione di una parte del proprio essere, alla scomparsa e all’emancipazione di un complesso che in tal modo diventa tirannico usurpatore della coscienza, opprime l’uomo nella sua totalità, lo fa deviare dalla propria strada e lo costringe ad azioni la cui cieca unilateralità ha per inevitabile conseguenza l’autodistruzione. Com’è noto, i primitivi sono soggetti a fenomeni di questo genere, come la corsa omicida (amok), il furore belluino, la possessione demoniaca e via dicendo. Il riconoscimento del carattere demoniaco della violenza è una difesa efficace, in quanto questa idea svuota immediatamente l’oggetto del fascino più intenso per trasferire l’origine nel mondo dei demoni, cioè nell’inconscio, da cui in effetti scaturisce la violenza della passione. Ad un tale ritorno della libido nell’inconscio servono anche i riti di scongiuro che hanno il compito di richiamare l’anima e sciogliere l’incantesimo. [pp. 244-245]

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¹ J.W. Powell, Sketch of the Mythology of the North American Indians, First Annual Report of the Bureau of Ethnology to the Secretary of the Smithsonian Institution (1879-80) (Washington 1881), p. 20.

² B. Spencer - J. Gillen, The Northern Tribes of Central Australia (Londra, 1904), p. 451.



Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, 1984 (ed. or. 1921) [sottolineature mie]

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