La religione come strumento per "addomesticare" la libido

[Questo è uno dei passaggi fondamentali per capire il pensiero di Jung nei riguardi della religione. Jung, al contrario di Freud, non liquida la religione come sostituto culturale collettivo della nevrosi, ma ne vede uno strumento di civiltà, atto ad incanalare l'energia della libido attraverso immagini simboliche (i cui archetipi sarebbero presenti nella psiche di tutta l'umanità dai tempi più remoti) e a permettere così di superare la pura istintualità. Ed è interessante leggere in questo passo come egli ritenesse il decadimento di questa funzione, dovuto al razionalismo moderno, la causa di fenomeni sociali come il nazismo]

Quando vediamo gli sforzi di Gesù per fare accettare a Nicodemo la concezione simbolica delle cose, il che equivale a gettare un velo sui fatti così come sono, e di quanta importanza fosse - e sia ancora oggi - per la storia della civiltà che si pensasse e si continui a pensare a questo modo, non si riesce davvero a capire perché l'interesse che la moderna psicologia ha per il simbolismo si scontri da più parti con violente ripulse. Oggi come non mai è necessario che la libido sia tolta dal dominio dell'esclusivamente razionale e dell'esclusivamente realistico. E questo non perché il buon senso e il realismo abbiano preso il sopravvento (è avvenuto esattamente il contrario), ma perché le guardiane e custodi delle verità simboliche, cioè le religioni, messe di fronte alla scienza, hanno perso di efficacia. Anche le persone intelligenti non comprendono più a cosa possa servire la verità simbolica, e i rappresentanti della religione hanno trascurato di sviluppare un'apologetica conforme allo spirito dei tempi. Insistere sul puro concretismo del dogma, o un'etica fine a se stessa o persino un'umanizzazione della figura del Cristo sulla quale si fanno persino dei tentativi biografici insufficienti, non hanno interesse alcuno. Oggi la verità simbolica è abbandonata senza protezione all'intromissione del pensiero scientifico inadatto a trattare un soggetto come questo, e si dimostra incapace allo stato attuale di gareggiare con esso. Comunque la prova della verità resta ancora da fare. Fare appello esclusivamente alla fede è una petizione di principio senza speranza, giacché è proprio la manifesta inverosimiglianza della verità simbolica che impedisce di credere in essa. Invece di insistere sulla comoda esigenza di fede, i teologi dovrebbero, a mio avviso, sforzarsi di vedere come rendere possibile questa fede. Per far questo bisognerebbe collocare la verità simbolica su una nuova base e precisamente una base che sappia parlare non solo al sentimento, ma anche all'intelletto. Ora ciò può accadere solo se, ripercorrendo il passato, si pone mente ai motivi per i quali l'umanità sentì il bisogno dell'inverosimiglianza delle enunciazioni religiose, e a quale significato potesse avere il sovrapporre una realtà spirituale di natura totalmente diversa alla realtà di questo mondo, così com'è, percettibile e tangibile a mezzo dei sensi.

Gli istinti operano senza il menomo intralcio quando non vi sia una coscienza che entri in collisione con essi o quando una coscienza già esistente vi si sia saldamente attaccata. Quest'ultima condizione, è vero, non esiste più neanche nell'uomo primitivo, giacché troviamo dappertutto all'opera sistemi psichici che in certa misura contrastano la pura istintualità. E anche nel caso di una tribù primitiva che presenti tracce minime di cultura, troviamo la fantasia creativa impegnata a produrre analogie di processi istintuali tali da liberare la libido dalla pura istintualità, trasferendola verso rappresentazioni analoghe. Bisogna che questi sistemi siano costituiti in modo da poter offrire, per così dire, alla libido una nuova china. La libido infatti non accetta una cosa qualunque, altrimenti sarebbe possibile indirizzarla come si vuole in qualsiasi direzione. Ciò si verifica solo nei processi volitivi e anche in questo caso, in misura ridotta. La libido ha, per così dire, un'inclinazione naturale; è come l'acqua che per scorrere ha bisogno di una pendenza. La natura di queste analogie costituisce perciò un grave problema, giacché, come abbiamo detto, occorrerà che siano rappresentazioni capaci di attirare la libido. Penso che il loro carattere particolare sia da ravvisare nel fatto che esse sono archetipi, cioè forme presenti universalmente ed ereditate, che nella loro totalità costituiscono la struttura dell'inconscio. Quando Cristo parla a Nicodemo di spirito e di acqua, non si tratta di rappresentazioni accidentali, ma di rappresentazioni tipiche che hanno sempre esercitato un fascino potente sulla mente umana. Cristo tocca l'archetipo ed è questo - semmai - a convincere Nicodemo, giacché gli archetipi sono le forme e gli alvei nei quali, da tempo immemorabile, fluisce il fiume della vita psichica.

È impossibile trattare il problema della formazione del simbolo senza tener conto dei processi istintuali, poiché da questi ultimi proviene la forza che mette il simbolo in movimento. Il simbolo stesso viene a perdere di significato quando non ha contro di sé la resistenza dell'istinto, come del pari gli istinti disordinati condurrebbero l'uomo solo alla rovina, se il simbolo non desse loro una forma. Questa è la ragione per la quale è inevitabile che noi ci confrontiamo con uno degli istinti più forti, cioè la sessualità, e ci accordiamo con esso, in quanto è probabile che la maggior parte dei simboli rappresentino più o meno analogie di quest'istinto. Il trattare della formazione dei simboli partendo dai processi istintuali corrisponde al modo di giudicare proprio delle scienze naturali, che non pretende di essere il solo possibile. Concedo senz'altro che la genesi del simbolo potrebbe essere spiegata anche sotto il profilo spirituale. A tal uopo occorre formulare l'ipotesi che lo "spirito" sia una realtà autonoma che dispone di un'energia specifica forte abbastanza per spiegare gli istinti e costringerli in forme spirituali. Dal punto di vista delle scienze naturali quest'ipotesi non è scevra di inconvenienti, ma in fondo sappiamo ancora così poco riguardo la natura della psiche che non si riesce ad immaginare alcuna ragione decisiva contro questa supposizione. In conformità al mio atteggiamento empirico e restando pienamente cosciente della probabile unilateralità del mio punto di vista, preferisco tuttavia descrivere e spiegare la formazione dei simboli come un processo naturale.

Come già detto, la sessualità ha una parte di rilievo nella formazione dei simboli, anche di quelli religiosi. Non sono trascorsi duemila anni da quando il culto della sessualità era più o meno apertamente in piena fioritura. Vero è che si trattava di pagani che non conoscevano nulla di meglio. Ma la natura delle forze creatrici di simboli non muta di secolo in secolo. Una volta fattasi un'idea del carattere sessuale degli antichi culti, e resisi conto che l'esperienza dell'unione con Dio era concepita nell'antichità più o meno come un coito concreto, non è più possibile pretendere che le forze motrici della fantasia creatrice di simboli siano divenute d'un tratto completamente diverse dopo la nascita di Cristo. Il fatto che il Cristianesimo primitivo si sia tenuto discosto con la massima energia dalla natura e dagli istinti in generale e, mercé la sua tendenza all'ascetismo, dalla sessualità in particolare, indica chiaramente l'origine delle sue forze motivanti. Non può quindi destare affatto meraviglia se questa trasformazione ha lasciato tracce considerevoli nel simbolismo cristiano. Se così non fosse, questa religione non sarebbe stata in grado di trasformare la libido. E c'è invece riuscita molto bene, perché le sue analogie archetipiche erano eminentemente in armonia con le forze istintuali ch'essa si proponeva di trasformare. Mi è stato rimproverato di non essere rifuggito dal mettere in rapporto le più sublimi immagini spirituali con il cosiddetto elemento umano inferiore. Ciò che a me soprattutto stava a cuore era di comprendere le rappresentazioni religiose, il cui valore io sentivo troppo a fondo per liquidarle con argomentazioni razionalistiche. Alla fine, che fare delle cose che non si possono comprendere? In tal modo si finisce con il rivolgersi a gente assolutamente disadatta a pensare e a capire. Si fa appello alla fede cieca e la si porta alle stelle. Ciò che così si raggiunge è l'educazione alla mancanza di idee e di senso critico. La storia contemporanea costituisce una testimonianza abbastanza sanguinosa di ciò che la fede cieca, predicata per secoli, ha potuto fare in Germania, dopo che essa ebbe volto ineluttabilmente le spalle al dogma cristiano. Il pericolo non è costituito dai grandi eretici e dagli increduli, ma dallo sciame dei piccoli pensatori, dei raziocinanti cui accade un bel giorno di scoprire d'un tratto quanto siano irrazionali le enunciazioni religiose. È facile procedere alla liquidazione di ciò che non si capisce ed è così che vanno irreparabilmente perduti gli alti valori della verità simbolica. Che cosa può fare un capzioso sofista del dogma della nascita verginale, della morte espiatoria, della trinità?

Ai nostri giorni il medico psicoterapeuta deve chiarire ai suoi pazienti più colti i fondamenti dell'esperienza religiosa e indicar loro la strada che li conduca là dove una siffatta esperienza è possibile. Se io dunque da medico e da empirista analizzo complicati simboli religiosi e tento di rintracciarne le origini, l'unico mio intento è di conservare, intendendoli, i valori che essi rappresentano, e di ridare alla gente la possibilità di pensare per simboli, come ancora potevano fare i pensatori dell'antica Chiesa. Ciò allora era ben lontano dall'essere un'arida dogmatica, ma pensando ancor oggi a questo modo, si cade nel desueto e non si raggiunge più l'uomo moderno. Perciò bisogna trovare per quest'ultimo una via che gli consenta di partecipare ancora spiritualmente al contenuto del messaggio cristiano.

In un'epoca nella quale gran parte dell'umanità comincia a metter da parte il Cristianesimo, vale certamente la pena di esaminare le ragioni per le quali un tempo si aderì ad esso. Ciò avvenne per sfuggire alla rozza brutalità e all'incoscienza del mondo antico. Se noi lo mettiamo da parte, ricompare la brutalità primigenia della quale la storia contemporanea ci ha fornito esempi di evidenza insuperabile. Il passo in questa direzione non è un progresso, ma un regresso. Avviene come per il singolo che smetta un modo di adattamento senza averne uno nuovo a disposizione: egli regredirà infallibilmente verso la vecchia strada e a suo grave detrimento, giacché nel frattempo il mondo circostante si sarà sostanzialmente mutato. Chiunque quindi, respinto dall'infondatezza filosofica della dogmatica cristiana e dalla vacuità religiosa dell'idea di un Gesù meramente storico - della cui personalità contraddittoria sappiamo troppo poco, e per giunta quel poco che sappiamo serve solo a confondere i nostri criteri di valutazione, - chiunque rigetti il Cristianesimo e con esso le fondamenta della morale va a urtare fatalmente nell'antico problema della brutalità. Noi abbiamo già fatto l'esperienza di ciò che accade quando tutto un popolo trova troppo stupida la maschera della morale. Allora la bestia si sguinzaglia e tutta una civiltà perisce nell'ebbrezza della depravazione.

Vi sono oggigiorno innumerevoli nevrotici che sono tali semplicemente perché ignorano la ragione per la quale non possono essere felici a modo loro; non sanno nemmeno che è questo che fa loro difetto. Ed oltre a questi nevrotici vi è un numero maggiore di persone normali - e invero gente della miglior qualità - che si sentono angustiate e scontente, perché non hanno più un simbolo che offra da sbocco alla libido. Per tutti costoro occorre intraprendere una riduzione ai fatti primari, affinché imparino a conoscere di nuovo la loro personalità primitiva e a tenerla nel conto dovuto. Solo a questo modo determinate esigenze potranno essere soddisfatte e altre rigettate come irragionevoli a causa del loro carattere infantile. A noi piace immaginare che la nostra primitività sia scomparsa da gran tempo senza lasciar tracce. A questo riguardo il disinganno è stato crudele. Il male ha sommerso la nostra civiltà, come mai in passato. Questo orribile spettacolo ci consente di capire di fronte a cosa trovò il Cristianesimo e ciò che si sforzò di trasformare. Questo processo di trasformazione si è compiuto per lo più inconsciamente e nel corso di una evoluzione secolare. Quando io osservavo precedentemente (pt. 1, cap. 4 in fine) che una trasformazione inconscia della libido era priva di valore etico e le contrapponevo il Cristianesimo del primo periodo romano da cui risulta chiaro contro quali forze di immoralità e di imbarbarimento esso fosse insorto, avrei dovuto aggiungere che la sola fede non è più un ideale etico, giacché essa significa una trasformazione inconscia della libido. La fede è un carisma [dono della grazia] per colui che la possiede, ma non è una via d'uscita per chi ha bisogno di capire qualche cosa prima di credere. È una questione di temperamento di cui non si può negare la validità. Giacché infine anche il credente è convinto che Dio ha dato l'intelletto all'uomo e certo per qualcosa di meglio che per mentire e ingannare. Benché in origine e naturalmente si  creda ai simboli, è possibile anche comprenderli, e questa è l'unica via per tutti coloro cui non è stato concesso il carisma della fede.

Il mito religioso è una delle maggiori e più considerevoli acquisizioni dell'uomo. Esso gli dà la sicurezza e la forza di non essere schiacciato dalla mostruosità dell'universo. Il simbolo, considerato dal punto di vista del realismo, non è una verità esterna, ma è psicologicamente vero, giacché era ed è il ponte che conduce a tutte le più grandi conquiste dell'umanità.

La verità psicologica non esclude affatto una verità metafisica, ma la psicologia, in quanto scienza, deve astenersi da ogni asserzione di ordine metafisico. Il suo oggetto è la psiche e i suoi contenuti. Entrambi sono realtà in quanto operano. Quantunque non possediamo una fisica dell'anima, né siamo in grado di osservarla e di giudicarla basandoci su un punto archimedico a noi esteriore, e non sappiamo perciò nulla di obiettivo sul suo conto, dato che tutto quello che sappiamo dell'anima è l'anima stessa, pure essa è l'unica nostra esperienza immediata di vita e d'esistenza. Essa è di per se stessa l'unica esperienza diretta e la conditio sine qua non della realtà soggettiva del mondo. I simboli che essa crea hanno per base l'archetipo inconscio, ma la loro forma manifesta risulta dalle idee acquisite dalla coscienza. Gli archetipi sono elementi strutturali numinosi della psiche; possiedono una certa autonomia e una certa energia specifica in virtù della quale hanno il potere di attirare i contenuti della coscienza che loro meglio convengono. I simboli funzionano da trasformatori, in quanto trasferiscono la libido da una forma "inferiore" a una superiore. Questa funzione è così importante che il sentimento le attribuisce i valori più alti. Il simbolo opera con la suggestione, cioè infonde la propria convinzione e nello stesso tempo esprime il contenuto di questa convinzione. Esso convince in virtù del numen, cioè dell'energia specifica propria dell'archetipo. L'esperienza dell'archetipo non è solo impressionante, ma tocca e prende possesso di tutta la personalità ed è naturale che generi la fede.

La fede "legittima" risale sempre all'esperienza vissuta. Accanto a questa esiste una fede che riposa esclusivamente sull'autorità della tradizione. Si può chiamare anche questa fede "legittima", in quanto anche la forza della tradizione rappresenta un'esperienza la cui importanza per la continuità della cultura è fuori discussione. Certo in questa forma di fede è insito il pericolo di divenire una mera abitudine, un'inerzia spirituale, una comoda osservanza priva di pensiero che minaccia di determinare un arresto e quindi un regresso della cultura. Questa dipendenza divenuta meccanica procede di pari passo con una regressione psichica verso l'infantilismo, in quanto i contenuti tradizionali perdono a poco a poco il loro vero significato e vien loro tributata solo una fede normale, senza che questa fede possegga un'influenza qualsiasi sulla vita. Dietro di essa non vi è più potenza vitale. La tanto vantata ingenuità della fede ha senso solo nel caso che il sentimento dell'esperienza sia ancora vivo, ma se esso va perduto sussiste il pericolo che la fede divenga sinonimo di dipendenza infantile, dettata dall'abitudine e che sostituisce, anzi ostacola, lo sforzo di una nuova comprensione. A mio avviso questa è la situazione esistente al giorno d'oggi.

Dato che riguardo alla fede si tratta di "idee dominanti" centrali e d'importanza vitale, le quali sole conferiscono un senso alla vita, allo psicoterapeuta incombe il compito primissimo fra tutti di ripensare e di intenderne in modo nuovo i simboli, onde entrare nell'aspirazione inconscia e compensatoria dei suoi pazienti di pervenire a un atteggiamento che esprima la totalità dell'anima umana.

[...] dovremmo considerare i sistemi religiosi come istituzioni che captano le forze istintuali di natura animale non suscettibili d'impiego ai fini di civiltà, le organizzano e le rendono gradualmente capaci di un'utilizzazione più elevata.


Carl Gustav JungOpere, Vol. 5. Simboli della trasformazione, Boringhieri, 1970, pp. 226-232 e 269 [sottolineature mie].

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