Le basi psicologiche della prova ontologica dell'esistenza di Dio

Il pensiero di Anselmo è che il concetto, presente nell’intelletto, di un Essere supremo, include anche la qualità dell’esistenza (non potest esse in intellectu solo). Ed egli conclude:

Sic ergo vero est aliquid, quo majus cogitari non potest, ut nec cogitari possit non esse: et hoc es tu, Domine, Deus noster.
C’è dunque in realtà qualcosa di cui non si può pensare nulla di maggiore, né si può pensare che non sia: e questo sei tu, Signore, nostro Dio.

La fragilità logica dell’argomento ontologico è così evidente che è necessaria un’interpretazione psicologica per comprendere come mai una mente come quella di Anselmo abbia potuto produrre un’argomentazione siffatta. Il fondamento immediato di questo argomento va ricercato nella generale disposizione psicologica del realismo, e cioè nel fatto che per una determinata categoria di uomini, così come, corrispondentemente alle correnti dell’epoca, per determinati gruppi di uomini, l’idea assume il massimo rilievo tanto da rappresentare per essi un maggior valore di realtà e una maggiore importanza vitale che non la realtà delle singole cose. Perciò a loro sembra assolutamente impossibile che ciò che per essi è il massimo e più significativo valore, non debba anche esistere realmente. Essi stessi hanno in mano la miglior prova della sua efficacia, giacché la loro vita, il loro pensiero e il loro sentimento sono chiaramente orientati secondo questo punto di vista. Il fatto che l’idea sia invisibile non ha importanza di fronte alla sua straordinaria efficacia, che è appunto una realtà. Essi hanno un concetto ideale e non sensistico della realtà. 

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L’argomento ontologico non è un argomento e non è una prova, ma la costatazione psicologica del fatto che vi è una categoria di persone per le quali una determinata idea costituisce l’efficiente e il reale, una realtà che per così dire raggiunge quella del mondo della sensazione. Il sensista si fa forte della certezza della sua “realtà”, mentre l’idealista insiste sulla sua realtà psicologica. La psicologia deve rassegnarsi all’esistenza di questi due (o più) tipi, ed evitare assolutamente di concepire l’un tipo come un fraintendimento dell’altro e di voler sul serio ridurre un tipo all’altro come se ogni diversità di natura fosse da valutarsi solo in funzione della natura di uno dei tipi.

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A favore della prova ontologica non vi è alcun argomento logico che possa soddisfare l’intelletto moderno. L’argomento ontologico non ha infatti nulla a che vedere di per sé stesso con la logica; nella forma nella quale Anselmo l’ha trasmesso storicamente è un fatto psicologico intellettualizzato o razionalizzato a posteriori, il che naturalmente non poteva accadere senza una petizione di principio o altri sofismi del genere. Ma l’incrollabile validità dell’argomento si rivela per il solo fatto che esso esiste e che il consensus gentium prova che esso esiste dappertutto. È col fatto che noi dobbiamo fare i conti e non coi sofismi mediante i quali viene motivato, giacché l’errore dell’argomento ontologico consiste unicamente nel voler essere un’argomentazione logica, mentre esso è molto di più che una mera dimostrazione logica: si tratta cioè di un fatto psicologico la cui presenza ed efficienza è di un’evidenza così schiacciante da non aver bisogno di nessuna argomentazione. Il consensus gentium prova che Anselmo con la costatazione che Dio è, perché viene pensato, ha ragione. Questa è una verità manifesta, anzi null’altro che una proposizione identica. Di fronte ad essa una motivazione “logica” è del tutto superflua, e anzi erronea in quanto Anselmo voleva provare che la sua idea di Dio era una realtà concreta. Egli dice:

Existit ergo procul dubio aliquid, quo majus cogitari non valet, et in intellectu, et in re.
Dunque senza alcun dubbio qualche cosa di cui non si può pensare nulla di maggiore esiste, tanto nell’intelletto quanto nella “realtà”.

Il concetto res era però per la scolastica qualche cosa che stava sullo stesso piano del pensiero.

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È stata necessaria una lunga evoluzione perché gli uomini si rendessero pienamente conto che la parola, il flatus vocis non necessariamente significa o produce una realtà. Ma il fatto che certi uomini si siano resi conto di ciò non ha certo contribuito a sradicare nelle menti dei più la potenza superstiziosa che è insita nel concetto formulato. Evidentemente anche in questa superstizione “istintiva” vi è qualcosa che non vuole essere sradicato, perché accampa in qualche modo un diritto all’esistenza, che fino ad oggi a dire il vero non è stato riconosciuto a sufficienza.


Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, 1984 (ed. or. 1921), pp. 46-50 [ho omesso alcune note a riferimenti bibliografici]

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