Libero arbitrio e soggettività: il Re Rosso di Alice

Secondo un'immagine ottocentesca divenuta celebre Alice vede il Re Rosso che, sdraiato sotto un albero, la sta sognando: e viene subito avvertita del fatto che se il Re si svegliasse, lei svanirebbe all'istante. In questa ipotesi il soggetto viene negato nella sua autonomia: Alice non è soggetto rispetto alla realtà, perché è lei stesso oggetto della precaria soggettività onirica del Re Rosso. Il Re ha creato lei e lo scenario intorno; ha inventato una recita e la fa muovere come una marionetta. Dunque Alice non esiste? Esiste invece, eccome, e proprio in senso cartesiano. Certo, il suo io primario è espropriato dal sogno del Re, e quindi vanificato. Però nulla impedisce che il suo esistere abbia anche un'autonomia: Alice è ontologicamente reale proprio come prodotto del sogno del Re. Alice può ben dire:«io esisto». Del resto, il Re stesso può fare parte di un sogno di Lewis Carroll o, come nel libro, del sogno di un'altra Alice; così come Carroll, e noi tutti, possiamo far parte di un sogno di Dio.

Infatti Alice non trova limiti al proprio agire. Il buon Tweedledum che l'accompagna, e che evidentemente è ben consapevole  della invalicabilità degli steccati intercategoriali, le fa notare che, essendo lei una componente dell'universo immaginario del Re, non potrebbe affatto spostarsi in quell'universo fisico (o almeno di un gradino più reale) in cui il Re in carne ed ossa dorme e la sta sognando. Ovvero, dice Tweedledum ad Alice, lei può strillare fin che le pare, non per questo il Re si sveglierà e cesserà di sognarla. Nel suo proprio mondo, l'esistenza di Alice è dunque garantita: Alice non vi può introdurre, neppure volendo, elementi atti a invalidarla. Del resto, mancando di soggettività autonoma, quindi di libertà, ella non può introdurre nulla che non sia già predisposto dal Re nel flusso della sua regale creatività.

Si può aggiungere che se non vi fosse Tweedledum a dirglielo, Alice non saprebbe che la propria soggettività è un'illusione. Alice è comunque incline a dimenticarsene subito, continuando ad agire come se non seguisse in ogni dettaglio una regia non sua, e fosse libera di porsi come soggetto: essa sa di esistere cartesianamente, e ciò le basta. Tale è forse il destino di noi tutti.


Giovanni Jervis, Presenza e identità. Lezioni di psicologia, Garzanti, 1992 (ed. or. 1984), pp. 33-34.

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