Il "periodo rosa" dell'assunzione di droga

All'inizio contingente fa seguito un periodo di benessere e di ricerca iterata del piacere. Una ricerca premiata generosamente, positivamente. La scoperta dell'euforia, del rilassamento, di una pienezza vitale inesauribile porta in tutta naturalezza a trasformare l'incontro casuale in appuntamento. E ciò che si ritrova, puntualmente, immediatamente, risponde interamente all'attesa. Le membra molto pesanti ed estremamente leggere, una fatica soave, lo svaporare di tutte le cure: "Mi sembrava di non essere mai stata così felice", ricorda Christiane, parlando di quelle prime settimane in cui il benessere si dà senza deludere.¹³ Quell'"onda di rilassamento" che si diffonde in tutto il corpo, quell'impressione ovattata di essere immersi nell'acqua calda salata è una sensazione su cui Borroughs ritorna più volte, abbandonandosi a essa con piena fiducia.¹⁴

La felicità è quindi possibile, il piacere positivo. Meraviglia della rivelazione di una simile possibilità, di cui si ignorava che fosse tanto a portata di mano e tanto maneggevole. Entusiasmo della percezione che la morfina, l'eroina, l'oppio non sono soltanto rimedi specifici, capaci di agire su una sofferenza particolare, ma anestetici tanto generosi da liberare dal malessere e da creare, oltre alla soppressione del dolore, uno stato generale di noncuranza felice. Questo effetto, che viene percepito come un supplemento di pienezza, come un regalo inatteso, insperato e inestimabile, affascina ad un tempo per la sua intensità e per la facilità con cui lo si può provocare. Ogni drogato è in principio uno sperimentatore della chimica del benessere.

"Une heure après qu'il eut absorbé la teinture d'opium, dans la quantité prescrite par le pharmacien, toute douleur avait disparu. Mais le bénéfice, qui lui avait paru si grand tout à l'heure, n'était plus rien auprès des plaisirs nouveaux qui lui furent ainsi soudainement révélés. Quel enlèvement de l'esprit! Quels mondes intérieurs! Était-ce la panacée, le pharmakon nephentes pour toutes les douleurs humaines?" Nella parafrasi che ne dà Baudelaire,¹⁵ il racconto di Thomas de Quincey dice la gioia, la sorpresa, l'esaltazione del filosofo che si imbatte per caso in ciò che tutti noi, da sempre, andiamo cercando: la fonte della felicità. E la pozione data da Elena si affaccia in tutta naturalezza alla mente dello scopritore. Il suo ritrovamento realizza un sogno tanto antico quanto familiare, tanto elementare quanto colto. Il sogno filosofico per eccellenza. "Le grand secret du bonheur sur lequel les philosophes avaient disputé pendant des siècles était donc décidément découvert! On pouvait acheter le bonheur pour un penny et l'emporter dans une poche de son gilet; l'extase se lasserait enfermer dans une bouteille, et la paix de l'esprit pourrait s'expédier par la diligence!"¹⁶

Per Thomas de Quincey, che è in effetti un filosofo e che conosce bene soprattutto la filosofia greca, l'oppio si dà come quella cosa materiale, concreta, incredibilmente poco ingombrante e che risponde infine alla domanda umana più intensamente sentita, la più difficile da appagare: la ricerca di quell'inafferrabile eudaimonia di cui il pensiero antico non ha cessato di esaminare la possibilità. Ed è appunto a qualcuno che ha profonda dimestichezza con l'esperienza personale del dolore e con la teorizzazione della sua fatalità che la boccetta di laudano capita tanto a proposito. Così a buon mercato, così comoda da tenere in mano, così leggera da trasportare: ecco una felicità tascabile, ecco le "estasi portatili"! E questa facilità, che pone termine al sentimento che la felicità sia qualcosa di irraggiungibile o di effimero, è direttamente proporzionale alla ricchezza delle sensazioni, a una maggiore gaiezza, a un accrescimento delle facoltà. "Le mangeur d'opium sent pleinement que la partie épurée de son être et ses actions morales jouissent de leur maximum de souplesse, et, avant tout, que son intelligence acquiert une lucidité consolante et sans nuages."¹⁷ L'oppio esalta la salute e le energie intellettuali. Non è uno stupefacente perché rende stupidi, addormentati, inebetiti. È stupefacente perché lascia stupefatti, stupiti.

Ma v'è di più: quella tintura di un rosso profondo, vicino al colore del rubino come il nettare omerico, appare come un dono degli dèi, degno di un dio, divinizzante. Se ne parla come dell'ambrosia,¹⁸ quel cibo che -  de Quincey non poteva non saperlo - fa conoscere alle divinità dell'Olimpo la non-mancanza, la liberazione da tutte le imperfezioni e un'inesauribile vitalità. Le delizie dell'oppio sono divine,¹⁹ Si danno in ore e ore di beatitudine incontaminata, di piacere "cronico".²⁰

C'è dunque un periodo più o meno lungo durante il quale le droghe "dure" fanno conoscere la dolcezza di vivere. Poche settimane per Christiane, qualche mese per William Borroughs, otto anni pieni per Thomas de Quincey. Un periodo limitato, quindi, ma abbastanza lungo da dar l'impressione che un'esistenza del genere, così piena, così traboccante, così ricca, sia empiricamente vivibile. Basta controllare le dosi - e quale principiante non è pronto a giurare, in perfetta buona fede, sulla sua capacità di dominarsi - per orchestrare il ritorno regolare del piacere positivo. Tutto questo benessere che si offre come un valore aggiunto alla vita di tutti i giorni, lo si può far andare e venire a piacere. Lo si tiene saldamente in pugno. Mentre l'inizio è stato involontario, il persistere nell'abitudine nascente viene rivendicato come una scelta controllata.

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¹³ Christiane F., Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, Rizzoli, Milano, 1997, p. 92.
¹⁴ W. Borroughs, La scimmia sulla schiena (Junkie), Rizzoli, Milano, 1989, p. 43.
¹⁵ C. Baudelaire, Un mangeur d'opium, in Oeuvres complètes, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Paris, 1975, vol. I, p. 465 [...]
¹⁶ Ibid. [...]
¹⁷ Ibid. [...]
¹⁸ Th. de Quincey, Le confessioni di un mangiatore d'oppio, Rizzoli, Milano, 1995, p. 233.
¹⁹ Ibid. p. 235.
²⁰ Ibid. p. 237.



Giulia Sissa, Il piacere e il male. Sesso, droga e filosofia, Feltrinelli, 1999 (ed. or. fr. 1997), pp. 17-19.

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