La funzione destorificante, relativizzante della religione

Pochi possono evitare tutto quello che hanno appreso a temere, od ottenere tutto quel che hanno imparato a desiderare. La religione è lo sforzo di far apparire meno paurose le cose temute, di togliere importanza agli insuccessi o presentarli come parte di un vasto successo finale, “poiché tutto coopera al bene, per chi ama Dio”. Inoltre la religione offre mete che tutti possono condividere, “mete che trascendono il mondo delle reali esperienze, e quindi nessuna prova di insuccesso nel conseguirle può essere conclusiva. Se l’individuo crede di averle raggiunte, basta. Ha bisogno soltanto di fede sufficiente, e la fede si nutre di bisogni soggettivi”.¹
In questo modo le persone religiose, profondamente coscienti della finitezza dell’uomo, delle tragedie e frustrazioni della vita, possono dichiarare con Isaia (24, 18-24):

Saranno scosse le fondamenta della terra, la terra andrà in isfacelo, la terra andrà in frantumi, la terra andrà in isconquassi, la terra andrà di qua e di là come un ubriaco e come una tenda smossa ogni notte di luogo. Le sue iniquità su di essa peseranno e cadrà senza potersi più rialzare.
Solleva gli occhi al cielo e guarda la terra, sotto: perché i cieli svaniranno come fumo, e la terra diventerà come una veste consunta, il mondo stesso si disgregherà, ma la mia rettitudine sarà per sempre e la mia salvezza non conosce fine.

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¹ Kingsley Davis, Human Society, p. 532.



J. Milton Yinger, Sociologia della religione, Boringhieri, 1961 (ed. or. 1957), pp. 98-99.

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