La religione come strumento culturale

La religione […] si può definire un sistema di credenze e pratiche con cui un gruppo di persone lotta con i supremi problemi della vita umana; è il rifiuto di arrendersi alla morte, di ritirarsi davanti alle frustrazioni, di permettere che l’ostilità rompa le associazioni umane.

Tutti gli uomini sperimentano, in una certa misura, queste dolorose difficoltà. Ma per certe persone rappresentano le esperienze più significative della vita, e queste persone sono spinte a ricercare un qualche significato nelle sofferenze inspiegabili, qualche via di salvezza fra gli ostacoli della vita umana. Le credenze ed i riti che formano una religione sono l’espressione di coloro che più intensamente hanno sentito il problema, dei più acutamente sensibili alla tragedia della morte, al peso della frustrazione, all'amarezza dell'insuccesso, agli effetti angosciosi dell’ostilità. Traendo vigore dalla forza dei loro sentimenti, quegli innovatori religiosi hanno trovato “soluzioni” corrispondenti all'enormità dei problemi; soluzioni che spesso hanno travolto i limiti dei sensi umani e della natura, ma hanno portato qualche sollievo ai loro adepti. Così si fondano le religioni, per aiutare a sopportare il pesante fardello dei bisogni emotivi umani.

Così definita, la religione è – e probabilmente resterà – parte inevitabile della vita umana. Benché i modi di lottare con questi problemi ultimi differiscano enormemente e sembrino destinati a cambiare continuamente, i problemi stessi sono universali. Una società che non desse ai suoi membri credenze e pratiche intese a trattare tali problemi, dovrebbe procedere faticosamente sotto un enorme fardello di tragedie senza scampo e di ostilità senza freni (se pure potrebbe sopravvivere). Vale a dire, un qualche sforzo per risolvere tali questioni è indispensabile alla vita umana, quale la conosciamo: non vogliamo affermare che un dato sistema religioso le risolve adeguatamente.

La religione naturalmente non è l’unica che tenti di affrontare gli ultimi problemi della vita umana. Gli sforzi della ragione sono importanti in tutte le società, e vi sono inoltre molte risposte emotive individuali all'insicurezza e ai problemi del male, oltre alla religione. Anche nelle società più sane, ricche e razionali, le risposte laiche non possono eliminare i problemi della sofferenza, del male e dell’ostilità. Dappertutto gli uomini, vedendo la lacuna fra le loro speranze e la realtà della vita, cercano di superarla con un salto della fede che dice: non è necessario che questo sia vero, questo non sarà vero. In qualche luogo, tempo e modo, la sofferenza e il male saranno sconfitti (le enormi variazioni nelle concezioni di tempo, luogo e modo misurano l’estensione delle espressioni religiose).

[…] In questo modo la religione si può pensare come un modo ultimo di risposta e adattamento; è un tentativo di spiegare quel che altrimenti non è spiegabile, di raggiungere la potenza quando tutte le altre forze sono venute meno, di istaurare l’equilibrio e la serenità di fronte al male e alla sofferenza che altri sforzi non hanno eliminato. Quando altri aiuti mancano, quando la consolazione sfugge, l’uomo può darsi alla disperazione, o può cercar sollievo nello slancio della fede. La maggioranza ha scelto quest’ultima soluzione, preferendo come dice Reinhold Niebhur “una cittadella di speranza, costruita sull'orlo della disperazione”, all'accettazione della suprema sconfitta.

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William James nota con acume che le risposte alla vita “che non arrivano alla religione” ci possono far accettare sofferenze e frustrazioni, considerate però imposte dalla necessità, accettate – nella migliore ipotesi – senza lamentele. Invece nella vita religiosa la rassegnazione e il sacrificio sono accettati positivamente; al tentativo di superare i nostri problemi possono perfino aggiungersi rinunce volontarie, per accrescere la nostra felicità. “Così la religione rende facile e lieto quel che in ogni caso è necessario...” ¹ Permettendoci di modificare leggermente l’affermazione di James e di aggiungere “la religione è un tentativo di...” avremo un'altra definizione di un certo valore: la religione è uno sforzo organizzato di far virtù della suprema necessità.

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Abbiamo considerato il problema della definizione da vari punti, e possiamo forse riassumere la nostra posizione così: l’individuo umano che ha la fortuna (qualche volta la disgrazia) di sapersi esprimere in parole, capace quindi di prevedere l’avvenire, compresa la previsione della propria morte, capace di formulare idee, di creare criteri, è continuamente sotto la minaccia dell’insuccesso, della frustrazione, della giustizia negata. Questi problemi tendono a giganteggiare come mali schiaccianti, “assoluti”. La religione è il tentativo dell’uomo di “relativizzarli”, interpretandoli come parte di un più vasto bene, di una concezione dell’assoluto che dà una nuova prospettiva ai problemi dell’individuo, eliminando o riducendo il peso schiacciante. Contemporaneamente le relazioni sociali dell’uomo, le sue società, subiscono la stessa minaccia; la paura e la delusione possono portare a ostilità dispersiva, quando non si riesce a reinterpretarle come parte di un’esperienza condivisa. Inoltre ogni individuo tende a pensare soltanto a sé, considera le sue gioie, i suoi desideri, “beni assoluti” che minacciano lo schema degli adattamenti scambievoli, necessario alla vita sociale. La religione è il tentativo di “relativizzare” tanto i desideri quanto i timori dell’individuo, subordinandoli ad una concezione del bene assoluto in maggiore armonia con i bisogni, condivisi e spesso contraddittori, dei gruppi umani.

Da questa doppia radice della religione – i bisogni fondamentali degli individui e dei gruppi – si svolgono comunemente, se non universalmente, certi tipi di credenze e azioni. Anzitutto l’insuccesso e la frustrazione vengono reinterpretati simbolicamente: l’insuccesso è soltanto apparente, la morte non è quel che sembra. In secondo luogo la religione introduce l’individuo in una società che potenzia le esperienze comuni in due maniere: il peso dei timori e delle frustrazioni viene diviso con molti altri, secondo una specie di “polizza d’assicurazione psichica”, e la religione insiste sui valori condivisi e universalmente disponibili – lo schema della salvezza – anziché sui valori rari, affinché gli inevitabili insuccessi rispetto a questi ultimi perdano importanza. Questo porta ad un terzo elemento della religione: almeno alcuni dei valori che sostiene sono sopraempirici. Ciò non significa necessariamente che siano soprannaturali, ma sono inaccessibili alla costante confutazione da parte dei fatti di esperienza immediata.² È ipotesi probabile che più le concrete esperienze di una società sono gravose (ad esempio, incertezza dei mezzi di alimentazione, forti probabilità di morte) più è probabile che la sua religione insisterà sui mezzi soprannaturali, e (o) sui fini soprannaturali. I membri di una società in condizioni più favorevoli, o gruppi di tale società, possono compiere il loro salto di fede proiettando le correnti che vedono intorno a sé nel mondo naturale. In ciascun caso gli uomini credono “più di quello che i fatti consentirebbero”, nello sforzo di sostenere la vita e la speranza e di dare all'esistenza un significato maggiore.

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¹ William James, The Varieties of Religious Experience, p. 51.
² Si veda Kingsley Davies, Human Society, pp. 518-531.


J. Milton Yinger, Sociologia della religione, Boringhieri, 1961 (ed. or. 1957), pp. 10-19.

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