Perché la magia "funziona"

Per l’osservatore scientifico il modo di pensare magico non è né valido né efficace; basata com’è su grossolane analogie e false deduzioni, sicuramente la magia non funziona. Perché allora non viene rapidamente abbandonata, dati i suoi insuccessi? La risposta è doppia: per chi ci crede, sembra funzionare, e fino a un certo punto, indirettamente, funziona. La questione è interessante per gli studiosi di religione, non soltanto perché elementi magici si trovano di frequente nei sistemi religiosi, ma anche perché questo ragionamento è in parte applicabile alla religione. Per chi ci crede, la magia spesso sembra funzionare. È noto che quanto viene percepito, le osservazioni considerate probanti, le premesse su cui si basano i processi logici ed altri atti conoscitivi, non sono indipendenti dalle tendenze personali e dalla formazione culturale. Una persona educata a credere nella magia la vede riuscire, ed un caso di correlazione positiva fra i fini di un procedimento magico e i suoi risultati, può controbilanciare molti esiti negativi. Questo vale specialmente quando gli insuccessi sono spiegabili con la contromagia o con l’uso inesperto delle formule, e molte pratiche magiche hanno una storia impressionante di successi: quasi tutte le cure mediche funzionano grazie alle capacità di ricupero del corpo umano; una cerimonia per produrre la pioggia, eseguita nel momento di maggior bisogno – la fine di una lunga siccità – probabilmente ottiene la pioggia.

I razionalisti più convinti possono accettare questa spiegazione dell’efficacia della magia, ma chi assume il punto di vista funzionalista presenta una tesi più ardita: in un certo senso, la magia funziona. Si presenta alle società umane come un modo di combattere le forze emotive distruttrici, che sorgono dall’impotenza umana in certe situazioni. Col rito magico l’uomo ha il senso di agire, di non soccombere alla paura paralizzante. Quando si trova in un vicolo cieco e le sue conoscenze non valgono, l’uomo reagisce con gesti spontanei e credenze rudimentali. Secondo le note parole di Malinowski:

La magia si impadronisce di queste credenze e riti rudimentali e li standardizza in forme tradizionali permanenti. Così la magia fornisce all’uomo un certo numero di atti e credenze rituali prefabbricati, con una tecnica mentale e pratica ben definita, che serve a superare le pericolose soluzioni di continuità di ogni impresa importante o situazione critica. Pone l’uomo in grado di eseguire fiduciosamente i suoi compiti importanti, di conservare l’equilibrio e l’integrità mentale negli accessi di collera, negli spasimi dell’odio, dell’amore non corrisposto, della disperazione e dell’ansia. La magia ha la funzione di ritualizzare l’ottimismo umano, di accrescere la fede nella vittoria della speranza sul timore. La magia manifesta il maggior valore che ha per l’uomo la fiducia, la perseveranza, l’ottimismo rispetto al dubbio, all’incertezza e al pessimismo.¹

[…]

Il Radcliffe-Brown, pur accettando la tesi funzionalista, ha criticato il Malinowski per la sua eccessiva insistenza individualista. Un rito magico, eseguito per esempio in occasione di una nascita, non è necessariamente il mezzo di acquistare fiducia in una situazione pericolosa. Senza il rito, l’individuo potrebbe non sentire ansia, il rito è causa, non effetto, dell’ansia, e la sua funzione, secondo il Radcliffe-Brown, è non tanto un espediente per conservare l’equilibrio dell’individuo, quanto uno sforzo di facilitare al gruppo una situazione-crisi e di contribuire alla sopravvivenza della società rafforzando il senso dell’identità di gruppo e dando solennità ad un avvenimento importante.

Certo dobbiamo evitare un funzionalismo estremo e privo di critica, ma sarebbe eguale errore studiare la questione entro la prospettiva della nostra posizione culturale, per poi passare, generalizzando, ad altre situazioni. Il concetto che la magia può avere qualche funzione positiva per l’individuo, sarà piuttosto trascurato che esagerato dai membri colti di una società cittadina. Chiave dell’analisi è la questione delle alternative disponibili: quelli nei quali la magia è più profondamente radicata sono presi in una situazione ove le loro conoscenze sono del tutto insufficienti; la scelta non è fra la magia e una tecnologia medica o agricola collaudata, ma fra magia e rassegnazione totale; la magia è una difesa di origine culturale contro la paura e il senso d’impotenza; [De Martino, con altra terminologia, direbbe che è uno strumento culturale atto a difendere la presenza dalla sua crisi] può essere, come dice Kluckhohn della stregoneria, lo sbocco offerto ad un’aggressività altrimenti distruttiva, e l’affermazione della solidarietà del gruppo “definendo drammaticamente quel che è cattivo”.

La credenza nella stregoneria permette di verbalizzare l’ansia entro uno schema comprensibile, implicante la possibilità di una qualche azione. Le streghe (che sono persone vive) sono potenzialmente controllabili da parte della società, mentre i capricci dell’ambiente non lo sono. Parimenti ha importanza per l’individuo che la stregoneria è un punto focale dell’ansia, riconosciuto valido dalla comunità.²

[…]

Molti antropologi hanno insistito sulla continuata importanza della magia nelle società moderne, osservando che le credenze, benché ripetutamente smentite dai risultati oggettivi, continuano a venir accettate come valide. Le formule non funzionano, non sono state quasi mai collaudate, ma ci fidiamo di loro.

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¹ Science, Magic and Reality, p. 83.
² Clyde Kluckhohn, Navaho Witchcraft, pp. 60-61.


J. Milton Yinger, Sociologia della religione, Boringhieri, 1961 (ed. or. 1957), pp. 51-55 (sottolineature mie).

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