Aspetti religiosi del comunismo

La ricerca di “una potenza ultraforte” su cui appoggiarsi può portare una persona a darsi a Dio e un’altra a “darsi al partito”. È un errore trascurare le differenze fra le due scelte, ma è un altro errore trascurare importanti somiglianze di personalità. Vi sono larghe prove che alcune reclute del partito comunista sono persone sensibilissime, sbigottite dalle confusioni della società moderna, idealiste, bisognose di un programma ben definito che si dichiari capace di risolvere i problemi da loro profondamente sentiti. Nel programma autoritario del comunismo e nella sua apparente dedizione alla giustizia, hanno trovato una “fuga dalla libertà” che dà loro sia il senso di “appartenere”, sia il senso di potere; non sono più straniati, hanno una “casa” e un programma. Naturalmente per molti di loro il comunismo è stato “il Dio fallito”, capace di identificarli con un movimento entusiasmante ma non di soddisfare il loro idealismo. Delusi dal comunismo, si volsero ad altri programmi, spinti dallo stesso cocente bisogno del mezzo di lottare contro lo sbigottimento, il senso d’impotenza. Alcuni passarono ad un robusto anticomunismo, con la stessa energia e dedizione già portata nel comunismo, altri alla religione classica – in molti casi celebri al cattolicesimo. Un mutamento così drammatico indica indubbiamente una forte reazione anticomunista, ma rivela anche una certa continuità di personalità, perché la chiesa cattolica, più di qualsiasi altra oggi, dà ai suoi membri dogmi fissi, riti definitivi ed una struttura di potenza indiscussa che può portare il senso della certezza ai dubbiosi [qui in Italia abbiamo avuto diversi casi clamorosi di passaggio da un comunismo fervente ad una altrettanto fervente adesione o riconversione alla fede cattolica: Aldo Brandirali e Giovanni Lindo Ferretti, tanto per citarne solo due] – ha in un certo senso le stesse attrattive del comunismo per certuni.

Arthur Koestler descrive vividamente la qualità religiosa che ebbe per lui il comunismo:

Quando ebbi finito il Feuerbach e Stato e rivoluzione, qualche cosa era scattata nel mio cervello, che mi scosse come un’esplosione mentale. Dire che avevo veduto la luce è descrizione insufficiente del rapimento mentale noto solo al convertito, prescindendo dalla fede cui si converte. La luce nuova sembrava riversarsi da tutte le direzioni entro il mio cranio, tutto l’universo formava un disegno, come i pezzi scomposti di un gioco che si riuniscono al primo colpo della bacchetta magica. Ora ogni quesito ha la sua risposta, dubbi e conflitti appartengono al tormentoso passato – passato già remoto, ove vissi nella squallida ignoranza, nel mondo senza sapore, senza colore, di quelli che non sanno.2

Di 221 ex comunisti studiati dall’Almond, quasi la metà appartenevano a famiglie che davano importanza alla religione; egli interpreta la loro opposizione alla religione dei genitori non solo come uno sviluppo antireligioso, ma spesso come un dirottamento dell’interesse verso un movimento abbracciato con fervore religioso.

In che modo il comunismo funga da religione in certe situazioni si vede non solo nelle reazioni di alcuni suoi adepti, ma anche nella sua struttura e “teologia”. I problemi del presente sono interpretati in termini di un avvenire glorioso che dà loro un significato. Uno scrittore di “The New Masses” dichiara: “La perdita di fede religiosa è cosa buona, se possiamo mettere al suo posto una fede nella vita tanto viva e dinamica da conferire alle azioni degli uomini una pari validità.”3  Molti movimenti dispotici del passato si valsero della religione per rafforzare la loro potenza, ma nelle società dotate di istituzioni religiose ben definite, i despoti raramente sono riusciti a dominare completamente le forze religiose. Un sistema religioso in parziale concorrenza imponeva un certo ritegno, limitava in qualche modo il loro potere. Waldemar Gurian distingue tali despotismi dai regimi totalitari moderni, in quanto questi non si contentano di adoperare o di dominare le forze religiose: le soppiantano con il loro credo, assorbendo e usando l’interesse religioso a sostegno della loro causa.

I movimenti totalitari e il loro potere soppiantano Dio e le istituzioni religiose come la chiesa; i capi sono divinizzati; i raduni di masse sono considerati azioni sacre e celebrati come tali; la storia del movimento diventa storia sacra dell’avanzata della salvezza, che nemici e traditori contrastano appunto come il diavolo cerca di minare e distruggere l’opera di chi serve la città di Dio.4

È difficile dubitare che dal punto di vista della teoria funzionale della religione i sistemi totalitari moderni servono da religione per molti. Tentano di rendere meglio sopportabile il grave problema della vita riferendosi ad un avvenire più felice, condividendo così l’ottimismo cosmico della religione. Il dittatore diventa incarnazione vivente di un potere “soprannaturale”, appena limitato dalle forze che hanno impedito ad altri di risolvere problemi schiaccianti. La storia è dalla parte degli “eletti”; il rituale, la musica evocatrice di emozioni, i cortei, servono ad accrescere le adesioni alla causa. Scritti sacri e dottrine ufficiali sono recitati e ristampati all’infinito. (Sotto Hitler una copia di Mein Kampf veniva regalata alle coppie di sposi.) Prima che i partiti totalitari giungano al potere, il loro punto di vista contiene molti elementi “settari” (in termini di una tipologia che svolgeremo nel capitolo successivo). Raggiunto il potere diventano “chiesastici”. Tutto sommato, gli aspetti religiosi del comunismo e di altri movimenti totalitari sono elementi importanti per chi vuole intendere la loro influenza.

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1 Si veda Whittaker Chambers, Witness, e i racconti pieni di intuito del Dio fallito, ed. da R. Grossman; si veda anche A. Koestler, Lo Yogi e il Commissario. Per tentativi di indagine di alcuni fattori psicologici sociali dell’adesione al comunismo, si veda Gabriel Almond, The Appeal of Communism e Morris L. Ernst e David Loth, Report on the american Communist.
2 In The god that Failed, p. 23.
3 Citato da Reinhold Niebuhr, Christianity and Power Politics, p. 192.
4 Waldemar Gurian, in Totalitarism, a cura di Carl J. Friedrich, p. 122.


J. Milton Yinger, Sociologia della religione, Boringhieri, 1961 (ed. or. 1957), pp. 141-144.

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