La correlazione inversa tra religione e tecnologia

Sarebbe semplificazione eccessiva affermare, senza restrizioni, che più la tecnologia è primitiva, più sono incerti e precari i risultati dello sforzo di ottenere alimenti ed altri beni, più si ricorre alla religione per puntellare gli sforzi dell'uomo. Eppure la correlazione è indubbiamente grande. Le società primitive si valgono largamente della religione come una delle tecniche per ottenere buona caccia, raccolti abbondanti, protezione del bestiame. Secondo alcuni autori, il desiderio di rinforzare una tecnologia disperatamente insufficiente fa parte del complesso di forze da cui nacque la religione. Scrive il Radin:

Per intendere gli inizi della religione dobbiamo cercare di rappresentarci con la massima precisione possibile in quali condizioni vivesse l'uomo all'alba della civiltà. Manifestamente viveva in un ambiente fisico variabile ed essenzialmente nemico, e per difendersene disponeva di una preparazione tecnologica inadeguatissima... I suoi sistemi di produrre alimenti erano semplicissimi: raccolta di bacche e larve, i tipi più elementari di caccia e pesca. Senza sede fissa, viveva in grotte o ricoveri naturali. Non poteva esistere nessuna sicurezza economica, e possiamo sbagliare di poco presumendo che dove non esiste sicurezza economica deve necessariamente sorgere l'insicurezza emotiva, con i suoi correlativi: senso di impotenza e di insignificanza.1

Da tale contesto, dice il Radin, nacquero le credenze e i riti della religione primitiva.

Fosse o non fosse implicata nell'origine della religione, l'inadeguatezza di risorse tecniche era certamente legata a molte delle sue espressioni. Non è sorprendente che in società ove la sopravvivenza dipendeva dalle piogge annue, le credenze più sacre ed i riti più devoti mirassero ad ottenere la pioggia, come fra gli Zuni, i Lovedu e gli aborigeni australiani. In una società dove la produzione agricola è molto migliorata, dove il pericolo della fame è eliminato da granai sempre pieni e da trasporti rapidi, la produzione della pioggia è affidata non alle cerimonie magico-religiose ma agli aeroplani e allo iodato d'argento. Anche nelle società che hanno raggiunto molta efficienza tecnica, però, la produzione alimentare è spesso minacciata dalla siccità. Il benessere di una regione e il mantenimento, se non la sopravvivenza, di migliaia di famiglie possono trovarsi in pericolo. In questo caso le credenze religiose (si tratta di punizione, o la fede viene messa alla prova) e le pratiche religiose (preghiere per la pioggia) possono tornare come attività marginali, se non fondamentali, in relazione alla produzione alimentare.

La relazione fra tecnologia e religione è complicata; occorre prestare attenzione a varie cose: alcune società, con tecniche di produzione discretamente efficaci, hanno tuttavia raggiunto complicate relazioni fra tecnologia e religione; alcune credenze e pratiche religiose, evidentemente contrarie ad una buona produzione, sono tuttavia devotamente difese, in quanto religiosamente ben intese; molte osservanze per ottenere la produttività sono magiche (secondo la nostra definizione della magia) più che religiose. Queste restrizioni, che terremo presenti nel discutere e illustrare le relazioni fra religione e tecnologia, dovrebbero salvarci dalle facili spiegazioni tecnologiche della religione.

[...]

Il Malinowski trovò, fra le popolazioni delle isole Trombriand, un contrasto interessante, che indica come le pratiche magiche sono il supplemento dell'attività tecnologica, specialmente nelle società che fanno vita precaria. Nella situazione da lui descritta [...] le credenze ed i riti connessi alla tecnologia tendono piuttosto alla magia che alla religione, con riferimento ad un fine specifico anziché al benessere sociale generale. Le pratiche non sono fini a se stesse, ma mezzi per certi fini. Però, come abbiamo visto, non è facile assegnare i complessi di credenze e di riti semplicemente alla magia o alla religione. Malinowski trovò che due tribù strettamente imparentate svolgevano l'attività comune della pesca in modo completamente diverso. L'una, che pescava per lo più nelle acque interne protette e nelle lagune, con pochi pericoli e poche probabilità di insuccesso, lavorava senza preoccupazioni: non c'era bisogno di riti precauzionali per proteggere i pescatori e garantire buona pesca. L'altra tribù pescava in mare aperto, dove la pesca è molto meno sicura e i rischi assai maggiori, ed aveva svolto intorno al suo lavoro un complicato sistema di riti per placare le forze ignote che continuamente minacciavano la riuscita e per liberarsi dal senso di insicurezza.2

Malinowski dimostra chiaramente che queste pratiche non sono soltanto una specie di tecnologia sbagliata o grossolana, una "scienza primitiva" basata sull'ignoranza completa delle vere cause degli avvenimenti. L'uomo primitivo segue la sua tecnologia fin dove arriva - e spesso dimostra una larga conoscenza dei fatti tecnici. Ma sa anche che, malgrado tutte le cure dai lui poste nel lavoro, la buona pesca o il buon raccolto possono mancare, per ragioni che sfuggono alla sua azione e per solito anche alla sua comprensione. A questo punto cerca l'appoggio di pratiche magiche e religiose.3

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1. Paul Radin, Primitive Religion: Its Nature and Origin, pp. 6-7.
2. Si veda B. Malinowski, Argonauts of the Western Pacific.
3. Si veda l'articolo di Malinowski, Magic, Science and Religion, in "Science, Religion and Reality, a cura di J. Needham, pp. 30-32.


J. Milton Yinger, Sociologia della religione, Boringhieri, 1961 (ed. or. 1957), pp. 230-233.

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