L'evoluzione del concetto di Dio nell'ebraismo sotto l'impulso degli eventi storici

[...] la trasformazione graduale dell'ebraismo, da religione tribale, infusa di magia, con un Dio degli eserciti che insiste sulla distruzione totale dei cananei, in monoteismo universalistico, con un dio di amore e di giustizia, è un processo che si può intendere meglio studiandolo nel contesto delle forze sociali agenti sul popolo ebraico. Prima dei mutamenti compiuti dai profeti nel corso di varie generazioni, la religione di Jahvè conteneva la credenza comune che la sofferenza derivi dal peccato e che il sacrificio ottenga il perdono. Senonché, di fronte a sofferenze acute e prolungate, queste credenze soddisfano pochissimo, sono evidentemente "false; non funzionano". Comincia ad affiorare un nuovo concetto di Dio; il sacrificio, evidentemente, non ha espiato i peccati, Dio dunque vuole che si abbandoni il male e si pratichi la giustizia: "Odio, disprezzo le vostre feste... Ma che il giudizio scorra come l'acqua e la rettitudine come un fiume potente." Dio è stato trasformato da un essere antropomorfico, che gode i doni e gli omaggi, in uno spirito "e chi lo adora deve adorarlo in ispirito e verità". Questo fu il principale messaggio dei primi profeti, che trasformarono il culto di Jahvè, con i suoi sacrifici e le sue limitazioni tribali, in religione monoteistica, insistente sul pentimento.

Eppure le sofferenze continuarono; gli ebrei, vivendo sul crocevia degli imperi, furono invasi da vicini potenti, deportati in cattività, ebbero distrutte le speranze di potenza e di successo. Si poteva dire che questo fosse il castigo delle colpe, che Israele non aveva rinunciato alle sue colpe, che le città erano corrotte e che la fede era stata collocata in falsi dèi. Oppure si poteva dare un significato nuovo alle prolungate sofferenze, trovar loro un posto nello schema divino, un posto che liberasse le credenze religiose dal dubbio continuo che si sente, quando una fede è considerata il modo, più o meno diretto, di risolvere i problemi immediati della vita. I profeti ebraici più recenti fecero ambedue le cose: continuarono a chiedere rettitudine e giustizia, ma cominciarono a dichiarare che le sofferenze hanno un significato e un valore proprio. Israele divenne il servo sofferente, "disprezzato e respinto dagli uomini, l'uomo dei dolori, conoscitore del dolore". La vittoria di Israele doveva essere una vittoria spirituale, Dio lo aveva scelto per portare nel mondo la giustizia.


J. Milton Yinger, Sociologia della religione, Boringhieri, 1961 (ed. or. 1957), pp. 312-313. [ho omesso una nota]

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