Crisi della presenza e protezione magica in Lucania

Se ci chiediamo quali sono le ragioni che fanno ancora sopravvivere una ideologia così arcaica nella Lucania di oggi la risposta più immediata è che tuttora in Lucania un regime arcaico di esistenza impegna ancora larghi strati sociali, malgrado la civiltà moderna. E certamente la precarietà dei beni elementari della vita, l’incertezza delle prospettive concernenti il futuro, la pressione esercitata sugli individui da parte di forze naturali e sociali non controllabili, la carenza di forme di assistenza sociale, l’asprezza della fatica nel quadro di una economia agricola arretrata, l’angusta memoria di comportamenti razionali efficaci con cui fronteggiare realisticamente i momenti critici dell’esistenza costituiscono altrettante condizioni che favoriscono il mantenersi delle pratiche magiche. L’immensa potenza del negativo lungo tutto l’arco della vita individuale, col suo corteo di traumi, scacchi, frustrazioni, e la correlativa angustia e fragilità di quel positivo per eccellenza che è l’azione realisticamente orientata in una società che «deve» essere fatta dall’uomo e destinata all’uomo, di fronte a una natura che «deve» essere senza sosta umanata dalla demiurgia della cultura: ecco – si dirà – la radice della magia lucana, come di ogni altra forma di magia. Tuttavia questo rapporto fra regime esistenziale e magia resta generico e ovvio, e in fondo poco concludente. I temi della forza magica, della fascinazione, della possessione, della fattura e dell’esorcismo, sono senza dubbio in connessione con l’immensa potenza del negativo quotidiano che incombe sugli individui dalla nascita alla morte: ma il carattere di questa connessione resta nel vago. Analogamente le ideologie magiche relative alla gravidanza, al parto, all’allattamento, allo svezzamento, ai rischi cui è esposto il bambino nei primi anni di vita sono senza dubbio in rapporto con i dati relativi all’alto numero delle gravidanze e degli aborti spontanei, alla nati-mortalità, ai disturbi dell’allattamento, alla carenza di forme assistenziali per la gestante, la partoriente, la madre, il bambino; e si potrà anche fare appello alla ignoranza, all’analfabetismo e simili: ma con ciò non si va oltre una impostazione di tipo «illuministico» o «positivistico» nella quale la magia si confonde in ogni caso con le aberrazioni della mente umana, o addirittura con i deliri di cui si occupa la psicopatologia. Più concludente si fa il discorso analitico quando cercheremo di trarre il significato psicologico di quanto abbiamo indicato come potenza del negativo nel regime esistenziale lucano. Ora questo significato psicologico mette in luce un negativo più grave di qualsiasi mancanza di un bene particolare: mette in luce il rischio che la stessa presenza individuale si smarrisca come centro di decisione e di scelta, e naufraghi in una negazione che colpisce la stessa possibilità di un qualsiasi comportamento culturale. La relativa frequenza e intensità di episodi di labilità della presenza fu già messa in evidenza nella vita magica di Albano: le esperienze oniroidi di dominazione esteriorizzate in vessazioni di streghe, la realizzazione mimica o addirittura psicosomatica di determinati contenuti dell’allucinazione, l’attuazione – anch’essa oniroide – di impulsi repressi allo stato di veglia già testimoniano a favore di una accentuata labilità della presenza individuale. Ma vicende oniroidi del genere, impulsi crepuscolari che interrompono lo stato di veglia, allucinazioni secondo schemi tradizionali, crisi di parossismo incontrollato o di ebetudine stuporosa in occasione di momenti critici a forte carica emozionale, punteggiano con maggiore o minore frequenza la «vita magica» di tutti i villaggi lucani.

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Ora in queste condizioni di labilità della presenza si innesta la funzione PROTETTIVA delle pratiche magiche. La magia lucana è un insieme di tecniche socializzate e tradizionalizzate rivolte a proteggere la presenza dalle crisi di «miseria psicologica» e a ridischiudere mediatamente – cioè in virtù di tale protezione – le potenze operative realisticamente orientate. In un regime esistenziale in cui la potenza del negativo coinvolge lo stesso centro della positività culturale, cioè la presenza in quanto energia operativa, serba valore e funzione l’impiego della potenza tecnica dell’uomo non già nel senso profano del produrre i beni materiali economici, o gli strumenti materiali e mentali per il migliore controllo della natura, ma nel senso della difesa di quel bene fondamentale che è la condizione stessa di una partecipazione, per angusta che sia, alla vita culturale. Nel regime esistenziale lucano non ha soltanto particolare rilievo il negativo, per es. della fame o della malattia, ma altresì quello – ben più grave – dei rischi di naufragio della stessa presenza individuale che, mediante l’opera, deve pur fronteggiare in un senso realistico la fame o la malattia, o qualunque altra situazione critica dell’esistenza. E appunto per questo ancora nella Lucania d’oggi hanno corso tecniche magiche che aiutano la presenza a reintegrarsi dalle sue crisi. Piano realistico e piano magico della tecnica non entrano in contraddizione soggettiva fra di loro perché la magia non ha propriamente per oggetto, come la tecnica profana, la soppressione di questo o quel negativo, ma la protezione della presenza dai rischi della crisi esistenziale di fronte alle manifestazioni del negativo. Finché sussiste il bisogno di protezione il conflitto non ha luogo; ovvero resta puramente ideale e oratorio: qui sta la ragione per cui il piano magico si mantiene sostanzialmente «impermeabile all’esperienza», e cioè sia agli insuccessi delle pratiche magiche, sia alla constatazione che i successi accompagnano più frequentemente i comportamenti realistici che non quelli magici1[Vedi anche le analoghe considerazioni di ↪ Yinger sulla efficacia psicologica della magia ]

La protezione magica, così come emerge dal materiale relativo alla magia lucana, si effettua merce la istituzione di un piano metastorico che assolve a due distinte funzioni protettive. Innanzi tutto tale piano fonda un orizzonte rappresentativo stabile e tradizionalizzato nel quale la varietà rischiosa delle possibili crisi individuali trova il suo momento di arresto, di configurazione, di unificazione e di reintegrazione culturali. Al tempo stesso il piano metastorico funziona come luogo di «destorificazione» del divenire, cioè come luogo in cui, mediante la iterazione di identici modelli operativi, può essere di volta in volta riassorbita la proliferazione storica dell’accadere, e quivi amputata del suo negativo attuale e possibile. In quanto orizzonte stabile della crisi la magia offre il quadro mitico di forze magiche, di fascinazioni e possessioni, di fatture e di esorcismi, e istituzionalizza la figura di operatori magici specializzati; con ciò il vario possibile perdersi della presenza è ripreso in configurazioni, in simboli, in sistemi univocamente definiti di influenze metastoriche, in prospettive di pronti soccorsi da parte di esorcisti e di guaritori. In quanto operazione stereotipa di riassorbimento del negativo nell’ordine metastorico, la magia è più propriamente rito, potenza del gesto e della parola cerimoniali, efficacia permanente di una certa definita materia sensibile (per es.: gli abitini}; con ciò la varietà storica delle resistenze e degli aspetti negativi del divenire viene ricondotta alla iterazione di uno stesso ordine risolutore, nel quale il negativo è «per natura» sempre sospeso o annientato: infatti sul piano metastorico della magia tutte le gravidanze sono condotte felicemente a termine, tutti i neonati sono vivi e vitali, il latte fluisce sempre abbondantemente nel seno delle madri, tutte le malattie guariscono, tutte le prospettive incerte si definiscono, tutte le tempeste vanno a scaricarsi in luoghi deserti, e così via, proprio all’opposto di ciò che accade nella storia. In virtù del piano metastorico come ORIZZONTE DELLA  CRISI e come LUOGO DI DESTORIFICAZIONE DEL DIVENIRE si instaura un regime protetto di esistenza, che per un verso ripara dalle irruzioni caotiche dell’inconscio e per un altro verso getta un velo sull’accadere e consente di «stare nella storia come se non ci si stesse». In virtù di tale duplice complementare funzione protettiva la presenza individuale si mantiene nel mondo, e attraversa i momenti critici reali o affronta le reali prospettive incerte «come se» tutto fosse già deciso sul piano metastorico secondo i modelli che esso esibisce: ma intanto, pur entro questo regime protetto di esistenza, si reintegra il bene fondamentale da proteggere, cioè la presenza individuale, la quale attraversa il momento critico o affronta la prospettiva incerta ridischiudendosi di fatto ai comportamenti realistici e ai valori profani che la crisi senza protezione magica avrebbe, nelle condizioni date, compromesso.

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1. È da respingere nettamente la interpretazione della impermeabilità magica all’esperienza come espressione di una «mentalità primitiva»: la magia può essere – come sarà meglio chiarito in seguito – un momento più o meno importante nella vita religiosa di una società, ma qualsiasi società umana appartiene alla storia nella misura in cui dispiega comportamenti razionali realisticamente orientati, e si apre a decisioni e a scelte abbiano un senso profano e mondano. D’altra parte i comportamenti magici non documentano affatto un’altra logica, ma soltanto l’adattamento della coerenza tecnica dell’uomo a quel particolare fine che è la protezione della presenza individuale dal rischio di smarrirsi: rispetto a tale funzione le tecniche magiche svolgono una coerenza che in se non è affatto minore di quella impiegata per il controllo realistico della natura e per la fabbricazione di strumenti materiali. L’equivoco nasce quando si giudica la magia sullo stesso piano e rispetto alla stessa finalità della scienza moderna: col risultato o di non poter più distinguere le pratiche magiche e la stessa vita religiosa dai deliri e dalle aberrazioni della mente umana, o di postulare una «struttura» della mentalità primitiva che «impedirebbe» di vedere come stanno realmente le cose. È altresì da respingere ogni teoria che intenda fondare la magia sulla realtà dei cosiddetti «poteri magici»: senza negare attitudini del genere (per quanto irregolari ed eccezionali), – occorre tener presente che esse derivano dalla prossimità dell’uomo alla natura, e perciò meglio si direbbero «impotenze» e non «poteri»: onde nessuna civiltà umana si è mai potuta esclusivamente fondare su quelle attitudini, poiché la civiltà è ethos dell’uomo che si solleva come presenza razionalizzatrice nel seno della naturalità e si fonda come persona autonoma, presente a se stessa e al mondo, mentre quelle attitudini o procedono improvvisamente dall’inconscio o sono provocate immergendosi parzialmente in esso (trance o stati affini). Non si nega quindi che una pratica magica possa p. es. agevolare il buon esito di una battuta di caccia, ma nessuna civiltà poté mai rinunziare a cacciare realmente: e i cacciatori del paleolitico non hanno mai optato per i soli disegni magici di animali con frecce fitte nelle carni.


Ernesto De Martino, Sud e magia, Feltrinelli, 2004 (ed. or. 1959), pp. 89-97 [ho tralasciato una nota, basata esclusivamente su statistiche sanitarie della popolazione oggetto della spedizione]

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