I nuovi interrogativi posti dalla rivoluzione copernicana-bruniana alla tradizione cristiana

Innanzitutto, lo « scossone » copernicano non coinvolgeva soltanto la massima autorità filosofico-scientifica del passato (Aristotele), ma anche la parola di Dio (la Bibbia). Infatti non era difficile, agli avversari del polacco, appellarsi a numerosi passi delle Scritture in cui era evidente il presupposto geocentrico. Ad esempio, nell'Ecclesiaste (I, 4-5) si legge « Una generazione va e una generazione viene / eppure la terra rimane sempre al suo posto »; nel Giosuè si trovano le celebri parole: « Fermati, o Sole, su Gabaon e tu, Luna, sulla valle di Aialon! » (10,12) e nei Salmi sta scritto, « Sulle sue basi fondasti la terra, / e starà immota negli evi degli evi » (104).

Inoltre le dottrine copernicane sembrano urtare contro certe credenze storiche del Cristianesimo: ad esempio con il racconto dell'Ascensione. E in generale Copernico contraddiceva palesemente quell'insieme di credenze astronomiche che Dante aveva reso familiari con la Divina commedia. I protestanti, più legati alla lettera dei testi sacri, presero posizione quasi subito. Lutero reagì con l'abituale violenza polemica: come non aveva esitato a bollare i contadini ribelli alla stregua di « cani rabbiosi », non tardò ad apostrofare Copernico con gli eloquenti epiteti di « squinternato » e di « pazzo » (Discorsi conviviali, 1539). Anche Melantone, sia pure in tono più equilibrato, sentenziò la « pericolosità pubblica » del nuovo schema astronomico.

Invece la Chiesa cattolica, all'inizio, non si mosse. Forse - si è congetturato - perché alle prese con i problemi ben più urgenti derivanti dal dilagare dell'eresia protestante. Forse perché l'universo di Copernico, presentato da Osiander come pura ipotesi, a parte l'eliocentrismo era ancora il cosmo degli antichi e poteva anche essere conciliato - vedi Tycho Brahe - con quello di Tolomeo. O forse, più profondamente, perché essa non si rese subito conto delle gigantesche potenzialità rivoluzionarie contenute nel copernicanesimo. Difatti è soltanto dopo che Bruno avrà tratto tutte le sue radicali conclusioni cosmologiche che la Chiesa, preoccupata, giungerà a mettere all'indice le opere di Copernico (1616), iniziando il duro scontro con Galileo. Infatti, il passaggio copernicano da un sistema geocentrico ad un eliocentrico appariva assai meno grave e foriero di problemi del passaggio bruniano da un sistema eliocentrico ad un acentrico e da un mondo chiuso ad un universo infinito.

In particolare, la teoria di una pluralità di mondi abitati tendeva a suscitare delle difficoltà in relazione al dogma di tutti i dogmi: l'Incarnazione. Infatti se « l'intero commovente dramma dell'Incarnazione e Redenzione sembrava evidentemente presupporre un solo mondo abitato » (Lovejoi, op. cit.*, p. 114) come doveva essere interpretato, adesso, tale dogma? Si doveva forse presupporre, come si chiederà più tardi Thomas Paine, che « ogni mondo della creazione infinita, avesse un'Eva, una mela, un serpente e un Redentore? » (L'età della Ragione, 1784). La seconda persona della Trinità si era dunque incarnata di volta in volta su infiniti pianeti? Oppure gli ipotetici abitatori di altre plaghe dell'universo non avevano avuto bisogno di redenzione? Ma allora come poteva il loro  Cristianesimo coincidere con il nostro? Vi erano dunque tanti Cristianesimi quanti i mondi? E inoltre non si era sempre detto, Bibbia alla mano, che i cieli sono stati fatti per l'uomo? Quindi se l'ipotesi della molteplicità e abitabilità dei mondi era esatta, alcune verità bibliche dovevano per forza essere abbandonate o essere interpretate in altro modo. Ma non si era sempre proclamato, e non era stato solennemente ribadito dal Concilio di Trento, che la « parola di Dio » depositata nelle Scritture, aveva un unico, preciso e immutabile significato?

Questa serie di interrogativi, od altri analoghi, che lo storico moderno è portato talora a trascurare, possedevano in realtà, nell'Europa cristiana del tempo, una forte valenza emotiva ed intellettuale, che spiegano resistenze e reazioni del mondo religioso contro i propugnatori di una visione cosmologica che aveva oggettivamente i tratti della « eresia » - e di cui il bruciato vivo Giordano Bruno era il « demoniaco » emblema.

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* A. Lovejoi, La grande catena dell'essere, Feltrinelli, Milano, 1966.



Nicola Abbagnano - Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella storia. II. Il Rinascimento e l'età moderna, Paravia, 1989, pp. 122-123.

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