Il concetto di "fine della storia" in Hegel e Marx

[Se c'è un libro il cui assunto è stato liquidato con un risolino di sufficienza sulla scorta di una semplicistica interpretazione del titolo, questo è proprio il libro di Francis Fukuyama. E sì che l'autore ha più volte messo in guardia dal non soffermarsi sul significato apparente di quel titolo provocatorio, preso dalle lezioni di Kojève su Hegel. Niente. Ancora oggi capita di udire fior di intellettuali fare la classica battuta su coloro che preconizzavano la fine della storia (intesa erroneamente come la fine delle guerre, delle rivoluzioni, dei cambiamenti di assetti socio-politici, ecc.). Eppure si tratta di un gran bel libro di filosofia della storia, ricco di rimandi eruditi e tutt'altro che liquidabile con una battuta.]

Dove Hegel si differenzia da Fontenelle e dagli storicisti più radicali venuti dopo di lui è nel non credere che il processo storico continuerà indefinitamente, ma che con la realizzazione di società libere nel mondo reale esso verrà invece ad avere una fine. Ci sarà, in altre parole, una fine della storia. Questo non vuol dire però che non ci saranno più gli avvenimenti derivanti dalle nascite, dalle morti e dalle interazioni sociali dell'umanità, o che sarà la fine della conoscenza reale del mondo. Hegel ha tuttavia definito la storia come l'avanzare dell'uomo verso livelli più alti di razionalità e di libertà, e questo processo aveva un punto di arrivo logico nel raggiungimento dell'autocoscienza assoluta. Ed egli riteneva che ad incarnare questa autocoscienza fosse il suo sistema filosofico, esattamente come ad incarnare la libertà umana era lo stato liberale moderno sorto in Europa dopo la Rivoluzione francese e negli Stati Uniti dopo la Rivoluzione americana. Quando Hegel dichiarò che la storia era finita con la battaglia di Jena del 1806, era chiaro che non intendeva dire che lo stato liberale aveva vinto in tutto il mondo, anche perché non era nemmeno certo che avesse vinto nel suo piccolo angolo della Germania dell'epoca. Quello che lui intendeva dire era che i principi della libertà e dell'uguaglianza alla base dello stato liberale moderno erano stati scoperti ed attuati nei paesi più avanzati, e che non esistevano altri principi o altre forme di organizzazione sociale e politica superiori al liberalismo. In altre parole le società liberali erano libere dalle «contraddizioni» che avevano caratterizzato le forme di organizzazione sociale precedenti, per cui avrebbero portato la dialettica storica ad una conclusione.

Ma l'affermazione di Hegel che la storia finiva con lo stato liberale moderno venne presa in scarsa considerazione fin dal momento in cui egli formulò il suo sistema. Hegel venne quasi subito attaccato da un altro grande pensatore ottocentesco che si occupò di storia universale, Karl Marx. In verità se noi ci sentiamo intellettualmente debitori nei confronti di Hegel è soprattutto perché la sua eredità ci è pervenuta attraverso Marx, il quale si appropriò per i suoi scopi di molte parti del sistema hegeliano. Marx accettò la concezione hegeliana della fondamentale storicità delle cose umane, cioè l'idea che la società umana si era evoluta nel corso del tempo passando da strutture sociali primitive a strutture sociali più complesse ed avanzate. Egli si trovò inoltre d'accordo con Hegel che il processo storico è fondamentalmente dialettico, cioè che le precedenti forme di organizzazione politica e sociale contenevano «contraddizioni» interne che col tempo venivano alla luce, portando al loro rovesciamento e alla loro sostituzione con qualcosa di più avanzato. E Marx condivise anche la credenza di Hegel nella possibilità di una fine della storia. Cioè egli preconizzò una forma finale di società, libera da contraddizioni, la cui realizzazione avrebbe posto fine al processo storico.

Dove Marx si differenziò da Hegel fu però sul tipo di società che sarebbe emersa alla fine della storia. Secondo Marx lo stato liberale non era in grado di risolvere una contraddizione fondamentale, quella del conflitto di classe, della lotta tra borghesia e proletariato. Marx rivolse lo storicismo hegeliano contro lo stesso Hegel, affermando che lo stato liberale non rappresentava l'universalizzazione della libertà, ma solo la vittoria della libertà per una certa classe, la borghesia. Secondo Hegel l'alienazione - la divisione dell'uomo contro se stesso e la successiva perdita del controllo sul proprio destino - era stata adeguatamente risolta alla fine della storia attraverso il riconoscimento filosofico della libertà possibile nello stato liberale. Ma a sua volta Marx osservava che nelle società liberali l'uomo rimaneva alienato da se stesso perché il capitale, una creazione umana, si era trasformato in signore e padrone dell'uomo e lo controllava. La burocrazia dello stato liberale, che Hegel chiamava la «classe universale» perché rappresentava gli interessi del popolo nel suo complesso, per Marx rappresentava invece solo interessi particolari all'interno della società civile, e precisamente quelli dei capitalisti che la dominavano. Il filosofo Hegel non aveva raggiunto affatto l'«autocoscienza assoluta» ma era lui stesso un prodotto del suo tempo, un apologeta della borghesia. La fine marxista della storia sarebbe venuta solo con la vittoria della vera «classe universale», il proletariato, e la successiva realizzazione di un'utopia comunista globale che avrebbe posto fine alla lotta di classe una volta per sempre.


Francis Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, Rizzoli, 1992, pp. 84-85. [ho omesso le note; sottolineature mie]

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