Il ruolo giocato dalla scienza moderna nella direzionalità della storia

Come primo passo verso la comprensione del meccanismo che dà alla storia la sua direzionalità, ci sia consentito di prendere la battuta d'entrata da Fontenelle e da Bacon, considerando la conoscenza come la chiave della direzionalità della storia, ed in particolare la conoscenza dell'universo che noi possiamo ottenere attraverso la scienza. Se infatti noi osserviamo l'intera gamma degli sforzi sociali umani, l'unico che per generale consenso è cumulativo e direzionale è quello scientifico. Lo stesso non può dirsi di attività come la pittura, la poesia, la musica o l'architettura: infatti non è chiaro se Rauschemberg sia migliore, come pittore, di Michelangelo, o se Schoenberg sia superiore a Bach, e questo per il semplice motivo che essi sono vissuti nel secolo XX; Shakespeare ed il Partenone rappresentano un determinato tipo di perfezione, e perciò non ha senso parlare di un «superamento» dei medesimi. Le scienze invece crescono su se stesse: ci sono «dati» riguardanti la natura che il grande Isaac Newton non conosceva affatto, mentre li conoscono gli studenti di fisica di oggi, e questo semplicemente perché loro sono nati dopo. La conoscenza scientifica della natura non è né ciclica né casuale; l'umanità non torna periodicamente allo stesso stato di ignoranza, né i risultati delle scienze moderne dipendono dal capriccio dell'uomo. Gli esseri umani sono liberi di dedicarsi a certe branche della scienza invece che ad altre, e naturalmente possono usare i risultati ottenuti come più piace loro, ma né i dittatori né i parlamenti possono abrogare le leggi della natura, anche se lo farebbero molto volentieri. La conoscenza scientifica è andata accumulandosi per un periodo di tempo assai lungo, ed ha avuto un effetto consistente, anche se spesso inavvertito, nel foggiare i caratteri fondamentali delle società umane. Quelle che possedevano la metallurgia del ferro e l'agricoltura sono state infatti del tutto diverse da quelle che conoscevano solo utensili di pietra o si limitavano alla caccia ed alla raccolta dei frutti spontanei della terra. A determinare un cambiamento qualitativo nel rapporto tra conoscenza scientifica e processo storico è stata la nascita della scienza moderna, cioè la scoperta del metodo scientifico nei secoli XVI e XVII ad opera di uomini come Descartes, Bacon e spinoza. La possibilità aperta dalla scienza moderna di dominare la natura non è stata tuttavia una caratteristica di tutte le società, ma un'invenzione, ad un certo punto della storia, di alcuni europei. Tuttavia, una volta inventato, il metodo scientifico è entrato a far parte del patrimonio universale dell'umanità, diventando accessibile a tutti indipendentemente dalle differenze di cultura e di nazionalità. La scoperta del metodo scientifico ha creato una divisione fondamentale, - non ciclica - del tempo storico in un prima e in un dopo la scoperta stessa. E dopo questa scoperta, il progresso ininterrotto delle scienze moderne ha fornito un meccanismo direzionale che ci consente di spiegare molti aspetti dello sviluppo storico successivo.

Il primo modo in cui la scienza moderna produce un cambiamento storico sia direzionale che universale è quello della competizione militare. L'universalità della scienza fornisce la base per l'unificazione globale dell'umanità in primo luogo a causa della prevalenza della guerra e del conflitto nel sistema internazionale. La scienza moderna conferisce un vantaggio militare decisivo a quelle società che sono in grado di sviluppare, produrre e dispiegare tecnologia nella maniera più efficiente, ed il vantaggio conferito dalla tecnologia aumenta in proporzione all'aumento del progresso tecnologico. Le lance degli zulù, per quanto questi potessero essere valorosi, non potevano competere con i fucili inglesi. È stata la padronanza della scienza che nei secoli XVIII e XIX ha permesso all'Europa di conquistare la maggior parte di quello che è oggi il Terzo Mondo, e la diffusione di questa stessa scienza sta permettendo ora al Terzo Mondo di riconquistare una parte della propria indipendenza.

La possibilità della guerra è una forte pressione che spinge alla razionalizzazione delle società e alla creazione di strutture sociali uniformi tra le varie culture. Ogni stato che voglia conservare la propria autonomia politica è costretto ad adottare la tecnologia dei suoi nemici e dei suoi rivali. Non solo, ma la minaccia della guerra obbliga gli stati a ristrutturare i loro sistemi sociali secondo linee che portino ad una sempre maggiore produzione e ad un sempre maggior dispiegamento di tecnologia. Ad esempio, per competere con i propri vicini gli stati devono essere di una certa dimensione, il che costituisce un potente incentivo all'unità nazionale; devono essere in grado di mobilitare risorse a livello nazionale, il che richiede la creazione di un forte stato centralizzato capace di imporre tasse e regulation; devono rompere vincoli regionali,  religiosi e parentali che potrebbero ostacolare l'unità nazionale; devono aumentare il livello della pubblica istruzione in modo da preparare un'élite capace di produrre tecnologia; devono tenersi al corrente degli sviluppi che hanno luogo al di là dei loro confini; e dopo l'introduzione, con le guerre napoleoniche, degli eserciti di massa, devono incominciare a concedere il diritto di voto anche alle classi più povere delle loro società se vogliono essere capaci di una mobilitazione totale. Tutti questi sviluppi potrebbero avvenire anche per altri motivi, ad esempio per motivi economici, ma la guerra conferisce al bisogno di modernizzazione sociale un carattere particolarmente acuto e fornisce un test inequivocabile della sua riuscita.

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[Seguono vari esempi storici di questa necessità modernizzatrice provocata dal bisogno di essere competitivi sul piano militare: la Francia di Luigi XIII e la Spagna di Filippo II; l'Impero Ottomano ai tempi della spedizione napoleonica; Il Giappone isolazionista, costretto dai cannoneggiamenti americani negli anni '60 dell'Ottocento ad uscire dal medioevo; la Russia di Pietro il Grande, e via via di altri sovrani costretti dalle sconfitte militari a modernizzare il paese, fino a Gorbachov]

Così, per quanto possa sembrare paradossale, la persistenza della guerra e la competizione militare costituiscono grandi fattori unificatori delle nazioni. È proprio la guerra che, mentre li porta alla loro distruzione, costringe gli stati ad accettare la civiltà tecnologica moderna e le strutture sociali che le fanno da supporto. Le scienze moderne s'impongono all'uomo, ch'egli lo voglia o no, e la maggior parte delle nazioni non hanno scelta, non possono rifiutare il razionalismo tecnologico della modernità se vogliono conservare la propria indipendenza. Tutto questo sta a dimostrare quanto aveva ragione Kant quando affermava che il cambiamento storico è una conseguenza della «socialità asociale» dell'uomo. Più che la cooperazione è infatti il conflitto che induce gli uomini a vivere in società e quindi a sviluppare ulteriormente il potenziale di quelle società.


Francis Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, Rizzoli, 1992, pp. 92-96 [ho tralasciato le note. Sottolineature mie.]

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