La recensione (completa) di Mircea Eliade a "Il mondo magico" di E. De Martino

[De Martino pubblicò in appendice a una successiva edizione de "Il mondo magico" la recensione (con tagli "strategici") al suo libro da parte di M. Eliade, uscita sulla "Revue de l'Histoire des Religions" (1, 1949). Pietro Angelini ne ripropone la versione originale completa, tradotta in italiano da Alfredo Salsano]


Su Ernesto de Martino

Mircea Eliade



Dopo aver criticato in un brillante e audace libretto, Naturalismo e storicismo nell'etnologia (Laterza, Bari 1941), il prelogismo di Lévy-Bruhl e i metodi della scuola storico-culturale di Padre Schmidt, de Martino proponeva di sostituire loro (pp. 201 sgg.) un'etnologia autenticamente «istoricista», cioè basata sulla filosofia della storia di Benedetto Croce. L'autore non ha tardato a illustrare personalmente questa nuova metodologia etnologica affrontando il problema dei «poteri» e dei «miracoli» degli stregoni, sciamani e medecine-men delle società inferiori (cfr. Percezione extrasensoriale e magismo etnologico, in «Studi e materiali di Storia delle Religioni», 18, 1942, pp. 1-19 e 19-20, 1943-46, pp. 31-84). Il mondo magico precisa ed elabora i risultati di queste ricerche al fine di pervenire a una conoscenza valida - cioè «storicistica» - di quel mondo «magico» dei primitivi che restava finora esterno e in qualche modo impenetrabile alla coscienza occidentale. Diciamo subito che l'opera di de Martino si distingue dalla massa di pubblicazioni di etnologia comparata e di etnopsicologia per un raro coraggio intellettuale e una ardente tensione filosofica. Infatti, non solo egli pone in termini chiari la questione dell'autenticità dei fenomeni paranormali (il problema era già stato sollevato alla fine del XIX secolo da Andrew Lang e, ancora recentemente, sempre in Italia Ernesto Bozzano pubblicava un libro che si occupava di Popoli primitivi e manifestazioni supernormali [Verona 1941], ma si dichiara anche pronto ad accettare tutte le conclusioni filosofiche che deriveranno necessariamente dalla convalida dell'obbiettività di tali fenomeni.

In un primo capitolo (Il problema dei poteri magici) - de Martino riproduce, basandosi sulle migliori fonti, e commenta un gran numero di documenti etnologici riguardanti la realtà dei poteri paranormali degli stregoni e sciamani: chiaroveggenza, telepatia, divinazione, «voci degli spiriti», telecinesi ecc. Un'analisi abbastanza lunga stabilisce l'oggettività delle cerimonie del fire walking presso numerosi popoli primitivi (pp. 29 sgg.; l'autore avrebbe visto il suo compito facilitato se avesse tenuto conto dei documenti raccolti nel libretto di Oliver Leroy, Les Hommes salamandres. Sur l'incombustibilité du corps humain, Paris 1931). Gli stessi «poteri» paranormali sono del resto autentificati grazie alle osservazioni e agli esperimenti fatti dalla fine del XIX secolo su numerosi «soggetti» e «medium» dagli istituti di metapsichica (de Martino, Il mondo magico, pp. 56 sgg.). Nessun dubbio possibile oggi circa la «realtà» di tali fenomeni. Non si tratta, infatti, di una realtà nel senso «naturalistico», cioè pertinente alla natura stessa del nostro universo fisico, ma di una realtà «storica», valida esclusivamente per coloro che partecipano a un «mondo magico» e resa possibile nel nostro mondo civilizzato - sia pure in maniera sporadica e approssimativa - dalla regressione di taluni soggetti (i medium ecc.) al livello della mentalità primitiva (pp. 170 sgg.).

In un capitolo importante - Il dramma storico del mondo magico, pp. 91 sgg. - l'autore si sforza di interpretare questa «realtà storica» del mondo magico alla luce della filosofia idealistica di Croce. Non c'è «natura oggettiva» ma soltanto una «natura culturalmente condizionata» (p. 69 a passim). L'uomo primitivo non conosce, come i moderni, «l'unità della propria persona» (p. 91); per questo si trova continuamente di fronte al dramma angoscioso rappresentato dalla possibilità di perdere il proprio essere (la paura di «perdere l'anima») e anche di vedere perdersi «il mondo». Per il primitivo niente è in modo decisivo, allo stesso titolo che il mondo è, che l'anima è agli occhi di un moderno. Il rischio di perdersi è specialmente grande per lo stregone, che subisce tante prove di sofferenza, di angosce solidali, di terrore anche durante la sua iniziazione. Ma lo stregone finisce per salvarsi dominando gli «spiriti» e i «demoni» animati dalla propria abilità psichica. Salvandosi, lo stregone «salva» anche tutta la comunità, poiché identifica le «forze» che minacciano ciascuno dei membri della comunità stessa, e, con questa identificazione, le domina. L'ideologia magica è, in ultima istanza, la vera difesa della coscienza precaria dei primitivi. Il mondo non è mai dato e l'esserci non è mai garantito per l'uomo primitivo (p. 144), ed è la ragione per cui quest'ultimo è travagliato dall'angoscia di non poter mantenere la propria presenza di fronte al mondo. Per l'esperienza primitiva, di conseguenza, tutti i fenomeni paranormali sono «reali», perché sono «storici», vale a dire resi possibili dalla condizione psichica stessa dei primitivi, e dal loro «mondo fisico» che è sempre, non dimentichiamolo, una «natura culturalmente condizionata». Quanto ai poteri paranormali verificati dagli esperimenti metapsichici su soggetti moderni, essi sono inautentici rispetto alla nostra realtà, creata e convalidata dalla nostra «storia» (p. 157)

Le conseguenze che derivano dall'interpretazione idealistica di de Martino sono facilmente prevedibili. La «realtà» - anche la «realtà cosmica» - è sempre «storica», cioè condizionata dal grado di evoluzione umana. Quindi, per esempio, gli «spiriti» esistono per chi partecipa a un mondo magico, ma «non possono esistere» per gli spiriti moderni, poiché la «storia» vieta a questi ultimi di credere nell'esistenza oggettiva delle anime dei defunti. È oggettivamente possibile per uno stregone parlare con i morti, ma le voci dei morti non possono avere una «realtà storica» per i moderni. Nondimeno, Bogoraz ha registrato sul fonografo le «voci degli spiriti» degli sciamani ciukci (cfr. Il mondo magico, pp. 49 sgg.). Pertanto la loro realtà è «scientificamente» accertata. Si tratta soltanto di decidere se tale realtà appartiene esclusivamente a una certa «storia» (il mondo magico dei ciukci) o se essa risulta universalmente valida. De Martino rifiuta «di assumere come una struttura metafisica della realtà ciò che è soltanto un risultato storico determinato» (p. 240). Di conseguenza resta nella prospettiva più pura dell'idealismo storicistico: il mondo non è mai dato; è fatto continuamente dall'uomo stesso, dalla sua volontà creatrice, in ultima analisi dalla sua «storia».

Si ha dunque il diritto di concepire un numero infinito di universi fisici, per esempio un universo in cui gli uomini potranno volare in aria, diventare invisibili e camminare impunemente sui carboni ardenti, in contraddizione con le «leggi» fisiche del nostro universo attuale. Si può anche concepire un universo in cui gli uomini potrebbero diventare immortali e «divini». Tutto dipende dalla «storia», cioè dalla volontà propria dell'uomo. Ignoriamo se da parte sua, de Martino sarebbe pronto ad ammettere simili conseguenze del suo idealismo storicistico, ma un esponente dell'«idealismo magico» come Julius Evola le ha da tempo accettate in una serie di libri ardui e perturbanti (cfr., tra gli altri, i Saggi sull'idealismo magico).

Lasciamo da parte le conseguenze filosofiche delle tesi di de Martino. Limitiamoci a osservare che il «mondo magico» che egli descrive così brillantemente non è mai esistito in quanto tale. Non si conoscono, almeno finora, esempi di un popolo ridotto esclusivamente all'esperienza magica, né di un popolo per cui il mondo non sia dato. Al contrario, tutti i popoli primitivi praticano, accanto alla «magia», una «religione» spesso abbastanza elevata (benché utilizzi largamente le ricerche di Padre Gusinde sui Selk'nam della Terra del fuoco, de Martino non si avvale delle scoperte di quest'ultimo sull'Essere Supremo, sull'iniziazione, sulla cosmologia, sulla morale ecc., idee e riti in cui l'elemento magico è visibilmente dominato dall'elemento religioso). Né si sono ancora trovate tracce di un popolo dotato di una coscienza a tal punto labile e precaria che l'ipotesi di de Martino ne risulterebbe immediatamente confermata. Niente ci costringe a concludere che a un certo momento della sua evoluzione psico-mentale l'uomo sia stato esclusivamente dominato dalla paura di perdere l'anima e di vedere il mondo perdersi davanti a lui. Al contrario, si ha ragione di credere che, sin dall'inizio, l'uomo abbia avuto coscienza sia della propria precarietà sia della propria forza. La precarietà esistenziale non è un'esperienza esclusivamente primitiva: prova ne sia il successo delle scuole esistenzialistiche contemporanee.

D'altra parte, i poteri paranormali non si trovano unicamente tra i primitivi e i «soggetti» anormali del mondo occidentale, ma anche presso gli yogin, i fachiri e i «santi» di tutte le sette. Quando hanno una struttura «magica», questi poteri si conquistano con l'aiuto di tecniche che implicano una lucidità e una capacità di volontà e di concentrazione superiori - e di molto - a tutto ciò che un moderno può mobilitare per la conquista del proprio mondo reale. Le esigenze della sua argomentazione «storicistica» hanno costretto de Martino a limitare la comparazione unicamente a quella tra i poteri paranormali dei primitvi e i problemi dei medium moderni. Ma l'autenticità dei poteri degli yogin, per esempio, pone un altro problema: la possibilità della conquista lucida e razionale di questi stessi poteri. Non si tratta dunque esclusivamente di un «mondo magico storico» (i primitivi) e di una regressione spontanea, ma anche di un mondo accessibile a tutti e in qualsiasi momento storico (dato che i «poteri» dello yoga, per esempio, non sono peculiari né degli indù né di una certa epoca storica, essendo attestati dai tempi più antichi ai nostri giorni). In uno studio pubblicato purtroppo in rumeno (Folclorul ca instrument de cunoaştere in «Revista Fundațiilor Regale», gennaio 1937 e ripubblicato nel volume Insula lui Euthanasius, Bucarest 1943, pp. 28-49),1 e partendo dallo stesso confronto dei documenti etnologici con i fatti metapsichici operato da de Martino, abbiamo tentato a nostra volta di risolvere il problema della realtà dei poteri paranormali in una prospettiva del tutto diversa.

Queste poche osservazioni basteranno, speriamo, a sottolineare l'importanza del problema discusso con competenze molteplici da de Martino. Il suo libro è ancora più ricco di documenti e di idee di quanto abbia potuto mostrare questa recensione, e può già essere collocato tra i rarissimi contributi etnologici che, pur basandosi su fatti, ci costringono anche a pensarli.

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1. [Trad. it. Il folklore come strumento di conoscenza, in L'isola di Euthanasius, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pp. 31-47].


Pietro Angelini, L'uomo sul tetto. Mircea Eliade e la «storia delle religioni», Bollati Boringhieri, 2001, pp. 121-125.

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