Differenze nella rappresentazione del mondo esterno tra primitivi e civilizzati

In una civiltà come la nostra, in cui la decisione di sé e del mondo non forma più problema culturale dominante e caratterizzante, noi siamo dati a noi stessi senza rischio sostanziale, e gli oggetti e gli eventi del mondo si presentano alla coscienza empirica come «dati» sottratti al dramma dell'umano produrre. Anche se noi, nella ricerca trascendentale, recuperiamo mediatamente la trama delle condizioni a priori della pensabilità in generale e della osservabilità sperimentale dell'esperienza, resta il fatto che questa stessa ricerca di condizioni è a sua volta condizionata da un'esperienza storica attuale in cui «presenza al mondo» e «mondo che si fa presente» sono costituiti come dualità decisa e garantita. Ora nella magia è in causa proprio questa esperienza, nel senso che la dualità presenza-mondo forma un problema dominante e caratterizzante. Nella magia la presenza è ancora impegnata a raccogliersi come unità in cospetto al mondo, a trattenersi e a limitarsi, e correlativamente il mondo non è ancora allontanato dalla presenza, gettato davanti ad essa e ricevuto come indipendente. In questa situazione storica, in questo dramma culturale, «presenza al mondo» e «mondo che si fa presente» sono in continua contesa per la definizione delle reciproche frontiere, una contesa che implica atti di guerra, sconfitte e vittorie, come anche tregue e compromessi. Da ciò discende una conseguenza importante. La realtà come indipendenza del dato, come farsi presente di un mondo osservabile, come alterità decisa e garantita, è una formazione storica correlativa alla nostra civiltà, correlativa cioè, alla presenza decisa e garantita che la caratterizza. Questa realtà, che potremmo anche chiamare «naturalità», si palesa come trovarmi dato nel mondo e come mondo che trovo nel suo farsi presente a me, senza che questo duplice ritrovamento formi problema culturale. Ora il mondo magico, come mondo in decisione, comporta forme di realtà che nella nostra civiltà (in quanto si mantiene fedele al carattere che storicamente la individua) non hanno rilievo culturale e sono polemicamente negate.¹ Queste forme magiche della realtà sono: la realtà come semplice oltre del mondo, un farsi presente diffuso e incoato, rischioso e forte; la realtà come oltre riscattato nell'istituto dell'eco, del prolungamento, dell'ombra, del doppio degli oggetti; la realtà come oltre riscattato nelle figurazioni spiritiche; la realtà come oltre che riceve orizzonte nei sistemi di partecipazione (la parte che partecipa del tutto, determinate totalità che partecipano fra di loro). Queste forme possono legarsi anche all'apparire sensibile, magari impegnando i sensi di un essere privilegiato, il mago e lo sciamano. Nella sfera dell'esserci, della presenza, vi è la realtà magica della presenza che non si mantiene, che fugge, che è rubata, sottratta e simili; vi è la realtà magica dell'oltre della presenza riscattato nello spirito adiutore, o localizzata in qualche parte del corpo ecc.

Tutto ciò testimonia appunto di una realtà in decisione, e che cerca di costituirsi. E nel fatto, in dati casi, la realtà magica trapassa in una forma che è assai prossima alla «obiettività del dato», quasi che, nei suoi errores, mettesse capo effettivamente a un mondo non diverso dal nostro.

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1. Occorre appena avvertire che anche nella nostra civiltà vi sono situazioni «marginali» (cioè estranee al suo carattere individuante) in cui tali forme possono ancora mantenersi ovvero riprodursi, acquistando in dati casi un rilievo anche culturale, sebbene secondario: basterà pensare alle tradizioni magiche ancora vive presso le nostre popolazioni contadine, alla magia dei circoli spiritistici, e a quella che si collega a determinati stati psicopatici, come la psicastenia, la schizofrenia, la paranoia. In tutti questi casi si ha un persistere o un riprodursi, in forma più o meno autentica, dei modi della realtà magica e del correlativo dramma esistenziale, il cui modello è offerto dall'epoca magica. Del resto anche l'uomo colto e «normale» può essere più o meno fugacemente tocco, nella sua vita quotidiana, da queste realtà arcaiche. Il possibile riprodursi della realtà magica anche per l'uomo occidentale colto indica come la presenza decisa e garantita è un bene storico e in quanto tale, in determinate condizioni, revocabile. Tutto, nella vita dello spirito, può essere rimesso in causa, anche quelle conquiste che sembravano messe al riparo da qualunque rischio, e quindi anche la conquista fondamentale di esserci nel mondo. In una situazione di particolari sofferenze e privazioni, nel corso di una guerra, di una carestia ecc. l'esserci può non resistere alla tensione eccezionale, e può quindi di nuovo aprirsi al dramma esistenziale magico.


Ernesto De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Bollati Boringhieri, 2010 (ed. or. 1948), pp. 128-129.

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