Perché la scienza occidentale è inadeguata ad analizzare i fenomeni paranormali: le zucche del missionario Grubb

La pretesa della scienza di inserire i fenomeni paranormali nel nostro ordine fisico del mondo ha più volte tentato l'ambizione del naturalista: basterebbe pensare al fatto che Richet definì la «metapsichica» come «scienza delle vibrazioni sconosciute». Scrive Bernard Bavink: «La telepatia, potrebbe essere interpretata nel senso che certi uomini, relativamente più atti della media a discendere nelle profondità del subcosciente (o meglio: a carpire qualche cosa da tali profondità), potrebbero quivi avere accesso ad ambiti che sono normalmente affatto inaccessibili alla coscienza superiore (all'io), cioè entrare in possesso di complessi che appartengono ad altri individui (telepatia), o anche di un contenuto considerato come non animato, cioè come morto (chiaroveggenza). Anzi anche la chiaroveggenza spaziale o la profezia potrebbero in tal guisa ricevere il loro proprio posto, poiché in sostanza dal punto di vista dell'universo di Minkowski è indifferente se tale esplorazione si compie nel senso temporale o spaziale del mondo». Ma dal nuovo punto prospettico raggiunto, la pretesa che qui viene avanzata rende palese il suo proprio limite, e più ancora la interna contraddizione che la travaglia. In primo luogo una ricerca indirizzata a inserire i fenomeni paranormali nel nostro ordine fisico del mondo non ha nulla in comune con la comprensione storica e culturale dei poteri magici, attingibile solo mercé la ricostruzione dell'età magica e del dramma esistenziale che la caratterizza. In secondo luogo è da tener presente che i fatti paranormali non sono, se non per l'astrazione, fatti della natura, e con il mondo fisico contrastano almeno in questo, che non sono dati, ma in atto di darsi per l'intervento di una presenza che li costruisce immediatamente nell'impegno storico di distinguersi dal mondo e di contrapporsi ad esso. I fatti della natura presuppongono la presenza decisa e garantita della nostra civiltà; i fatti paranormali invece presuppongono, ove siano considerati nella loro concretezza, la presenza insidiata, l'esserci che si crea, della civiltà magica. In terzo luogo va sottolineato il fatto che, appunto per la loro qualità, i fenomeni paranormali, per quanto osservabili e, in dati casi, registrabili da strumenti, non si prestano alle condizioni dell'esperimento scientifico se non entro certi limiti. La nostra scienza è costruita per esplorare fenomeni che appartengono a un mondo dato, rispetto al quale la presenza sia garantita, e pertanto i suoi metodi non si possono interamente adattare per fenomeni che appartengono a un mondo che si dà, e che è ancora incluso nella drammatica decisione di una presenza in crisi. Da ciò deriva, anzitutto, che i fenomeni paranormali, soprattutto alcuni e in dati soggetti, implicano una certa partecipazione, anche minima, dell'osservatore al dramma esistenziale di colui che li produce. I medi, p. es., chiedono talora agli astanti di distrarsi, di chiacchierare, di cantare, e si lamentano che l'atteggiamento interiore di un certo osservatore, il suo scetticismo o anche la sua concentrazione attenta, disturbano la produzione dei fenomeni. Il procedimento naturalistico si imbatte qui in una inaudita antinomia: proprio l'atteggiamento più conforme alle norme dell'osservazione può influire sul fenomeno osservato e farlo scomparire, e d'altra parte il fenomeno può apparire più facilmente se l'osservatore abbandona in qualche modo l'atteggiamento di chi osserva, e si rende sia pure in misura minima collaboratore del medium. Non si tratta qui del riconoscimento, accettato dalla fisica moderna, che attraverso il dispositivo di misura l'osservatore può influire sul fenomeno osservato, ma del fatto, in sé assolutamente scandaloso per la scienza, che il piano di realtà su cui l'osservatore si muove non è ancora abbastanza dato, onde sembra compromesso tutto quell'ulteriore processo di risoluzione razionale del dato che costituisce il compito del sapere naturalistico. Infatti i fenomeni paranormali sembrano continuamente sfuggire alla determinazione di una legalità che li comprenda: tutto accade come se un mondo plastico, ancora immediatamente legato alla libera intenzione umana che lo produce, cercasse di incanalarsi nell'alveo di una legge, senza tuttavia adagiarsi durevolmente in esso. Le attitudini paragnomiche del sensitivo X sembrano manifestare una modalità contrastante con quelle del sensitivo Y; lo stesso medium Z produce fenomeni paranormali «fisici» ora secondo una modalità, ora secondo un'altra. La sostanziale «alegalità» dei fenomeni paranormali costituisce uno dei più tormentosi imbarazzi per il naturalista, il quale sente di muoversi su un terreno non proprio, e quindi per diffidenza non vi accede, o se ne ritrae sgomento e sfiduciato, ovvero - il che capita più spesso di quel che non si creda - abdica al proprio compito, e si fa «spiritista» (valga per tutti l'esempio del fisico Lodge). Questo senso di disagio del naturalista di fronte ai fenomeni paranormali è stato assai bene analizzato da V. Geremicca: «Come chiamare "materia" nel senso naturalistico i cosiddetti "ectoplasma" e "teleplasma" dei metapsichici? Questa materia che in alcuni casi è persino possibile fotografare, si può distaccare dal medium, e invece di disperdersi o irradiarsi nell'ambiente, può dirigersi verso questo o quel luogo: investire o sollevare, p. es., un tavolino o addensarsi in una forma definita tanto da prendere l'aspetto di una larva o di un volto umano, o addirittura assumere consistenza e lasciare la sua impronta plastica, indi svanire. Nessun gas, nessuna radiazione, potranno produrre fenomeni in qualche modo analoghi. E se anche fosse possibile analizzare questo ectoplasma, e trovare in esso, p. es., una nuova miscela o radiazione, niente ancora sarebbe spiegato: perché non è spiegabile col metodo scientifico quell'aggregarsi in forma espressiva, quel muoversi in una anziché in altra direzione, verso, p. es., la paraffina fusa (e non a caso contro un muro) per lasciarvi la propria impronta... Si potrà fotografare l'ectoplasma, misurare il peso del tavolo ch'esso solleva, l'altezza a cui si innalza, il tempo in cui resta sospeso ecc.; ma tutti i calcoli e le misurazioni non entreranno mai nel merito della cosa...».¹

Tuttavia la riduzione naturalistica degli eventi paranormali, il considerarli come se dovessero essere provati e capiti sul piano della datità, costituisce un momento euristico indispensabile, e ritiene un suo proprio valore e una sua propria funzione. Questa riduzione giova infatti a riconoscere gli eventi paranormali come reali, anche se una valutazione critica più approfondita conduce alla conclusione che qui è in gioco una forma della realtà che non è la datità. Gli stessi scacchi a cui la scienza è esposta nella sua ricerca, le contraddizioni in cui si avvolge, la oziosa rigerminazione del dubbio, l'imbarazzante senso di inautenticità che accompagna il ricercatore nella sua fatica, e infine quel sentirsi conteso fra un'accettazione inquietante che sa di tradimento, e un rifiuto impossibile, tutto ciò ha il suo valore euristico e pedagogico in quanto contiene in germe una crisi radicale della boria culturale e del sostanziale antistoricismo che le si lega. La ricerca naturalistica o «positiva» va dunque mantenuta, e condotta anzi con tutto il rigore possibile. Ma al tempo stesso essa risulta ora disciplinata e limitata nella nuova prospettiva raggiunta, liberata da pretese acritiche, e resa finalmente concludente. Riguardo a quest'ultimo punto è da osservare che vi sono certo delle garanzie legittime dettate dallo stesso carattere della ricerca: ma assai spesso nella critica delle garanzie adottate, nella richiesta di sempre nuove garanzie, e soprattutto nel dubbio conclusivo, si esprimono semplicemente il disorientamento o il falso orientamento della ricerca stessa, e quella penosa oscillazione del pensiero che abbiamo cercato di ricondurre alle sue vere ragioni. Il problema dei poteri magici è in certo senso contaminato dalla angosciante domanda: Quis custodiet custodem? Ma è evidente che la serie delle garanzie non può essere chiusa da una garanzia esterna assoluta e definitiva (che non esiste), ma piuttosto dalla garanzia interna di un pensiero che nella chiarezza e nella disciplina di un punto prospettico comprensivo ha imparato a difendersi dalle richieste oziose e a trovare il coraggio delle proprie decisioni.

Consideriamo ora un caso semplice e istruttivo: una volta un indigeno lengua del Paraguay accusò il missionario Grubb di avere rubato le zucche del suo giardino, per il semplice fatto che lo aveva visto in sogno compiere questo atto. Sebbene il missionario si affannasse a convincere il suo accusatore della falsità dell'accusa, questi tenne duro: Grubb aveva rubato le zucche, poiché in sogno era stato visto entrare nel giardino e portarle via.² Ecco, si dirà, un evento chiaramente «irreale»: l'indigeno è un visionario, e Grubb non ha assolutamente rubato nulla. Eppure le cose, per strano che possa sembrare, non stanno proprio così. Senza dubbio rispetto al rapporto presenza-mondo quale si è determinato nella nostra civiltà, il missionario Grubb è innocente: ma è immediatamente valida questa asserzione rispetto al rapporto presenza-mondo che individua il dramma magico? Invero, in un'epoca storica in cui la presenza non si è ancora nettamente decisa nel senso della veglia, in una civiltà in cui la presenza e il mondo che si fa presente si estendono nel senso della coscienza onirica,³ e il reale culturalmente significativo include anche ciò che è vissuto da questa coscienza, in un'epoca storica o in una civiltà siffatta può anche accadere che il missionario Grubb viva nell'esperienza di sogno degli indigeni una esistenza di cui non sa proprio nulla, e compia degli atti che non riconosce come propri. Per sapere qualche cosa di tale esistenza e per riconoscere come propri gli atti commessi nel corso di essa, il missionario Grubb avrebbe dovuto, per così dire, decadere dalla sua presenza decisa e garantita per raggiungere, dopo aver percorso a ritroso l'intervallo culturale che lo separa dal suo accusatore, il piano storico su cui questi si muove. Se questo il missionario Grubb avesse potuto fare, ovviamente non avrebbe considerato assurda la pretesa dell'indigeno, poiché si sarebbe trovato inserito in un ordine culturale in cui si può esistere nel sogno di un altro, e in cui le azioni compiute nel sogno di un altro sono accolte come proprie.

Quando si asserisce che il missionario Grubb, in modo assoluto e sotto tutti i rapporti, non ha rubato le zucche, si commette, a ben considerare, una sorta di trasfigurazione metafisica: Grubb, la forma storica della sua presenza, il suo senso della realtà storicamente determinato, e, mediatamente, l'ordine culturale che lo ha istituito un uomo così e così determinato, con quella presenza e quel mondo che si rende presente, sono sottratti al movimento storico e irrigiditi in criterio assoluto, valido per tutte le epoche storiche e per tutte le civiltà. In realtà vi sono due Grubb: quello inserito nella storicità della nostra cultura, e che non può, ovviamente, compiere atti nel sogno di un altro; e quello ricompreso nei rapporti magici della civiltà di cui è ospite, e che può anche rubare le zucche a sua insaputa, nel sogno «reale» di un indigeno. Un terzo Grubb, un Grubb «in sé», assolutamente vero e paradigmatico, non esiste se non nell'angustia della considerazione polemica, cioè in una sorta di concrezione metafisica, alimentata da boria culturale, che la ragione storica è chiamata a disciogliere. La proposizione «Grubb non ha rubato le zucche» è valida solo per entro la nostra civiltà, o anche per entro la civiltà orientale sostanzialmente come la nostra, ma non può sostenersi se il nostro orizzonte storiografico si allarga ulteriormente, sino a includere l'epoca magica. Si verifica qui, nell'ordine storiografico, un mutamento analogo a quello avvenuto nell'ordine della scienza fisica: i princìpi della fisica classica, ritenuti dapprima assoluti, sono stati poi riconosciuti validi solo relativamente al mondo macroscopico. Fin quando restiamo nella posizione polemica della nostra attuale limitazione della consapevolezza storiografica, lo scandalo del missionario Grubb è anche il nostro. Ma allorché, nel progresso di questa consapevolezza, includiamo nel movimento storico anche la presenza e il mondo che si fa presente, noi attingiamo un punto di vista più alto, e superando l'istanza polemica connaturata al carattere antimagico della nostra civiltà, rendiamo giustizia a Grubb e al suo accusatore.

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1. Da una lettera a me diretta, in data 10 febbraio 1942.

2. Questo caso è riferito da G. W. Grubb, An unknown people in an unknown land, pp. 129 sgg.

3. Si tengano presenti, per intendere il prolungarsi magico della realtà nella dimensione del sogno, i legami istituibili attraverso la coscienza onirica: si sfrutta il sogno per chiarovedere o per entrare in rapporto con gli «spiriti» (incubazione), si va a visitare un altro in sogno e l'altro lo avverte realmente ecc.


Ernesto De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Bollati Boringhieri, 2010 (ed. or. 1948), pp. 132-137. [sottolineature mie]

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