L'idea che i tratti morali degli individui dipendano dalla loro estrazione sociale

[Qui l'Autore prende in considerazione la società barbarica, intendendo con questa definizione la società dei popoli barbarici prima della loro cristianizzazione o quando ancora il processo di cristianizzazione era nelle sue prime fasi. Le fonti su cui si basano le sue considerazioni sono i documenti riguardanti i popoli scandinavi nell'alto medioevo. Fonti riportate in nota nel testo, ma che qui io non riporto essendo materiale molto specialistico]

L'appartenenza a un gruppo o strato sociale della società barbarica definisce la condotta dell'individuo. Tutti gli aspetti della sua vita sono regolamentati, già è noto come egli deve comportarsi nelle diverse situazioni; quasi non esiste scelta. Ogni atto deve corrispondere a rigide prescrizioni, nate dalla coscienza dell'appartenenza al gruppo e dal senso dell'onore, che ha carattere non tanto personale quanto etnico, familiare. La consuetudine «programma» la vita di ciascun membro della collettività, obbligandolo a seguire determinati modelli - gli dei, gli antenati, gli anziani.

Nella società barbarica la regolamentazione della condotta individuale raggiunge il livello della ritualizzazione: ogni importante funzione vitale dell'uomo che tocchi gli interessi del gruppo si accompagna al compimento di speciali cerimonie, al proferimento di formule, la cui assenza annulla l'intero atto, togliendogli ogni validità. Di conseguenza l'esercizio del diritto era strettamente legato alle procedure magiche e sostanzialmente l'osservanza delle sue norme, in una società priva di potere coattivo e di istituti repressivi, dipendeva dalla fede nella forza magica delle maledizioni che cadevano su colui che violava la consuetudine e le sentenze.

Un membro della società barbarica non è totalmente privo di volontà, ma questa è diretta in primo luogo verso il conseguimento di scopi postigli dalla collettività, e non si manifesta attraverso una libera decisione - come agire in una situazione partendo dai propri impulsi interiori - ma nella scelta di mezzi che corrispondano quanto più possibile alle esigenze e ai bisogni del gruppo. Come nella creazione artistica il poeta o l'incisore aspirano a riprodurre con la massima arte, abilità e inventiva canoni prefissati e a creare nuove variazioni su un tema tradizionale, così in tutta la sua condotta ogni membro di questa società doveva attenersi al rituale e alla consuetudine, considerando virtù l'uniformarsi alla collettività.

La moralità qui non è tanto un tratto dell'individuo, determinato dalle sue qualità personali e rivelantesi nei suoi atti, quanto una qualità inerente alla sua famiglia, alla sua stirpe, al suo ceto sociale - esattamente come i diritti e i doveri. Sostanzialmente tali diritti e doveri sono inseparabili dalla valutazione etica degli individui che entrano nel gruppo: i nobili sono magnanimi e onesti, la loro condotta è esemplare, il coraggio e la generosità sono le loro qualità naturali. Dai non nobili è più difficile attendersi qualità simili. Nella società barbarica domina la convinzione che i tratti morali si ereditano al pari dei caratteri fisici e che la bellezza, l'intelligenza, l'onore e la superiorità d'animo vadano ricercati nella nobiltà, mentre i tratti vili si trovino più facilmente nei non liberi e di bassa origine. Dal figlio di un nobile e di una schiava difficilmente ci si può attendere una condotta saggia e degna come dal figlio dello stesso individuo nato in un matrimonio legittimo e tra pari. Ai nobili spettavano perciò non solo più alti indennizzi per un danno loro inferto, ma spesso li si investiva di una maggiore responsabilità per gli atti da essi compiuti ed erano quindi puniti più severamente dei liberi plebei.

Così lo stato giuridico era inseparabile dal suo titolare, era il suo attributo più essenziale. Le persone di alta condizione sociale erano «nobili», «migliori», quelle di bassa condizione erano considerate «infime», «peggiori», «abbiette». Lo stato giuridico dell'individuo lo caratterizzava anche dal lato morale; perciò la condizione giuridica dell'individuo acquistava una sfumatura morale, rifletteva anche le sue qualità personali e insieme le definiva. Le categorie morali e giuridiche avevano, inoltre, anche una sfumatura estetica. La nobiltà era naturalmente associata alla bellezza, così come erano indissolubilmente legati i concetti di male e di brutto. Così, per esempio, nella lingua anglosassone non si poteva dire: «magnifico, ma cattivo», poiché non esistevano espressioni per significare valori puramente estetici. Ciò che è magnifico rappresenta anche un valore morale. La bellezza esprimeva l'onore personale e la virtù dell'individuo. Allo stesso modo anche le qualità intellettuali della persona erano inscindibili da quelle etiche: «intelligente» significava insieme anche «probo».

Nella società barbarica il diritto non è relegato in una sfera particolare della vita sociale. Non vi è un solo settore che non sia regolato dalla consuetudine. Il diritto, la consuetudine sono ad un tempo i principî nei quali vive la società e l'imprescindibile metro di misura della coscienza umana.


Aron Jakovlevič Gurevič, Le categorie della cultura medievale, Einaudi, 1983 (ed. or. russa 1972), pp. 169-171 [ho omesso le note].

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