Gli effetti positivi del credo religioso su corpo e psiche

Siamo [...] convinti che la religione sia tuttora visibilmente attuale perché nasce da qualcosa di più profondo, semplice e sano della stupida negazione dell'evidenza o della mera dipendenza psicologica.

Dalle prove a nostra disposizione è lecito arguire che la religione affondi le radici nell'esperienza mistica e che continui a esistere perché i circuiti neurali consentono tuttora ai credenti di vivere fino in fondo quelle esperienze estatiche che sono spesso considerate una garanzia dell'esistenza di Dio. Come abbiamo visto, è improbabile che il meccanismo neurale della trascendenza si sia evoluto specificamente per motivi spirituali; tuttavia riteniamo che l'evoluzione lo abbia adottato e abbia favorito le facoltà religiose del cervello perché le credenze e i comportamenti religiosi giovavano in maniera pratica e sostanziosa agli esseri umani.

Un vasto corpus di letteratura scientifica suffraga l'ipotesi. Secondo alcune indagini, gli uomini e le donne che seguono una delle maggiori religioni del mondo vivrebbero più a lungo, avrebbero meno ictus e meno malattie cardiache, una migliore funzione immunitaria e una pressione sanguigna più bassa della popolazione nel suo complesso.1 Risultano talmente grandi i benefici recati dalla religione alla salute, che dopo aver esaminato più di mille studi sull'argomento il dottor Harold Koenig, del Medical Center della Duke University, ha dichiarato di recente a «The New Republic»: «Per la durata della vita, la mancanza di una fede religiosa ha lo stesso effetto che fumare un pacchetto di sigarette al giorno per quarant'anni di seguito». [Questa è grossa!]

Sembra dunque che la religione faccia bene tanto al corpo quanto all'anima, ma i vantaggi che il comportamento religioso reca alla salute non si limitano all'ambito fisiologico: sempre più ricerche dimostrano che includono anche la salute mentale. La notizia ha sorpreso gran parte dell'odierna comunità psichiatrica, la quale, tuttora influenzata da Freud, considera il comportamento religioso nella migliore delle ipotesi uno stato di dipendenza e, nella peggiore, una condizione patologica. Fino al 1994, per esempio, l'American Psychiatric Association definiva ufficialmente le «forti convinzioni religiose» un disturbo mentale.2

Nuovi dati fanno invece pensare che le credenze e le pratiche religiose favoriscano il benessere mentale ed emotivo sotto molti profili importanti. Da alcune ricerche risulta per esempio che il tasso di tossicodipendenza, alcolismo, divorzi e suicidi è assai più basso tra le persone religiose che tra la popolazione nel suo complesso. Inoltre i fedeli praticanti soffrono molto meno di ansia e depressione e, se effettivamente entrano in depressione, si riprendono più in fretta. Altre indagini hanno individuato un nesso tra determinate attività religiose e salute psicologica: pratiche spirituali come la meditazione, la preghiera e la partecipazione a funzioni riducono sensibilmente l'ansia e la depressione, accrescono l'autostima, migliorano la qualità delle relazioni interpersonali e inducono una visione più positiva della vita.

La scienza non ha spiegato in maniera esaustiva il motivo dei buoni effetti della religione sulla salute, ma è probabile che i comportamenti e gli atteggiamenti incoraggiati dalla fede abbiano un ruolo importante nella dinamica del beneficio. Condannando per esempio il sesso promiscuo, l'abuso di droghe e alcol e altri vizi rischiosi, e incoraggiando una vita all'insegna della moderazione e della stabilità familiare, la maggior parte delle religioni incoraggia automaticamente comportamenti intrinsecamente sani.

Le solide reti di sostegno sociale proprie delle comunità religiose rappresentano quasi sicuramente un altro fattore benefico. È evidente che l'appoggio affettivo di amici e familiari è un elemento importante per la salute mentale di tutti, ma le comunità coese esercitano un concreto effetto positivo anche sul benessere fisico. Tali benefici sono cruciali soprattutto per gli anziani, che nelle comunità molto unite sono meno isolati e trovano più facilmente chi li aiuta a mangiare, medicarsi, andare dal dottore e compiere altre attività quotidiane necessarie alla salute fisica.

I comportamenti religiosi contribuiscono poi in maniera diretta alla buona salute per l'effetto che hanno sul sistema simpatico e parasimpatico. Una preghiera silenziosa, un inno solenne o un'ora trascorsa in meditazione attivano la funzione parasimpatica, che rafforza la funzione immunitaria, abbassa la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, riduce il livello dei dannosi ormoni dello stress nel sangue e suscita sensazioni di calma e benessere. È chiaro che qualunque comportamento produca con costanza la risposta parasimpatica favorisce un più alto grado di salute mentale e fisica.

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Pare chiaro che i benefici fisici e mentali delle religioni siano dovuti ai valori che esse incoraggiano. Forse il lato più sano della fede è la sua capacità di alleviare l'ansia e l'angoscia trasmettendoci la sensazione di controllare un mondo incerto e terrificante; abbiamo infatti meno paura se crediamo che esista un formidabile potere superiore, un dio, uno spirito conoscibile, un assoluto immutabile che può e vuole intervenire in nostro favore. In alcuni casi il potere superiore assume la forma di un potente essere spirituale che si può convincere con la preghiera, il sacrificio o altri mezzi religiosi a sostenere i nostri interessi e a difenderci dal male. In altri casi, per esempio nel buddhismo, l'alleato divino non è personale, ma impersonale, una verità spirituale pura e trascendente nella quale i credenti trovano rifugio e liberazione dalle sofferenze della vita.

La fede in un potere superiore dà a chi crede la certezza che la vita abbia uno scopo e un significato, non lo fa più sentire solo nella lotta per la sopravvivenza, lo induce a pensare che nel mondo agiscano potenti forze benefiche e che, nonostante i terrori e le incertezze della vita, non deve aver paura.

Questa capacità di alleviare la drammaticità della condizione umana e di farci sentire in qualche modo vicini a una forza spirituale superiore è il più grande dono terreno che le religioni possano offrire. Per il singolo credente è un dono di speranza e conforto, ma, su scala più grande, gli effetti sono stati più profondi. Affrancandoci dalla paura e dal senso di inutilità e instillandoci l'idea che mani sagge e capaci pilotassero la nave cosmica, le religioni ci hanno procurato grande sicurezza e forte motivazione, sicché non solo hanno forgiato buona parte della storia umana, ma forse hanno anche rappresentato una delle ragioni pincipali per cui il genere umano è sopravvissuto.

Immaginiamo per esempio le difficoltà cui si trovarono di fronte i nostri cugini di Neanderthal quando, in piena era glaciale furono costretti a competere fieramente con temibili animali per il dominio della Terra. Le bestie erano quasi sempre più forti e più veloci e avevano i sensi assai più affinati. La sopravvivenza era sempre incerta e i nostri antenati potevano competere solo grazie alla loro eccezionale intelligenza e a una straordinaria volontà di vivere.

È chiaro che, diversamente dagli animali, i primi esseri umani sapevano benissimo di dover morire e questa inquietante consapevolezza avrebbe potuto precipitarli in una così nefasta spirale di depressione e apatia da condurre a triste e prematura fine la loro avventura. Il torneo della selezione naturale era già di per sé abbastanza spietato: gli ominidi di tutto avevano bisogno, tranne che di pensare sconsolatamente che se lottare con tutte le proprie forze, cacciare con grande abilità, combattere con estremo coraggio e sbrigliare la fantasia nell'invenzione di mille cose serviva solo a morire dopo una vita del tutto priva di significato, tanto valeva farsi eliminare dagli altri animali. Con le sue promesse, la religione difese gli uomini da quel fatalismo pessimista e consentì loro di lottare senza tregua, ma con ottimismo, per la sopravvivenza. 

[Ma questi problemi appunto nascono solo quando si è degli esseri intelligenti, capaci di riflettere sul senso (o non senso) dell'esistenza, perché gli altri animali non hanno bisogno di questo apparato ideologico per non perdersi d'animo. E allora la religione rappresenta l'unico sbocco naturale al "pessimismo (ma sarebbe meglio dire al realismo) della ragione", la quale offre sì quel grande vantaggio sugli altri animali, ma d'altra parte costringe l'uomo a crearsi dei miti per guidare e giustificare il suo agire nel mondo, pena il cadere nella depressione, nella catatonia provocata dalla capacità di percepire l'evidente non senso dell'esistenza. Nel momento in cui non è più il puro istinto a guidare un pitecantropo, ecco che nasce quel bisogno di giustificare l'azione tramite il mito]

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1. Per un'analisi accurata dei benefici psicologici associati alla religiosità, si vedano Koenig 1999 e Worthington, Kurusu, McCollough, Sandage 1996. Questi autori analizzano i possibili motivi alla base dell'effetto benefico, come un maggior sostegno sociale e un maggior senso di scopo nella vita.
2. Si veda l'America Psychiatric Association DSM-IV 1994.

[Riporto qui sotto i riferimenti bibliografici completi citati in nota]

H. G. Koenig (a cura di), The Healing Power of Faith, Simon & Schuster, New York, 1999.
E. L. Worthington - T. A. Kurusu - M. E. McCollough - S. J. Sandage, Empirical research on religion and psychotherapeutic processes and outcomes: A Ten-yera review and research prospectus, «Psychological Bullettin», 119 (1996), pp. 448-487.


A. Newberg - E. d'Aquili, Dio nel cervello, Mondadori, 2002 (ed. or. 2001), pp. 132-135 [ho omesso alcune note; sottolineature e commenti tra parentesi quadre miei]

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