Il valore "magico" della castità e della solitudine
[...] presso numerosissime «tribù selvagge», i guerrieri - così come i cacciatori e i pescatori - devono conservare la castità ogni volta che partono per una nuova spedizione. La castità ha in sé un valore magico. Essere casti significa sopprimere, in un certo senso, la condizione umana: significa, in ogni caso, superare lo stato profano. Il primo istinto, e il più importante, è quello sessuale. La sua soppressione definitiva (ascetismo) o la sua temporanea sospensione (castità, imposta dalla guerra, da un lutto, da calamità, ecc.), annulla la condizione umana. L'uomo casto concentra un ricettacolo di «forze magiche» che fecondano ogni azione nella quale s'impegna. Se va a pesca o a caccia, la preda sarà ricca; se va alla guerra, sarà protetto dalle frecce nemiche, mentre le sue armi raggiungeranno sempre il loro bersaglio.
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Il solitario rompe così violentemente con la legge fondamentale della condizione umana - vivere assieme, amare qualcuno, se non il proprio prossimo - che attrae come una forza magica. L'ascesi - la solitudine, il dominio degli istinti e soprattutto dell'istinto essenziale: la sessualità - era considerata, in se stessa, come un'immensa forza magica. Opporsi alla natura umana significa superarla e dunque avvicinarsi agli dèi, a queste riserve di energia fisica e spirituale. La solitudine è la prima condizione, e la più ardua, per staccarsi dall'umano. Un tale distacco richiede una forza sovrumana; che questa sia magica, assimilata direttamente con la semplice pratica della solitudine e dell'ascesi (come credono gli indiani), che sia religiosa, data da Dio al monaco nel deserto (come pensano i cristiani), essa è, comunque, una forza che stupisce gli uomini e li attrae. Accanto a questa fonte sovrumana, il diretto contatto con l'asceta che la padroneggia, gli uomini sperano di ottenere qualcosa: forza, salute, salvezza. O, nel caso di un solitario laico come Rousseau, uno stile di vita o forse la stessa felicità.
Mircea Eliade, Fragmentarium, Jaca Book, 2008, pp. 62 e 167.
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